giovedì 26 giugno 2008

stiglitz: gli errori della lotta all'inflazione

Tutti gli errori della lotta all' inflazione

Repubblica — 23 giugno 2008 pagina 27 sezione: COMMENTI
I presidenti delle banche centrali costituiscono un club molto chiuso e sensibile alle mode. Nei primi anni Ottanta, ad ammaliarli fu il monetarismo, una teoria economica semplicistica rappresentata in primo luogo da Milton Friedman.
Dopo la caduta in discredito del monetarismo, la cui adozione fu pagata a caro prezzo da svariati Paesi, iniziò la ricerca per un nuovo mantra.
La risposta arrivò con l' inflation targeting, una strategia di politica monetaria secondo la quale ogniqualvolta la crescita dei prezzi supera un livello prestabilito devono essere alzati i tassi di interesse. Una ricetta suffragata da scarse elaborazioni di teoria economica e modeste prove empiriche: non vi sono ragioni per ritenere che la migliore risposta sia un rialzo dei tassi di interesse, indipendentemente da quali siano le fonti dell' inflazione.
La speranza è che la maggior parte dei Paesi sia abbastanza sensata da non adottare l' inflation targeting. Le mie simpatie vanno in ogni caso ai cittadini di quei Paesi che lo hanno fatto (Israele, Repubblica Ceca, Polonia, Brasile, Cile, Colombia, Sudafrica, Thailandia, Corea, Messico, Ungheria, Perù, Filippine, Slovacchia, Indonesia, Romania, Nuova Zelanda, Canada, Regno Unito, Svezia, Austria, Islanda e Norvegia).
L' inflation targeting quasi certamente fallirà. I tassi di inflazione più alti che si trovano ad affrontare oggi i Paesi in via di sviluppo non sono da imputarsi a una gestione macroeconomica più carente, bensì ai prezzi in impennata del petrolio e delle materie prime alimentari e, inoltre, in questi Paesi queste voci rappresentano una quota della spesa media delle famiglie assai più alta rispetto a quella delle famiglie nei Paesi ricchi.
In Cina, per esempio, l' inflazione si sta avvicinando, o sta già superando, l' 8 per cento; in Vietnam è persino più alta e si prevede che quest' anno sfiori addirittura il 18,2 per cento; in India è del 5,8 per cento. Negli Stati Uniti, invece, l' inflazione si è attestata al 3 per cento.
Si deve dedurre che questi Paesi in via di sviluppo devono alzare i tassi d' interesse in misura molto maggiore rispetto agli Stati Uniti?
L' inflazione in questi Paesi è, per la maggior parte, importata.
Tassi d' interesse più alti avrebbero effetti esigui sul prezzo internazionale dei cereali o dei carburanti. Anzi, se si considera la dimensione dell' economia statunitense, è logico presumere che un suo rallentamento possa avere effetti sui prezzi a livello mondiale di gran lunga superiori a quelli di un rallentamento in qualsivoglia Paese in via di sviluppo, un dato che, se si assume una prospettiva globale, indica che è negli Stati Uniti e non nei Paesi in via di sviluppo, che dovrebbero essere ritoccati al rialzo i tassi.
Finché i Paesi in via di sviluppo restano integrati nell' economia globale i prezzi domestici del riso o degli altri cereali sono destinati a subire un incremento significativo ogni qual volta lo subiscono quelli internazionali.
Per molti Paesi in via di sviluppo, gli alti prezzi del petrolio e delle materie prime alimentari rappresentano una tripla minaccia: non solo i Paesi importatori si trovano a sborsare di più per le granaglie, ma devono anche spendere di più per farle arrivare in questi Paesi, con un' ulteriore spesa per farle arrivare a quei consumatori che risiedono lontano dai porti.
L' incremento dei tassi d' interesse potrebbe ridurre la domanda aggregata, rallentando a sua volta l' economia e mitigando così i prezzi di alcuni beni e servizi, in particolare di quelli non determinati dal mercato. Ma, a meno che non siano portate fino a livelli intollerabili, queste misure, di per se stesse, non sono in grado di abbassare l' inflazione ai livelli target. Per esempio, anche se il ritmo dell' aumento dei prezzi dell' energia e delle materie prime alimentari a livello mondiale dovesse rallentare rispetto a quello attuale - scendendo a un 20 per cento l' anno, per esempio - e ciò si riflettesse sui prezzi interni, per fare scendere il tasso di inflazione complessivo a, diciamo, un 13 per cento, occorrerebbe una netta caduta dei prezzi da qualche altra parte. Ciò comporterebbe quasi sicuramente un significativo rallentamento dell' economia e un alto tasso di disoccupazione. La cura sarebbe peggiore della malattia.
Che cosa si dovrebbe fare dunque? Innanzitutto, non si dovrebbe addossare la responsabilità di un' inflazione importata ai politici o ai presidenti delle banche centrali, così come non deve essere attribuito loro il merito di una bassa inflazione quando l' ambiente economico complessivo è favorevole.
Ora si riconosce che buona parte del pasticcio nel quale si trova attualmente l' economia degli Stati Uniti è da imputare all' ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, mentre qualche volta gli si attribuisce il merito della bassa inflazione registrata negli Stati Uniti durante il suo mandato.
La verità è, invece, che negli anni di Greenspan, gli Stati Uniti hanno beneficiato di un lungo periodo di caduta dei prezzi delle materie prime e della deflazione in Cina, elementi che hanno contribuito a mantenere i prezzi dei manufatti sotto controllo.
Secondo, è necessario prendere atto che questi alti prezzi possono rappresentare un terribile stress per le popolazioni e, in particolare, per le persone a basso reddito. Le rivolte e le proteste che si sono avute in alcuni Paesi in via di sviluppo ne sono solo la manifestazione più evidente.
Più di 25 anni fa, ho dimostrato che, in condizioni plausibili, la liberalizzazione del commercio avrebbe potuto peggiorare la situazione per tutti. Non mi stavo pronunciando a favore del protezionismo, bensì richiamando alla cautela e ricordando la necessità di tenere presenti i rischi e di essere pronti ad affrontarli.
Nel caso dell' agricoltura, i Paesi industrializzati, come gli Stati Uniti o come i Paesi membri dell' Unione Europea, proteggono sia i loro consumatori sia i loro agricoltori da questi rischi. La maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, invece, non ha le strutture istituzionali o le risorse per fare altrettanto. Molti stanno imponendo delle misure di emergenza quali tariffe o divieti sulle esportazioni per aiutare i propri cittadini, ma ciò avviene a spese della popolazione di altri Paesi.
Se si vuole evitare una reazione ancora più forte contro la globalizzazione, l' Occidente deve rispondere rapidamente e con forza.
I sussidi per i biocarburanti, che hanno favorito una riallocazione delle terre dall' alimentazione all' energia devono essere revocati. Inoltre, alcuni dei miliardi che si spendono per i sussidi agli agricoltori in Occidente dovrebbero essere destinati ora ad aiutare i Paesi in via di sviluppo più poveri a soddisfare il loro fabbisogno minimo di cibo ed energia.
Tuttavia, più importante ancora è che sia i Paesi industrializzati sia i Paesi in via di sviluppo abbandonino la strategia dell' inflation targeting. La lotta per fare fronte ai prezzi in continua crescita delle materie prime alimentari e dell' energia è già dura abbastanza. La più debole economia e il più alto tasso di disoccupazione che comporta l' inflation targeting non avranno grandi effetti sull' inflazione, ma renderanno soltanto più arduo il compito di sopravvivere in queste condizioni.

L' autore ha vinto il premio Nobel per l' economia nel 2001. Il suo ultimo libro, scritto assieme a Linda Bilmes, è The Three Trillion Dollar War: The True Costs of the Iraq Conflict (La guerra da tremila miliardi di dollari: il vero costo del conflitto iracheno) Copyright Project Syndicate, 2008 Traduzione di Guiomar Parada - JOSEPH E. STIGLITZ