lunedì 23 giugno 2008

La saggezza del barbone



Mi è piaciuto molto questo ritratto, pubblicato dal sole 24 ore il 23 marzo 2008:
La saggezza del barbone
di Laura Pariani

Laura Pariani ripercorre la giornata-tipo di uno dei più noti clochard milanesi, il “Cecchi”. Ex libraio, finito in carcere, scelse la strada. Dal dormitorio di Bande Nere ai bar sui Navigli.




La sveglia nel dormitorio di Bande Nere è il momento peggiore. Non tanto per il freddo, ché a febbraio non si può pretendere altro, quanto per gli odori sconci di tanti corpi ammucchiati. “Tituffa titoffa, chi l'è ca l'ha mullàa 'sta loffa.,.?” C'è già chi corre verso il bagno. I disgraziati visceri dei vecchi, pensa il Cecchi: la polvere di cui tutti siam fatti; che solo guardando i corpi altrui si constata la decadenza del proprio...
Aprire gli occhi. O fìurìtt dal Signùr mort, livée-sü che il sol l'è vòlt... Meglio uscire al più presto; II Cecchi si infila la giacca: è lisa, l'è ura da dàghela al Burella di Rho. Afferra l'ombrello che di notte tiene sotto il materasso. Il cappello calato sulle orecchie. In un attimo è alla porta: bisogna muoversi per riscaldarsi, ma adagio, col bastone che lo precede nella neve sciolta per evitare di scarligà. Purtroppo quest'anno il gelo di febbraio durerà un giorno in più: anno bisesto, anno molesto... Diretto verso il Naviglio, pestando le suole sul selciato perché il freddo già gli morde i geloni. Nello specchio di una vetrina il Cecchi si vede pallido: smort 'me 'na patta lavàa. Qui ci vuole un bicchiere. Subito subito. Una sosta a un baretto il cui proprietario gli offre sempre un bianchino: salute! e a chi non piace il vino, Dio gli tolga l'acqua...! Quàter paròl. Che il Cecchi è uno che sa raccontare. Per esempio di quando aveva la bancarella di libraio antiquario a piazzale Baracca; e poi dell'arresto, boja d'on mond, per tre rivistine con un paio di tette... l'inferno e i tribunali sono sempre aperti e in un esüssi m’hann fàj la fignòcca... mi a som come il Galileo, quello dei cannocchiali, un gran brav’òmm, anche se i preti del so temp la pensàven minga insci e l'hanno costretto all'abiura... cosa l'è l'abiura? l'è quando ti te pènsett ona roba giusta egli altri ti costringono a dire che l'è bagliada, e il libro del perché stampato ancor non è...
Il primo bianchino va giù in una gelata, scalda lo stomaco, rimette in moto la mente. Buon vino, favola lunga, anche se la memoria del Cecchi è un groviglio indurito: i suoi fili non sono più di carne sangue, ma di brume gelate in cui si intravedono immagini sbiadite, che forse sono ricordi ma potrebbero anche essere soltanto bolle d'un sogno che pare sia stata la sua vita. Che nei confronti del passato lui è un credente che ha perduto la fede: «Infelice bietolone, / che ti giova essere dotto, / se le scienze t'han ridotto / a passar per un coglione?»
Non restano che le ferite, il senso della perdita. «Perché fai il barbone?», gli domandano spesso. Ciùmbia, gli sbirri pigliano e il popolo impicca sicché, quando è uscito da San Vittore, tutti voltavan la testa dall'altra parte; e per soprassello il mondo gli faceva schifo da vomitare. O servi come servo o fuggì come cervo... Così, senza tanti tralalà, s'è messo in strada.
Uscendo dal bar raccoglie una sigaretta spezzata Ma chi butta via 'sto bendidio? Comprime accuratamente tra il pollice e indice il mozzicone nel punto dello strappo, per non lasciare nessun passaggio ; d'aria. Non c'è più il tabacco di una volta, gh'è in giro una rèlla, «congiuntura» la ciàman...
Neve che sfarfalla: quando nevica a minuto, la vuoi fare insino al buco. Ecco l'alzaia. Una lavandaia intenta a sfregare i panni. Il Gecchi resta a contemplare il muoversi di quel didietro. Un groppone sfiorito come ouverture della giornata. Sospira, lui che ai tempi del c'era-una-volta-e-una-volta-non-c'era amava considerarsi come un melomane dell'alcova, capace di scorrere il suo archetto sulla pancia svasata di tutti i violoncelli a due gambe che incontrava. Ma chi ha goduto, sgoda: c'est la vie... Eh, della vita di prima gli manca un bel letto con dentro una donna piacente, che l'è la roba pussé bella che esiste.
Il mondo va male perché la gente sta poco a letto a fare amorosanza. Presèmpio, se tutte le sedute dei tribunali se fasessen tücc bei strévaccàa su un materasso murasìno, di vera lana... Ah, come al sariss beli el mond, e il giudice mica mi avrebbe condannato.,
Quasi l'una. Dai, Cecchi, sta' minga a cinquantàlla, dis'ciùllas.'
L'è ora di pensare al pranzo. Molti barboni vanno al refettorio della San Vincenzo. Ha provato anche lui: uno stanzone di vecchi che sputazzano, minestra di zucca bacucca, pancottoni né frègg né cald. Ma lui dalle dame del biscottino non ci va: «Mangiò e béy in santa libertà, diga chi voeùr, l'è on gust cont i barbìs», dice il Porta. Parole sante. Il Cecchi preferisce il retro di un ristorante, la cui cuoca gli lascia un piatto sopra il bidone della spazzatura. Roba di prima qualità, peccato sia tutto mischiato, le tagliatelle con il cavolfiore e gli avanzi di formaggio, la fetta di torta che sa di aglio per quanto scrupolosamente il Cecchi cerchi di ripulirla. Mangiare e sospirare, sospirare e mangiare, a occhi semichiusi.
Ha smesso di nevicare. Di nuovo in cammino. Passin passetto, con l'anca legnosa per i reumi. Sputando i polmoni in colpi di tosse. Malarbètta neve, quante cicche perse in questa pancecca... Ma cosa aspettano gli spazzini a scoparla via? Lazzaroni! Fanigutùni! Varda-là uno che ciciàra sull'angolo, ogni dieci minuti un colpettino dì scopa, svelt come on gatt da màrmu... Nessuno ci ha più voglia di lavorare. L'Italia l'è malada. Zum zam, ci vorrebbe una bella scopa in mano a chi so io, zum zam, fuori! spazzar via tutto... Fissa attentamente il marciapiede;non tanto per cercarvi le cicche - inutilizzabili con questo fangoneve sporco di coriandoli - ma per la paura di scivolare. pataslònf... D'un tratto il miracolo: sotto un portone, al riparo dalla neve, un bel mozzicone lungo come una signorina. Il Cecchi è lesto a tirar fuori dalla tasca il chiodo e agganciarlo sulla punta dell'ombrello. Si guarda intorno con circospezione. Nessuno. Veloce, infilza la cicca stando bene attento a non trapassare il cilindretto da parte a parte, il che renderebbe impossibile l'immediata degustazione. Perfetto. Se la infila in bocca e si rimette a camminare. La vie en rose... Passa una ragazza fumando: una vera ochetta col pieno... Bella sgarzulina, mi darebbe da accendere? Ma lei fa un salto e scantona in fretta. Il Cecchi impreca, perché si sente guardato come se venisse da un altro pianeta: ma anche tu invecchierai, cara la mia gallinella dora, che se credi che io sia nato rugoso dall'a alla zeta, pronto per andà a la Baggina a ferrare i conigli, be' ti sbagli di grosso... Ah, che pena diventar vecchi: dove stringe la scarpa lo sa solo chi l'ha in piede...
Un giovanottone, anche lui svicola via. Ma cosa te crédet anca ti, d'aver visto il diavolo, grand-e-ciùla che sei? Finalmente un uomo si ferma, porge l'accendino. L'estasi della prima boccata, quasi una vertigine; come quando al mattino, svegliandosi, si scopre con la sensazione di aver compiuto sessantanni in un attimo: quasi non fosse esistito nulla tra il bambino di un tempo e il Cecchi attuale... Un soffio e siamo al tandèmm, con l'olio santo in saccòggia e la nostra bella fotografia di porcellana da metter sulla tomba. Eh, semm-chì pruvisòr e vemm da-là fiss. Amen.
Cento lire per terra. La manna caduta dal cielo. Subito un bar per bere. Peccato essere in centro: tutti posti chic, cari come un occhio della testa. Ma per una volta crepi l'avarizia, tanto più che l'è carnevale. Il Cecchi spinge la porta a vetri ed entra in un locale violentemente rischiarato dal neon, adesso va di moda quest'illuminazione-qui, 'sti tubi che sono a quanto pare pieni di un gas raro... Al banco la gente si ritrae, schifiltosa. Ragazzo, vino rosso in un bicchiere di birra, prego! Come, non si può? Fàmm-nógirà 'I bulìn dul rèff: io ci ho qui da pagare... Ah, come va giù bene, come carezza il cuore: il vino rosso è galantuomo... Il Cecchi è preso da una gran voglia di parlare. E racconta che, visto che tra un po' verrà la primavera e lui non ha intenzione di restare al chiuso nel dormitorio di Bande Nere, lui ha fatto per tempo domanda per avere la residenza sotto un ponte dell'alzaia; ma al comune ridono, municìpi e guvern l'è 'na massa de ladrùni; c'è un impiegato - frégg 'me un biss - che mi dice sempre: «Torni la settimana prossima, vedremo...», insomma al fa la proeuva de l'umètt. Non sai cosa l'è la proeuva de l'umett? Ma che razza di milanese sei? Succede al sarto, quando un cliente non è soddisfatto da un abito, adducendo un difetto qui, un difetto là: allora il sarto lo prende indietro, assicurando che lo sistemerà subito, invece lo mette sull'umètt e dopo due giorni lo consegna tal quale... È che al comune nessuno bada ai diritti di un barbone. E io so soltanto questo: che la lepre, quando si è presa i pallii nel culo, cade almeno su qualcosa di peloso; invece nòi,poer barlàsc... Altro che Milàn col coeur in mani Ball! Qui bisogna comprare anche l'aria. Gente avara, ga vegn-via-nó gnanca la pèll di pioeùcc. E a me cosa resta? Niente. Una salus victis nullam sperare salutem... Cosa ridi tu? È latino, il buon Virgilio. Ma cosa sto qui a spiegare a te, 'gnurantùn, che avrai fatto sì e no la terza in treno.'..
Fuori è un sabato grasso di ombra e di gelo. Tira, molla e messèda, i pensieri si sono ingarbugliati di nuovo. Il Cecchi riprende la strada, battendo a ogni passo un colpo secco di ombrello, per non sbandare... Ecco il dormitorio, letto numero trentuno. Meno male che viene la panacea del sonno e nella memoria una voce di donna che canta: «Ninanàna, bobò...».