lunedì 30 giugno 2008

lo studio nascosto sui danni da telefonino

Perché Interphone non e' ancora stato reso pubblico?
Il più importante studio sui rischi
del telefonino continua a ritardare
I dati emersi rimangono misteriosamente in attesa
di pubblicazione

Le informazioni contenute nello studio Interphone – un progetto internazionale da 15 milioni di euro coordinato dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) per identificare possibili relazioni tra tumori di testa e collo e utilizzo dei telefoni cellulari – avrebbero dovuto essere rese pubbliche più o meno tre anni fa, ma i ricercatori coinvolti nel progetto continuano a tergiversare e non si decidono a rivelare i risultati della ricerca. Come mai?

SOSPETTI – Secondo indiscrezioni, il motivo di tale ritardo risiederebbe nel fatto che le informazioni raccolte negli ultimi 10 anni nei 13 Paesi interessati dall'indagine confermerebbero la pericolosità del dispositivo portatile più popolare del mondo. Ma la spiegazione ufficiale di tale ritardo è un'altra. A quanto pare, infatti, gli scienziati sono divisi: stanno discutendo dell'attendibilità dei dati forniti dai pazienti e non riescono ad accordarsi sull'interpretazione degli stessi in rapporto alle emissioni elettromagnetiche. Come ha spiegato l'oncologo svedese Lennart Hardell, la «memoria fallibile» di chi è malato di tumore al cervello è il motivo principe del disaccordo tra gli specialisti: secondo alcuni, le informazioni fornite dai pazienti che hanno partecipato alla ricerca potrebbero non essere attendibili, e questo vizierebbe di fatto i risultati del rapporto Interphone. Quindi pubblicare i dati così come sono «non sarebbe onesto nei confronti dei consumatori: lo studio è stato pagato con soldi pubblici e gli scienziati hanno una responsabilità», ha sottolineato Hardell.

PUBBLICAZIONI E CAUTELA – Tuttavia, alcune delle nazioni coinvolte nel progetto hanno già pubblicato parte dei risultati, rivelando dati poco rassicuranti. Come per esempio che il rischio di ammalarsi di tumore è più elevato per i cosiddetti heavy users, ossia coloro che hanno utilizzato il cellulare sempre dallo stesso lato della testa per un periodo di tempo superiore ai 10 anni, Ma la World Health Organization la Commissione europea hanno provveduto ad avvertire che fino a quando lo studio Interphone non sarà ufficialmente reso pubblico, qualsiasi conclusione sui rischi derivanti dall'uso del telefonino non potrà essere considerata attendibile. E a quanti seguitano a chiedere quando saranno finalmente diffusi i dati di Interphone, i responsabili rifilano sempre la solita risposta standard: «Se tutto va bene, presto».

Alessandra Carboni
30 giugno 2008 - la repubblica

vedi anche post di sabato 5 gennaio 2008

giovedì 26 giugno 2008

stiglitz: gli errori della lotta all'inflazione

Tutti gli errori della lotta all' inflazione

Repubblica — 23 giugno 2008 pagina 27 sezione: COMMENTI
I presidenti delle banche centrali costituiscono un club molto chiuso e sensibile alle mode. Nei primi anni Ottanta, ad ammaliarli fu il monetarismo, una teoria economica semplicistica rappresentata in primo luogo da Milton Friedman.
Dopo la caduta in discredito del monetarismo, la cui adozione fu pagata a caro prezzo da svariati Paesi, iniziò la ricerca per un nuovo mantra.
La risposta arrivò con l' inflation targeting, una strategia di politica monetaria secondo la quale ogniqualvolta la crescita dei prezzi supera un livello prestabilito devono essere alzati i tassi di interesse. Una ricetta suffragata da scarse elaborazioni di teoria economica e modeste prove empiriche: non vi sono ragioni per ritenere che la migliore risposta sia un rialzo dei tassi di interesse, indipendentemente da quali siano le fonti dell' inflazione.
La speranza è che la maggior parte dei Paesi sia abbastanza sensata da non adottare l' inflation targeting. Le mie simpatie vanno in ogni caso ai cittadini di quei Paesi che lo hanno fatto (Israele, Repubblica Ceca, Polonia, Brasile, Cile, Colombia, Sudafrica, Thailandia, Corea, Messico, Ungheria, Perù, Filippine, Slovacchia, Indonesia, Romania, Nuova Zelanda, Canada, Regno Unito, Svezia, Austria, Islanda e Norvegia).
L' inflation targeting quasi certamente fallirà. I tassi di inflazione più alti che si trovano ad affrontare oggi i Paesi in via di sviluppo non sono da imputarsi a una gestione macroeconomica più carente, bensì ai prezzi in impennata del petrolio e delle materie prime alimentari e, inoltre, in questi Paesi queste voci rappresentano una quota della spesa media delle famiglie assai più alta rispetto a quella delle famiglie nei Paesi ricchi.
In Cina, per esempio, l' inflazione si sta avvicinando, o sta già superando, l' 8 per cento; in Vietnam è persino più alta e si prevede che quest' anno sfiori addirittura il 18,2 per cento; in India è del 5,8 per cento. Negli Stati Uniti, invece, l' inflazione si è attestata al 3 per cento.
Si deve dedurre che questi Paesi in via di sviluppo devono alzare i tassi d' interesse in misura molto maggiore rispetto agli Stati Uniti?
L' inflazione in questi Paesi è, per la maggior parte, importata.
Tassi d' interesse più alti avrebbero effetti esigui sul prezzo internazionale dei cereali o dei carburanti. Anzi, se si considera la dimensione dell' economia statunitense, è logico presumere che un suo rallentamento possa avere effetti sui prezzi a livello mondiale di gran lunga superiori a quelli di un rallentamento in qualsivoglia Paese in via di sviluppo, un dato che, se si assume una prospettiva globale, indica che è negli Stati Uniti e non nei Paesi in via di sviluppo, che dovrebbero essere ritoccati al rialzo i tassi.
Finché i Paesi in via di sviluppo restano integrati nell' economia globale i prezzi domestici del riso o degli altri cereali sono destinati a subire un incremento significativo ogni qual volta lo subiscono quelli internazionali.
Per molti Paesi in via di sviluppo, gli alti prezzi del petrolio e delle materie prime alimentari rappresentano una tripla minaccia: non solo i Paesi importatori si trovano a sborsare di più per le granaglie, ma devono anche spendere di più per farle arrivare in questi Paesi, con un' ulteriore spesa per farle arrivare a quei consumatori che risiedono lontano dai porti.
L' incremento dei tassi d' interesse potrebbe ridurre la domanda aggregata, rallentando a sua volta l' economia e mitigando così i prezzi di alcuni beni e servizi, in particolare di quelli non determinati dal mercato. Ma, a meno che non siano portate fino a livelli intollerabili, queste misure, di per se stesse, non sono in grado di abbassare l' inflazione ai livelli target. Per esempio, anche se il ritmo dell' aumento dei prezzi dell' energia e delle materie prime alimentari a livello mondiale dovesse rallentare rispetto a quello attuale - scendendo a un 20 per cento l' anno, per esempio - e ciò si riflettesse sui prezzi interni, per fare scendere il tasso di inflazione complessivo a, diciamo, un 13 per cento, occorrerebbe una netta caduta dei prezzi da qualche altra parte. Ciò comporterebbe quasi sicuramente un significativo rallentamento dell' economia e un alto tasso di disoccupazione. La cura sarebbe peggiore della malattia.
Che cosa si dovrebbe fare dunque? Innanzitutto, non si dovrebbe addossare la responsabilità di un' inflazione importata ai politici o ai presidenti delle banche centrali, così come non deve essere attribuito loro il merito di una bassa inflazione quando l' ambiente economico complessivo è favorevole.
Ora si riconosce che buona parte del pasticcio nel quale si trova attualmente l' economia degli Stati Uniti è da imputare all' ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, mentre qualche volta gli si attribuisce il merito della bassa inflazione registrata negli Stati Uniti durante il suo mandato.
La verità è, invece, che negli anni di Greenspan, gli Stati Uniti hanno beneficiato di un lungo periodo di caduta dei prezzi delle materie prime e della deflazione in Cina, elementi che hanno contribuito a mantenere i prezzi dei manufatti sotto controllo.
Secondo, è necessario prendere atto che questi alti prezzi possono rappresentare un terribile stress per le popolazioni e, in particolare, per le persone a basso reddito. Le rivolte e le proteste che si sono avute in alcuni Paesi in via di sviluppo ne sono solo la manifestazione più evidente.
Più di 25 anni fa, ho dimostrato che, in condizioni plausibili, la liberalizzazione del commercio avrebbe potuto peggiorare la situazione per tutti. Non mi stavo pronunciando a favore del protezionismo, bensì richiamando alla cautela e ricordando la necessità di tenere presenti i rischi e di essere pronti ad affrontarli.
Nel caso dell' agricoltura, i Paesi industrializzati, come gli Stati Uniti o come i Paesi membri dell' Unione Europea, proteggono sia i loro consumatori sia i loro agricoltori da questi rischi. La maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, invece, non ha le strutture istituzionali o le risorse per fare altrettanto. Molti stanno imponendo delle misure di emergenza quali tariffe o divieti sulle esportazioni per aiutare i propri cittadini, ma ciò avviene a spese della popolazione di altri Paesi.
Se si vuole evitare una reazione ancora più forte contro la globalizzazione, l' Occidente deve rispondere rapidamente e con forza.
I sussidi per i biocarburanti, che hanno favorito una riallocazione delle terre dall' alimentazione all' energia devono essere revocati. Inoltre, alcuni dei miliardi che si spendono per i sussidi agli agricoltori in Occidente dovrebbero essere destinati ora ad aiutare i Paesi in via di sviluppo più poveri a soddisfare il loro fabbisogno minimo di cibo ed energia.
Tuttavia, più importante ancora è che sia i Paesi industrializzati sia i Paesi in via di sviluppo abbandonino la strategia dell' inflation targeting. La lotta per fare fronte ai prezzi in continua crescita delle materie prime alimentari e dell' energia è già dura abbastanza. La più debole economia e il più alto tasso di disoccupazione che comporta l' inflation targeting non avranno grandi effetti sull' inflazione, ma renderanno soltanto più arduo il compito di sopravvivere in queste condizioni.

L' autore ha vinto il premio Nobel per l' economia nel 2001. Il suo ultimo libro, scritto assieme a Linda Bilmes, è The Three Trillion Dollar War: The True Costs of the Iraq Conflict (La guerra da tremila miliardi di dollari: il vero costo del conflitto iracheno) Copyright Project Syndicate, 2008 Traduzione di Guiomar Parada - JOSEPH E. STIGLITZ

il caso chirac, immunità con alcune regole

Repubblica — 25 giugno 2008 pagina 26 sezione: COMMENTI
Caro Augias, sono rimasto basito, per usare un' espressione soft, quando, nel corso di un recente dibattito televisivo, l' avvocato Gaetano Pecorella, per giustificare il decreto sulla sospensione dei processi, ha addotto una motivazione che mi è sembrata incredibile. Il capo del Governo, «forgiandosi» una legge ad personam, avrebbe dimostrato grande responsabilità, in quanto, se (dio non volesse!) egli fosse condannato ad almeno sei anni di reclusione (parole dell' avv. Pecorella), il Bel Paese ne soffrirebbe in modo «tragico», perdendo la sua tanto agognata stabilità politica, che ora lo rassicura e lo rende credibile agli occhi della Comunità Europea (!). Da ciò, deduco che la coscienza di una persona può funzionare con il timer, ad intervalli: prima delle elezioni, il premier ha glissato su questo ben noto lato oscuro e deprecabile della sua vita pubblica, ora anche per tramite dell' avv. Pecorella, mostra il suo grande senso di responsabilità. Difficile, prendere in considerazione l' ipotesi che l' operazione miri al solo fine di evitare di perdere il potere! L' aggiunta, poi, del velato ricatto che, se questa indesiderata (per il premier!) possibilità si materializzasse, il paese perderebbe la stabilità raggiunta grazie ai suoi meriti, ha minato ogni mia capacità di reazione! Giancarlo Reggiani giancarlo.reggiani@gmail.com

risposta di Augias:

Molti paesi democratici e con una civiltà giuridica avanzata considerano che alcune alte cariche dello Stato siano non imputabili. La norma ha varie ragioni intuibili. In una società democratica si raggiungono gli alti livelli per voto popolare; non si tratta certo di una consacrazione come ai tempi degli imperatori e come qualcuno anche oggi sembra credere, ma è pur sempre la volontà della maggioranza degli elettori che si concentra sulla persona prescelta. Un' altra possibile ragione sono gli sconquassi interni e internazionali che l' arresto di una persona investita di un' alta carica può provocare con un danno per la collettività maggiore di quanto rappresenti l' obbedienza al principio che la legge è uguale per tutti. Se la legge è uguale non tutte le funzioni lo sono. Proprio in questi giorni l' ex presidente della Repubblica Francese Jacques Chirac viene interrogato dai procuratori di Parigi in ordine a certi non limpidi trascorsi che risalgono al periodo in cui era sindaco della capitale. Procedimenti rimasti interrotti per tutti gli anni del suo doppio mandato all' Eliseo. La norma della salvaguardia va però integrata con un' altra norma: che alla fine del mandato la persona non è più rieleggibile e comunque non può ricoprire un' altra carica pubblica fino a quando la sua posizione non venga chiarita davanti alla magistratura. Mancando questa seconda parte allora la norma salva-qualcuno rivela la sua pretestuosità e viola gravemente il principio richiamato più sopra con la conseguenza paradossale di spingere verso cariche sempre più alte chi invece dovrebbe sedere davanti ai magistrati per rispondere, carte alla mano, a certe domande.

veronesi: una crudeltà per gli animali e per noi stessi

Repubblica — 25 giugno 2008
Sono vegetariano da quando ho iniziato a scegliere, e la mia è una scelta d' amore, di filosofia e di scienza. Di amore per gli animali e per la vita in tutte le sue forme, specialmente quando è inerme e non può far valere il suo bisogno disperato di sopravvivere. Nessuna esistenza è piccola, nessuna è insignificante. Mangiare è una forma di celebrazione della vita, e non negazione della vita stessa ad altri esseri viventi, perché "inferiori". Non c' è una differenza biologica fra animali. Perché allora ci fa orrore il pensiero di mangiare il nostro cane, ma massacriamo ad ogni Pasqua centinaia di agnelli per fare festa? La filosofia del vegetarianesimo è la non-violenza e la violenza a cui gli animali da macello sono sottoposti è efferata e crudele. La pratica della macellazione poi è un rito ripugnante: l' animale viene stordito per poi essere sgozzato in modo che la morte avvenga per dissanguamento, affinché la sua carne prenda un colorito più chiaro.
Rinunciare alla carne inoltre è per me anche una forma di solidarietà e responsabilità sociale. In un mondo che ha fame, il consumo di carne costituisce uno spreco enorme: se oltre 820 milioni di persone soffrono la fame è anche perché gran parte del terreno coltivabile viene riservato al foraggio per gli animali da carne. I prodotti agricoli a livello mondiale potrebbero essere sufficienti a sfamare tutti, se non fossero in gran parte utilizzati per alimentare gli animali da allevamento. Senza contare che il consumo eccessivo di carne è nocivo per la salute. Le cosiddette "malattie del benessere" (diabete non insulino-dipendente, aterosclerosi, obesità) colpiscono chi abusa di pasti copiosi e ricchi di grassi animali, mentre è dimostrato che una dieta ricca di vegetali ci protegge e ci aiuta a mantenere più a lungo il nostro benessere. Sono scientificamente convinto che il vegetarianesimo è una scelta non solo opportuna, ma obbligata. Per nutrire una popolazione in aumento costante saremo costretti a diventare vegetariani, ritornando in fondo alla nostra natura originaria.
In termini evoluzionistici l' uomo discende dalla scimmia: il nostro organismo è programmato proprio per il consumo di frutta, verdura e legumi e il nostro metabolismo è come quello dell' orango che si nutre di cereali e vegetali. Una dieta priva di carne non ci indebolirebbe certamente, e ci rimetterebbe in armonia con gli equilibri naturali perfetti del nostro pianeta. - UMBERTO VERONESI

Diventate vegetariani e salverete la Terra

Repubblica — 25 giugno 2008

MILANO - Un giorno di cibo vegetariano alla settimana per salvare la Terra dall' effetto serra.

La crociata viene rilanciata da Paul McCartney: per dare un futuro al mondo bisogna rinunciare alla bistecca. «Lo dice persino l' Onu», sostiene l' ex Beatles. Un giorno d' insalata alla settimana per salvare il pianeta. Nell' era dell' effetto serra, dei prezzi alimentari alle stelle e del Polo Nord che si scioglie come un ghiacciolo all' orzata nella canicola d' agosto, Paul McCartney - risolti i suoi guai patrimonial-matrimoniali - rilancia la vecchia crociata della scelta vegetariana.
Una volta era questione di religione (come per i 150milioni di indù che non mangiano carne) o di moda. Oggi, dice lui, il problema è un altro: c' è da garantire un futuro al mondo. Come? Dando l' addio alla bistecca. «Lo chiede persino l' Onu - ha proclamato l' ex-Beatles, che da anni ha scelto un regime alimentare "verde" - Se vogliamo combattere i cambiamenti climatici dobbiamo mangiare meno carne. Magari eliminandola dalla nostra dieta del lunedì. È un' abitudine da prendere, come andare in palestra e per di più si fa del bene al globo».
Dargli torto - dati alla mano - è difficile. Certo, vista dalla tavola di casa nostra la situazione non sembra poi così nera: un vassoio di salumi, un filetto al sangue o un pollo ai ferri sembrano piatti normali, sono buoni e (in apparenza) sani. Eppure, scientificamente parlando, Paul McCartney ha ragione. Un carpaccio di manzo inquina più di un Suv. Un hamburger divorato al tavolino di un fast food rischia di essere più destabilizzante per gli equilibri geopolitici mondiali di un conflitto locale nel Corno d' Africa. E i vegetariani (centinaia di milioni nel mondo, 2,9 milioni per l' Eurispes in Italia) sono i nuovi Gandhi del terzo millennio. Terrorismo gastronomico? Tutt' altro. La tavola è un business e la carne è il suo status symbol più ambito, il termometro della ricchezza di un paese. Nel 1961 il mondo ne consumava 71 milioni di tonnellate, oggi siamo a quota 248 milioni di tonnellate, cifra destinata a raddoppiare nel 2050. Niente di male, naturalmente, se non fosse che questa metamorfosi alimentare ha cambiato per sempre il pianeta, mettendo in allarme non solo l' ex-Beatles e le comunità salutiste ma anche i grandi organismi internazionali come la Fao.
Il problema - al di là del rispetto per la vita degli animali - è quello più pragmatico dell' allocazione delle risorse. Una bistecca ne consuma molte più di una scodella di insalata o di un piatto di pastasciutta. E - come dimostra la folle corsa dei prezzi delle materie prime alimentari di questi mesi - non si tratta di risorse inesauribili.
Prendiamo l' acqua: per produrre un chilo di carne se ne consumano 20mila litri contro i 200 circa che bastano per mettere in tavola un chilo di lattuga. Passiamo al frumento, protagonista negli ultimi dodici mesi di un rialzo (+170%%) che non ha nulla da invidiare a quello del petrolio.
Nel 2008 (stime Fao) il mondo ne produrrà circa 2,13 miliardi di tonnellate di cui però solo 1 miliardo verranno trasformate in pane, spaghetti o biscotti. Circa 100 miliardi, invece, andranno ad arricchire l' industria dei biocarburanti mentre ben 760 milioni finiranno nei silos e nelle mangiatoie degli allevamenti di bestiame in tutto il mondo.
Peccato che per far ingrassare di mezzo chilo un manzo servano circa quattro chili di cereali e che un vitellone ben pasciuto da 475 chilogrammi arriva al macello dopo aver ruminato nella sua breve vita quasi 1.300 chili di derivati dal frumento. Uno spreco "energetico" che diventa un rischio sociale in quei paesi del terzo mondo dove la corsa dei prezzi del grano non è solo una questione di dieta ma piuttosto di sopravvivenza quotidiana.
L' inglese "The vegetarian Society" ha calcolato che la Gran Bretagna riuscirebbe a sfamare tutti i suoi abitanti con un regime vegetariano coltivando la metà (3 milioni di ettari) della terra che si lavora oggi senza riuscire - peraltro - a regalare al paese l' indipendenza alimentare. Il lunedì verde di McCartney però ha un altro obiettivo.
Un mondo vegetariano - o perlomeno un mondo che consuma meno carne - è un mondo più pulito. Anche in questo caso basta un dato a fotografare il problema: gli allevamenti di bestiame sono responsabili per il 18% della produzione dei gas che causano l' effetto serra. Più di quelli prodotti dalle macchine, dai camion e dagli aerei sulle strade e nei cieli del mondo. L' economista Jeremy Rifkin è categorico: «La carne inquina più del petrolio, andrebbe tassata come la benzina». Non ha tutti i torti: l' istituto superiore di Agricoltura e allevamento di Tokyo ha calcolato, per rimanere in tema, che un chilo di manzo (più o meno il taglio di un buon arrosto sulla tavola di una famiglia italiana la domenica) genera emissioni di diossido di carbonio pari a una macchina che viaggia per 250 chilometri e brucia l' energia necessaria per tenere accesa per 20 giorni una lampadina da 100 watt.
Senza contare i vantaggi ambientali derivati da un miglior uso della terra: per l' università di Cornell una dieta vegetariana "impegna" la produzione di mezzo ettaro di terra l' anno contro gli 1,3 di chi si trova nel piatto due etti e mezzo di carne al giorno. Senza contare che mucche, pecore, capre e maiali occupano oggi da soli il 26% delle terre emerse non coperte da ghiacci.
Non è un caso forse se la bandiera di un' alimentazione a base vegetale - prima che si scomodasse l' ex Beatles - è stata sventolata anche da una testa fine come Albert Einstein: «Nulla darà più possibilità di sopravvivenza alla terra quanto un' evoluzione verso una dieta vegetariana», diceva con la solita preveggenza. Un pianeta con meno bistecche e più insalata, però, non è solo una garanzia di lunga vita per il pianeta ma anche, meno prosaicamente, per chi sceglie di seguire i consigli di McCartney.
I vecchi luoghi comuni secondo cui un' alimentazione priva di carne partorisce uomini scheletrici e fanciulle esangui sono scientificamente sfatati da tempo. L' American Dietetic Association ha riabilitato la dieta "verde" dal 1990 definendola «equilibrata». Il resto lo dicono le statistiche.
Uno studio della Oxford Vegetarian society su 11mila persone durato 20 anni ha dimostrato che i morti per malattie cardiache sono il 43% in meno tra i vegetariani. Merito, come ovvio, del minor tasso di colesterolo nel sangue. Gli avventisti del settimo giorno - una confessione dove il no alla bistecca è una questione religiosa - sono uno dei campioni di popolazione a stelle e strisce dove l' incidenza di ischemie e di tumori al colon e alla mammella è minore. E quanto ai fisici scheletrici, il problema del terzo millennio, come sappiamo, è l' opposto: l' obesità.
E anche qui i numeri la dicono lunga: il girovita abbondante è un problema per il 18% degli americani ma solo (si fa per dire) del 6% di quelli che mangiano solo vegetali. Cifre importanti che per un Occidente che spende l' 1% del Pil per combattere le conseguenze sanitarie e sociali della pinguedine. Statistiche e ritorni economici non sono però l' unica stella polare che guida l' esercito in crescita (soprattutto tra le teen-ager) dei vegetariani. L' utopia resiste ancora. «Come sarebbe la terra se nessuno mangiasse carne? La prima immagine che mi viene in mente è quella di un pianeta senza conflitti», dice Carmen Somaschi, presidente dell' Associazioni vegetariani italiani. Fare l' amore e non la guerra, come si diceva all' epoca dei figli dei fiori. E se proprio si è vegetariani e non si trova l' anima gemella, non ci sono problemi. Il futuro è già qui: il sito "www. greensingles. com" organizza appuntamenti galanti per accoppiare gli sfidanzati anti-bistecca. Se ci si affretta, magari, si trova anche McCartney in lista. - ETTORE LIVINI

mercoledì 25 giugno 2008

Contro il nucleare

Sono oltre milleduecento i docenti universitari e i ricercatori che hanno
sottoscritto un appello sulle scelte energetiche per il futuro dell'Italia,
trasformato in una lettera aperta al premier Berlusconi, possiamo
sottoscrivere anche come semplici cittadini, ecco il link

http://www.energiaperilfuturo.it/

martedì 24 giugno 2008

Acoustic Franciacorta 2008

E' disponibile il programma di ACOUSTIC FRANCIACORTA 2008
5 a edizione - 5-6-7 e 12-13-14 settembre
festival di musiche e suoni dal mondo: la chitarra.

Quest'anno sono due week end, in provincia di Brescia,

http://www.franciacortalaif.it/laif_sito/af.htm

armi nucleari a rischio in italia

In Italia armi nucleari Usa a rischio
Il Pentagono: non sicure le basi in Europa con testate atomiche. Allarme Ghedi (BS)

ALBERTO MATTONE


ROMA - A rischio alcune basi Nato in Europa dove gli americani nascondono le testate nucleari. «Mancano le misure di sicurezza considerate come standard dal Pentagono» e non messe in atto dai paesi alleati, scrive il dipartimento della Difesa Usa. E tra queste c´è anche quella di Ghedi di Torre, in Provincia di Brescia, dove ci sarebbe un arsenale segreto di una quarantina di bombe atomiche. L´allarmante rapporto riservato dell´Air Force degli Stati Uniti è stato divulgato, sul proprio sito, dalla Federazione degli scienziati americani (Fas). E rivela problemi di sicurezza «molto maggiori nel Vecchio Continente di quanto si conoscesse fino ad ora».

I siti militari di cui parla l´indagine, ordinata dopo che lo scorso agosto 6 ordigni atomici vennero imbarcati per errore in un B52 che sorvolò tutti gli Stati Uniti, sono quelli in cui sono custodite le testate nucleari. Queste, si trovano in basi europee controllate dagli Usa (come accade per Aviano, in provincia di Pordenone), ma alcune sono custodite in strutture nazionali (Ghedi Torre) dove sono però materialmente controllate da unità specializzate Usa (Munition Support Squadron). Il rapporto dell´Air Force americana, parzialmente declassificato, suscita apprensione. Non c´è nessuna cifra ufficiale, ma in Europa ci sarebbero almeno 350 bombe atomiche americane nelle basi Nato dislocate tra Belgio, Olanda, Turchia, Italia, Gran Bretagna e Germania. «Quelle messe sotto accusa - spiega la Federazione degli Scienziati statunitensi - sarebbero la maggior parte di queste». Tra quelle segnalate c´è sicuramente Ghedi di Torre e la tedesca Buechel. Ma ci sono sospetti anche sulle basi di Kleine Brogel (Belgio) e Volkel (Olanda). Il dipartimento della Difesa americano ha accertato «problemi agli edifici di supporto, alle recinzioni dei depositi, all´illuminazione e ai sistemi di sicurezza». Inoltre, «a guardia delle basi - rivela il rapporto - vengono impiegati soldati di leva con pochi mesi di addestramento».

Nel nostro Paese ci sono una novantina di testate nucleari dislocate a Ghedi di Torre e Aviano. In queste due basi ci sarebbero tre tipi di ordigni chiamati in gergo "B61-3", "B61-4" e "B61-10", con una potenza complessiva pari a 900 la bomba di Hiroshima. Se esplodessero tutte insieme, sarebbero capaci di cancellare metà dell´Italia. L´ispezione condotta di recente in Italia dal comandate dell´aeronautica Usa in Europa, il generale Roger Brady, avrebbe convinto gli americani a smobilitare proprio la base di Ghedi e a trasferire, in futuro, gli ordigni atomici ad Aviano.

«Ora si indica che nella base del mio centro ci sono bombe atomiche - attacca la sindaca di Ghedi di Torre, Anna Maria Guarneri -. Con il collega di Aviano siamo stati tra i primi firmatari a favore della denuclearizzazione delle città italiane». Il ministro della Difesa non commenta. Mentre interviene sulla bocciatura da parte del Tar del progetto di ampliamento della base Usa a Vicenza. «Questa decisione non ci turba - spiega Ignazio La Russa - . Abbiamo dato mandato all´Avvocatura di fare ricorso al Consiglio di Stato. Gli impegni con gli alleati saranno mantenuti».


(la Repubblica, domenica, 22 giugno 2008)
(ha collaborato filippo tosatto)

il sogno danese

Il reportage La parola-chiave è flexicurity, ossia «flessibilità e sicurezza». Il risultato: alti salari e zero disoccupati
Il sogno danese? «Tutelati dallo Stato, non dai genitori»
A Copenhagen chi viene licenziato riceve tre anni di stipendio. «E per gli studenti, prestiti agevolati»

DAL NOSTRO INVIATO COPENHAGEN - La parola chiave, quella che fa sorridere Rune Rasmussen - non senza una certa aria di compatimento «per i poveri coetanei italiani, così frustrati» - è questa: «Flexicurity». Flessibilità e sicurezza insieme, ecco il segreto di Copenhagen. Contratti atipici e il welfare più efficiente del mondo. Stipendi alti (Rune, 32 anni, lavora da tre settimane nel dipartimento di Economia del Comune e guadagna 4 mila euro al mese) e disoccupazione tra le più basse d' Europa (il 2 per cento). Nessun salto nel vuoto se si perde il posto. Come a dire: se ti scade il contratto dopo sei mesi, non ti preoccupare, ci pensa lo Stato. «E se ti licenziano - continua Rasussen - ti devono pagare almeno tre anni di lavoro». Copenhagen, il paradiso dei trentenni. Coccolati, accuditi e tutelati non dai genitori (che «accompagnano» i figli fuori casa intorno ai 18 anni), ma dallo stato sociale. Sei in attesa di un posto? Oltre 1600 euro al mese di sussidio. Vuoi prenderti un' aspettativa e rimetterti a studiare? Benissimo, 6 mila corone di contributo mensile e l' asilo nido gratuito per i bambini. Serve un prestito mentre studi? Interessi bassissimi e si comincia a pagare dopo due anni dal primo impiego. Una macchina che funziona. Grazie alle tasse elevate che tutti pagano senza fare troppe storie (si va dal 35 al 63 per cento per i redditi più alti) e al samfundsrelevant, il senso di responsabilità sociale, bandiera dei danesi oltre all' hygge, quell' idea di accoglienza che si trasmette stando insieme. Certo, il lavoro non manca, anzi. Ai ricercatori stranieri, addirittura, si offrono agevolazioni fiscali (le tasse sono ridotte al 25 per cento). E gli stipendi sono alti. Altro che generazione mille euro. I salari sono decisi ogni anno dai sindacati di categoria: sotto una certa soglia non si va. Sofi, che fa la cameriera in un bar di Stroget, la zona pedonale della città, porta a casa 100 corone l' ora, poco meno di 15 euro. Brigitte Nielsen (come l' attrice, ma i giovani di Copenhagen a stento se la ricordano) ha 24 anni e un pancione di sette mesi. È iscritta a Scienze sociali e non potrebbe essere più serena: «Se rimani incinta mentre studi puoi ritardare di 12 mesi la data della laurea. E in più ricevi 5 mila corone di sussidio (circa 670 euro) ogni mese». Brigitte un fidanzato ce l' ha. «Peccato - scherza -: se sei una mamma single ti pagano molto di più». Investire sui giovani. Michala Hvidt Breengaard, ricercatrice dell' istituto di Sociologia dell' Università di Copenhagen (gratuita come tutti gli atenei del regno), spiega i capisaldi del welfare danese: «Gli studenti universitari ricevono 665 euro mensili lordi ogni mese. Un meccanico di 26 anni (37 ore di lavoro settimanale) guadagna intorno ai 3.600 euro, un laureato standard 3.800, un ingegnere 4.500. Ma le donne in genere hanno salari più bassi degli uomini». Commento di una danese che comunque ammette che «in effetti sì, lo Stato per le donne fa molto di più rispetto ad altri Paesi europei». Soprattutto per la famiglia. Kristian, 29 anni e Sophie, 30, hanno una bambina. Lui fa il manager (circa 7 mila euro al mese), ma ultimamente (per 14 settimane) è rimasto a casa (a stipendio pieno) per accudire la piccola Liva. «Tutti i papà della mia generazione - racconta - aiutano le compagne nell' accudire i figli». Come Robert Kiemmensen, 35 anni, docente a Scienze politiche, che in università ci porta la bimba di sei mesi. «I genitori, qualunque sia il loro reddito, ricevono un sussidio quadrimestrale esentasse. Sono 4.500 corone (600 euro) a tranche». Per quanti mesi? Robert si mette a ridere: «Fino al compimento del diciottesimo anno». Come se non bastasse, ci sono tassi agevolati per acquistare la casa, studentati a canone politico, fondi per disoccupati. E chilometri di piste ciclabili, asili per tutti (le babysitter sono praticamente inesistenti), biciclette gratuite da lasciare nelle rastrelliere comunali (basta infilare nel manubrio 20 corone, come al supermercato), criminalità quasi azzerata. Tanti buoni motivi per essere trentenni-danesi- contenti. Lo dicono anche le classifiche: l' ultima, quella della rivista inglese Monocle, indica Copenhagen come la metropoli più vivibile al mondo. I criteri su cui si è basata l' indagine: welfare, trasporti, lotta allo smog. Il top. E non è un caso che nei primi 20 posti non ci sia neanche una città italiana. * * * La scheda Laureati Un neolaureato danese guadagna circa 4 mila euro al mese. Il tasso di disoccupazione in Danimarca è tra i più bassi di Europa: 2 per cento Welfare A Copenhagen l' università è gratuita, le madri possono rimanere a casa dal lavoro per un anno (cresce il tasso di natalità), i padri per 14 settimane. Esistono sussidi per i disoccupati e per chi riprende a studiare Flessibilità Sì, ma con sicurezza. Ci viene licenziato può contare su un' indennità per tre anni

Sacchi Annachiara
Corriere della sera, 18 giugno 2008

la rivoluzione (verde) che portò fame

La rivoluzione che portò fame
Di Piero Bevilacqua

Se ne parla ormai con allarme da molti mesi. Agli abituali 800 milioni e passa di affamati annualmente censiti dalla Fao se ne va aggiungendo un numero imprecisato che aumenta di giorno in giorno. Analisti e commentatori hanno chiarito soprattutto le ragioni congiunturali di ciò che sta avvenendo.
Cescita della domanda, soprattutto di carne e quindi di mangimi nei Paesi emergenti, annate di prolungata siccità in importanti regioni cerealicole, vaste superficie di suoli convcrtiti ai biocarburanti, aumento del prezzo del petrolio, speculazione finanziaria sui titoli delle materie prime, ecc. E tuttavia l'attuale fase non è una congiuntura astrale, il fatale combinarsi di «fattori oggettivi».
Luciano Gallino, su Repubblica, ha ben messo in luce le responsabilità dell'Occidente nel determinare le condizioni dei nostri giorni. Ma le responsabilità non sono solo recenti, rimandano a una storia di scelte e di strategie che occorre rammentare se si vogliono trovare soluzioni durevoli a un problema di così scandalosa gravita.
La diffusione epidemica della fame nel mondo ha una origine storica ormai non più recente. Essa nasce con la rivoluzione verde avviata dagli USA negli anni 60 in vari Paesi a basso reddito e proseguita con crescente intensità nei decenni successivi. Quella rivoluzione venne definita verde perché essa aveva il compito strategico di contrastare, nelle campagne povere del mondo, l'onda rossa del comunismo. Essa doveva impedire che l'avanzare di una rivoluzione sociale - come quella che aveva consegnato la Cina al partito comunista di Mao -investisse altre aree del mondo povero di allora. Ed era verde non perché rivestisse anticipatrici connotazioni ambientalistiche, ma perché puntava a una radicale trasformazione tecnologica dell'agricoltura senza sovvertire i rapporti di proprietà. Non la liquidazione dei latifondi, ancora così diffusi in tutti i continenti, né la distribuzione della terra ai contadini, ma una via tecnologica. Essa puntava a innalzare la produzione unitaria, a modernizzare le campagne sul modello occidentale, risolvere il problema elementare del cibo per tutti e fornire così un potere stabile alle classi dirigenti locali amiche dell'Occidente. In una fase storica in cui una moltitudine di Paesi si stava liberando dal giogo coloniale una rivoluzione sociale nelle campagne costituiva una eventualità tutt'altro che remota..
La rivoluzione verde si è imposta attraverso un dispositivo molto semplice: la diffusione di un «pacchetto tecnologico» (technical package) composto da sementi ad alte rese, concimi chimici, pesticidi, ecc. Tutti gli elementi del pacchetto erano indispensabili e fra loro interdipendenti per la riuscita dell'innovazione. Senza i concimi chimici le sementi non davano rese elevate, senza i pesticidi le piante, create in laboratorio, venivano decimate dai parassiti. E occorreva, infine, un ricorso senza precedenti all'uso dell'acqua. D'un colpo i saperi millenari con cui i contadini avevano provveduto sino ad allora alla produzione del proprio cibo venivano sostituiti da uno schema tecnologico calato dall'alto su cui essi non avevano più alcun potere. Non potevano più utilizzare le loro sementi, perché dovevano ormai acquistarle all'esterno, e così il concime, i pesticidi, più tardi i diserbanti, ecc. Essi dovevano limitarsi ad applicare i dettami di una scienza esterna di cui non capivano i meccanismi e che alterava gravemente il loro habitat naturale. Ma la loro agricoltura diventava dipendente dall'industria agrochimica occidentale. Oggi i contadini che sono rimasti sulla terra subiscono l'aumento generale dei prezzi di tutti questi imput esterni dipendenti dal petrolio. Di passaggio rammentiamo che l'introduzione degli Ogm aggiungerebbe a queste spese di esercizio anche il pagamento delle royalties sui semi protetti da patenti: con quali vantaggi per risolvere il problema della fame è facile capire.
Ma allo spossessamento culturale si è accompagnato, ancor più violento, lo sradicamento sociale. La grande maggioranza dei contadini non era in grado di reggere le spese di esercizio di quella nuova agricoltura e abbandonava le campagne. D'altra parte, per applicare con piena efficienza economica il pacchetto tecnologico occorreva puntare sulle grandi aziende, accorpare le piccole proprietà coltivatrici, abolire le agricolture miste (che garantivano l'autosuffcienza alimentare delle famiglie), estendere le monoculture, introdurre i trattori. Era il trionfo dell'agricoltura industriale, con pochi addetti (in regioni del mondo affamate di lavoro) che aumentava significativamente la produzione globale dei vari Paesi, ma spingeva milioni di contadini ad abbandonare la terra, costringendoli a comprare il modesto cibo quotidiano che prima producevano con le proprie mani. Ma quei contadini non hanno trovato fonti di reddito alternative. Diversamente da quanto è accaduto in Europa o in USA, nella seconda metà del '900, non hanno avuto la possibilità di trovare lavoro nelle fabbriche o nei servizi urbani. Hanno creato un nuovo esercito di poveri. La crescita delle megalopoli asiatiche e latinoamericane, la diffusione delle baraccopoli in Africa e in varie altre regioni del mondo, nel secolo scorso, sono in gran parte l'esito di queste migrazioni rurali. E qui la fame trionfa.
A partire dagli anni 80, con le politiche della Banca Mondiale e del FMI volte a «orientare al mercato» le economie dei Paesi a basso reddito, le scelte avviate con la rivoluzione verde hanno ricevuto una definitiva consacrazione. Ma esse hanno mostrato, in maniera ineccepibile, il loro stupefacente fallimento. L'innegabile successo economico-produttivo di quelle scelte non ha affatto scalfito l'iniquità sociale dei rapporti sociali e dell'accesso ai mezzi di produzione, soprattutto alla terra. Esemplare il caso dell'India. Qui, tra il 1966 e il 1985 la produzione di riso è passata da 63 milioni di tonnellate a 128, facendo di questo Paese uno dei maggiori esportatori di derrate fra i Paesi poveri. Eppure la maggioranza degli oltre 800 milioni di affamati si trova oggi in India. Qui, nel 2000, si è verificato un surplus di cereali di 44 milioni di tonnellate, che sono state destinate all'esportazione, come vuole il credo liberista. Ma diversamente esemplare è il caso dello Stato indiano del Kerala. Qui, nel 1960, è stata realizzata un'ampia riforma agraria, che ha distribuito la terra ai contadini - il 90% della popolazione - assegnando a essi una superficie non superiore agli 8 ettari. La fame del resto dell'India qui è sconosciuta, l'ambiente è integro, le foreste ben curate. Eppure il Kerala ha una densità di 747 individui a km2, il triplo di quella della Gran Bretagna. D'altra parte è ben noto: numerose ricerche condotte in USA, in Europa e in giro per il mondo hanno mostrato la più elevata produttività unitaria della piccola proprietà coltivatrice rispetto alla grande azienda agricola. Senza considerare che essa garantisce la rigenerazione della terra, impiega poca energia, acqua, pesticidi, conserva la biodiversità agricola, riduce la produzione di CO2.
Dunque, dopo tanti decenni di questa strategia verde oggi tutti possono ammirarne i mirabolanti successi: il numero degli affamati nel mondo non è mai significativamente diminuito e oggi rischia di conoscere una nuova e tragica impennata. L'agricoltura dipende da potenze economiche inesistenti solo mezzo secolo fa: i colossi chimico-sementieri la cui strategia può condizionare la vita di intere popolazioni. Cargill, Dupont, Monsanto, ecc accrescono i loro affari mentre anche nella civilissima Europa si diffonde il salariato agricolo semischiavile e ovunque continua l'esodo dalle campagne. Eppure governi, organismi internazionali, esperti perseguono nel loro vecchio errore: voler trasformare le campagne del Sud nella copia delle agricolture industriali occidentali. La panacea è sempre la stessa, garantire l'espansione del cosiddetto libero mercato. Pazienza se il mondo tende a diventare un'immensa megalopoli e le campagne si ridurranno a poche monoculture lavorate con le macchine. Quanto agli affamati è sufficiente l'elemosina degli aiuti, che servono a smaltire le eccedenze agricole dei Paesi ricchi e a tacitare la coscienza delle più ipocrite classi dirigenti di tutta la storia contemporanea.

l'Unita' 4 Giugno 2008

Green collars, nuove professioni

Specialisti in ambiente, dall'esperto in riciclo all'ottimizzatore di sprechi, all'ecoauditor
di Laura Piccinini

Ora che ha vinto le primarie del Partito democratico, pare che il problema di Obama saranno i colletti blu, gli operai: senza la Clinton potrebbero votare McCain. Rimasti in minoranza, senza istruzione superiore, scettici nei confronti del senatore nero innovatore e così d'elite, oggi si sentono superati, anche per le migliaia di posti di lavoro persi per le delocalizzazioni. Proprio i blue collar erano stati i pionieri di quella catalogazione "colori & mestieri" che via via ha aggiunto i colletti bianchì impiegatizi o manageriali, i colletti grigi che in pensione non vogliono andare, i colletti rosa che per stereotipo sessista sarebbero baby-sitter e manicure, oggi anche i colletti dorati, 18-25enni che guadagnano poco e spendono tutto in vestiti o cellulari, vivendo a carico dei genitori.
L'Italia ha ampliato la gamma coi suoi primi silurati della Net economy, le tute o colletti arancioni dal logo della ditta che li ha fatti fuori (Virgilio). Finché sono arrivati quelli che potrebbero riconvertire tutto, reimpiegare tutti in un'unica, smagliante tonalità: i green collar, colletti verdi, ma è meglio mantenere l'inglese per non confonderli con le camicie della Lega nord. I green collar presidiano le professioni ambientaliste, sono impiegati nei settori dell'industria sostenìbile o della New green economy, che dovrebbe rinverdire i fasti tecnologici di Silicon Valley con il business delle energìe rinnovabili, dell'agricoltura e architettura a impatto zero: dall'ingegnere all'operaio eolico, dall'esperto di riciclo con sportello nei supermarket (o all'lkea) all'idraulico ambientalista obiettore, che o metti i pannelli solari o ti lascia con lo scaldabagno rotto, all'ottimizzatore di sprechi negli edifici. E consulenti vari e verdi. È la categoria preferita di Obama, si diceva, che ha già promesso I5Omìla miliardi di dollari per creare cinque milioni di green collar entro dieci anni. Quando erano ancora in gara, Hìllary Clinton gli è saltata addosso lamentando che colletti verdi l'aveva detto prima lei e lui le aveva tolto le parole di bocca. Lei, con quel fare da "signora so-tutto" che poi l'ha stroncata, disse: «Tutti conoscono i colletti blu e quelli bianchi, cosi io vi dico che d'ora in poi bisognerà parlare dei colletti verdi».
A quel punto il dibattito tra gli elettori blogger si è scatenato, ma tutti hanno riconosciuto che l'etichetta l'aveva già usata John Edwards prima di ritirarsi, e che nel '99 c'era stato il volume Green collars dell'ambientalista di Seattle Alan Durning. Perfino un "colletto sporco" come Bush, che non ha sottoscritto il protocollo di Kyoto per limitare le emissioni di gas serra, un anno fa firmò il green Jobs Act che stanziava 125 milioni di dollari per la riconversione dei colletti blu in adetti alle professioni sostenibili. Tutti verdi.
«Sarà un'etichetta opportunista, ma green collar è catchy, acchiappa», commenta Jason Salti, microimprenditore modello della green economy. E dimostra come il business ambientalista spazi dai pannelli solari agli skate, alle tavole da surf che produce nella fabbrica dì Ithaca, New York. «Sei dipendenti e materie prime locali reperite entro 300 miglia. Per una lega a base dì resina di soia, bambù del Nordamerica e canapa, brevettata dalla società "e2e" del professore di scienza delle fibre alla Cornell University, Anil Netravali.
Niente colla al petrolio, tutto biodegradabile». Ma quel che "jovanottìsticamente" gli preme è "lavorare positivo", in modo che tutti siano partecipi. Tenendo come slogan le tre P, «persone-pianeta-profitto, se ne salta una saltano tutti». Il suo motto: «Balle». Scherza? No, B.a.l.l.e. è l'acronimo di Business Alliance of Locai Livìng Economìes, rete dì 15mila imprese tipo la sua. Ha in mente di riprodurre lo stesso modello microsostenibile nel mondo. Ha già contattato un possibile socio in Italia, ma è «un po' lento a rispondere». Non tutta la lentezza è sostenibile, anche se «voi avete l'apripista della green economy, Slow Food».
Il timore di Salfi è che il sostenibile non sia accessibile: «Come guidare auto ibride, o far la spesa nei supermercati corretti, ma cari, della catena Whole Foods». Certo, ci sono ipocrisie peggiori: le multinazionali che fingono dì fare green-washing. «Guardate la General Electric, lancia il concorso Ecoimagination e poi fornisce i motori ai cacciabombardieri nucleari Falcon».
Salfi spera in Obama, ma il suo riferimento è Van Jones, uno che «pensa prima ai fatti che ai colori»: 39 anni, di Oakland, è un ex avvocato civilista che nel '96 ha fondato l'Elia Baker Center per i Diritti Umani, una no-profit per tenere i ragazzìnì di strada fuori di galera, e la green For AH, dedicata a far indossare i "colletti verdi" alle comunità svantaggiate, con corsi per installare pannelli solari o produrre compost. Parafrasando De Andre, "dal letame nascono i fior", si può dire che dai resìdui di cucina e giardino si ricava il miglior fertilizzante ecologico. E gli impieghi green collar, a differenza dei blu, «non sono delocalizzabili, gli edifici si riconvertono in situ», non in Cina. Intanto, alla Columbia University, titola l'Observer, sì prepara la prossima generazione di leader ambientalisti.
In Italia, a cercare su Google salta fuori lo Sportello di supporto all'ecocompatibile dei torinesi no-profit Effetto Terra, che rimandano alle Pagine Verdi di eco-lavori.it dal tecnico di lotta integrata all'ecoauditor (certificatore di sostenibìlità). Commenta Guido Viale, economista ambientale, consulente della Regione Campania dì Bassolino e autore di Azzerare i rifiuti (in uscita a settembre per Bollati Boringhierì): «È dagli anni 80 che l'Enea fa proiezioni fantascientifiche di crescita ambientalista. E poi?». Mancano «formazione on the job, così le aspettative dei laureati in ingegneria ambientale sono state disattese». Il personale è «insufficiente nell'idro-geologico (bonifica dei siti inquinati), e nessuno produce in serie i pannelli solari. Andate a vedere quanti ne hanno installati sui tetti in Grecia, invece, con gli incentivi statali». Viale, negli anni da consulente verde ha sperimentato solo "ecofrustrazione". Un esempio. «Con la microcogenerazione per produrre energia economica attraverso impianti che si ripagano in poco tempo, si finiva sempre in un collo di bottiglia burocratico: o non c'era una firma per i finanziamenti bancari o mancavano gli installatori. I corsi di formazione sono per i livelli alti, e a pagamento. Mancano addetti alla certificazione energetica degli edifici, oggi di norma nelle compravendite immobiliari», Green collarpotenziali sprecati. Il piano Industria 2015 di Bersani per l'efficienza energetica e la mobilità sostenibile è rimasto sulla carta, è applicato raramente. Nel privato c'è qualcosina: per esempio la Merloni ha aperto al fotovoltaico. «E il governo? Ripesca il nucleare, con l'uranio più scarso del petrolio e ramazzato da Russia, Cina e India», chiude Viale.
Frustrati i colletti verdi dall'attesa, ci si è consolati aggiornando altre cartelle colori, come quella dei confetti, con l'esemplare lillà promosso da Verdi d'Abruzzo e Arcigay: zucchero di canna del Brasile e vaniglia caraìbìca, politicamente corretto, ma a contare le food miles, non sostenibile.
repubblica elle donne, 21 giugno 2008

lunedì 23 giugno 2008

inquinamento alfa acciai: numeri utili

ALFA ACCIAI - Brescia:
APPENA VEDI FUMI STRANI, SENTI ODORI CHE TI IRRITANO LA GOLA O RUMORI MOLESTI
CHIAMA QUESTI NUMERI E CHIEDI IL LORO INTERVENTO
A.R.P.A. dalle 9 alle 17 0303847411 ( BRESCIA CENTRALINO )
A.R.P.A 02696661 (MILANO)
SINDACO 0302977205 0302977206
(PUOI SCRIVERE AL SINDACO - P.ZA DELLA LOGGIA 1 )
VICESINDACO 0302977209
ASSESSORATO AMBIENTE 0302978754
POLIZIA MUNICIPALE 0302978807
ASL BRESCIA 0303838255

(da un volantino ricevuto nella cassetta della posta)

La saggezza del barbone



Mi è piaciuto molto questo ritratto, pubblicato dal sole 24 ore il 23 marzo 2008:
La saggezza del barbone
di Laura Pariani

Laura Pariani ripercorre la giornata-tipo di uno dei più noti clochard milanesi, il “Cecchi”. Ex libraio, finito in carcere, scelse la strada. Dal dormitorio di Bande Nere ai bar sui Navigli.




La sveglia nel dormitorio di Bande Nere è il momento peggiore. Non tanto per il freddo, ché a febbraio non si può pretendere altro, quanto per gli odori sconci di tanti corpi ammucchiati. “Tituffa titoffa, chi l'è ca l'ha mullàa 'sta loffa.,.?” C'è già chi corre verso il bagno. I disgraziati visceri dei vecchi, pensa il Cecchi: la polvere di cui tutti siam fatti; che solo guardando i corpi altrui si constata la decadenza del proprio...
Aprire gli occhi. O fìurìtt dal Signùr mort, livée-sü che il sol l'è vòlt... Meglio uscire al più presto; II Cecchi si infila la giacca: è lisa, l'è ura da dàghela al Burella di Rho. Afferra l'ombrello che di notte tiene sotto il materasso. Il cappello calato sulle orecchie. In un attimo è alla porta: bisogna muoversi per riscaldarsi, ma adagio, col bastone che lo precede nella neve sciolta per evitare di scarligà. Purtroppo quest'anno il gelo di febbraio durerà un giorno in più: anno bisesto, anno molesto... Diretto verso il Naviglio, pestando le suole sul selciato perché il freddo già gli morde i geloni. Nello specchio di una vetrina il Cecchi si vede pallido: smort 'me 'na patta lavàa. Qui ci vuole un bicchiere. Subito subito. Una sosta a un baretto il cui proprietario gli offre sempre un bianchino: salute! e a chi non piace il vino, Dio gli tolga l'acqua...! Quàter paròl. Che il Cecchi è uno che sa raccontare. Per esempio di quando aveva la bancarella di libraio antiquario a piazzale Baracca; e poi dell'arresto, boja d'on mond, per tre rivistine con un paio di tette... l'inferno e i tribunali sono sempre aperti e in un esüssi m’hann fàj la fignòcca... mi a som come il Galileo, quello dei cannocchiali, un gran brav’òmm, anche se i preti del so temp la pensàven minga insci e l'hanno costretto all'abiura... cosa l'è l'abiura? l'è quando ti te pènsett ona roba giusta egli altri ti costringono a dire che l'è bagliada, e il libro del perché stampato ancor non è...
Il primo bianchino va giù in una gelata, scalda lo stomaco, rimette in moto la mente. Buon vino, favola lunga, anche se la memoria del Cecchi è un groviglio indurito: i suoi fili non sono più di carne sangue, ma di brume gelate in cui si intravedono immagini sbiadite, che forse sono ricordi ma potrebbero anche essere soltanto bolle d'un sogno che pare sia stata la sua vita. Che nei confronti del passato lui è un credente che ha perduto la fede: «Infelice bietolone, / che ti giova essere dotto, / se le scienze t'han ridotto / a passar per un coglione?»
Non restano che le ferite, il senso della perdita. «Perché fai il barbone?», gli domandano spesso. Ciùmbia, gli sbirri pigliano e il popolo impicca sicché, quando è uscito da San Vittore, tutti voltavan la testa dall'altra parte; e per soprassello il mondo gli faceva schifo da vomitare. O servi come servo o fuggì come cervo... Così, senza tanti tralalà, s'è messo in strada.
Uscendo dal bar raccoglie una sigaretta spezzata Ma chi butta via 'sto bendidio? Comprime accuratamente tra il pollice e indice il mozzicone nel punto dello strappo, per non lasciare nessun passaggio ; d'aria. Non c'è più il tabacco di una volta, gh'è in giro una rèlla, «congiuntura» la ciàman...
Neve che sfarfalla: quando nevica a minuto, la vuoi fare insino al buco. Ecco l'alzaia. Una lavandaia intenta a sfregare i panni. Il Gecchi resta a contemplare il muoversi di quel didietro. Un groppone sfiorito come ouverture della giornata. Sospira, lui che ai tempi del c'era-una-volta-e-una-volta-non-c'era amava considerarsi come un melomane dell'alcova, capace di scorrere il suo archetto sulla pancia svasata di tutti i violoncelli a due gambe che incontrava. Ma chi ha goduto, sgoda: c'est la vie... Eh, della vita di prima gli manca un bel letto con dentro una donna piacente, che l'è la roba pussé bella che esiste.
Il mondo va male perché la gente sta poco a letto a fare amorosanza. Presèmpio, se tutte le sedute dei tribunali se fasessen tücc bei strévaccàa su un materasso murasìno, di vera lana... Ah, come al sariss beli el mond, e il giudice mica mi avrebbe condannato.,
Quasi l'una. Dai, Cecchi, sta' minga a cinquantàlla, dis'ciùllas.'
L'è ora di pensare al pranzo. Molti barboni vanno al refettorio della San Vincenzo. Ha provato anche lui: uno stanzone di vecchi che sputazzano, minestra di zucca bacucca, pancottoni né frègg né cald. Ma lui dalle dame del biscottino non ci va: «Mangiò e béy in santa libertà, diga chi voeùr, l'è on gust cont i barbìs», dice il Porta. Parole sante. Il Cecchi preferisce il retro di un ristorante, la cui cuoca gli lascia un piatto sopra il bidone della spazzatura. Roba di prima qualità, peccato sia tutto mischiato, le tagliatelle con il cavolfiore e gli avanzi di formaggio, la fetta di torta che sa di aglio per quanto scrupolosamente il Cecchi cerchi di ripulirla. Mangiare e sospirare, sospirare e mangiare, a occhi semichiusi.
Ha smesso di nevicare. Di nuovo in cammino. Passin passetto, con l'anca legnosa per i reumi. Sputando i polmoni in colpi di tosse. Malarbètta neve, quante cicche perse in questa pancecca... Ma cosa aspettano gli spazzini a scoparla via? Lazzaroni! Fanigutùni! Varda-là uno che ciciàra sull'angolo, ogni dieci minuti un colpettino dì scopa, svelt come on gatt da màrmu... Nessuno ci ha più voglia di lavorare. L'Italia l'è malada. Zum zam, ci vorrebbe una bella scopa in mano a chi so io, zum zam, fuori! spazzar via tutto... Fissa attentamente il marciapiede;non tanto per cercarvi le cicche - inutilizzabili con questo fangoneve sporco di coriandoli - ma per la paura di scivolare. pataslònf... D'un tratto il miracolo: sotto un portone, al riparo dalla neve, un bel mozzicone lungo come una signorina. Il Cecchi è lesto a tirar fuori dalla tasca il chiodo e agganciarlo sulla punta dell'ombrello. Si guarda intorno con circospezione. Nessuno. Veloce, infilza la cicca stando bene attento a non trapassare il cilindretto da parte a parte, il che renderebbe impossibile l'immediata degustazione. Perfetto. Se la infila in bocca e si rimette a camminare. La vie en rose... Passa una ragazza fumando: una vera ochetta col pieno... Bella sgarzulina, mi darebbe da accendere? Ma lei fa un salto e scantona in fretta. Il Cecchi impreca, perché si sente guardato come se venisse da un altro pianeta: ma anche tu invecchierai, cara la mia gallinella dora, che se credi che io sia nato rugoso dall'a alla zeta, pronto per andà a la Baggina a ferrare i conigli, be' ti sbagli di grosso... Ah, che pena diventar vecchi: dove stringe la scarpa lo sa solo chi l'ha in piede...
Un giovanottone, anche lui svicola via. Ma cosa te crédet anca ti, d'aver visto il diavolo, grand-e-ciùla che sei? Finalmente un uomo si ferma, porge l'accendino. L'estasi della prima boccata, quasi una vertigine; come quando al mattino, svegliandosi, si scopre con la sensazione di aver compiuto sessantanni in un attimo: quasi non fosse esistito nulla tra il bambino di un tempo e il Cecchi attuale... Un soffio e siamo al tandèmm, con l'olio santo in saccòggia e la nostra bella fotografia di porcellana da metter sulla tomba. Eh, semm-chì pruvisòr e vemm da-là fiss. Amen.
Cento lire per terra. La manna caduta dal cielo. Subito un bar per bere. Peccato essere in centro: tutti posti chic, cari come un occhio della testa. Ma per una volta crepi l'avarizia, tanto più che l'è carnevale. Il Cecchi spinge la porta a vetri ed entra in un locale violentemente rischiarato dal neon, adesso va di moda quest'illuminazione-qui, 'sti tubi che sono a quanto pare pieni di un gas raro... Al banco la gente si ritrae, schifiltosa. Ragazzo, vino rosso in un bicchiere di birra, prego! Come, non si può? Fàmm-nógirà 'I bulìn dul rèff: io ci ho qui da pagare... Ah, come va giù bene, come carezza il cuore: il vino rosso è galantuomo... Il Cecchi è preso da una gran voglia di parlare. E racconta che, visto che tra un po' verrà la primavera e lui non ha intenzione di restare al chiuso nel dormitorio di Bande Nere, lui ha fatto per tempo domanda per avere la residenza sotto un ponte dell'alzaia; ma al comune ridono, municìpi e guvern l'è 'na massa de ladrùni; c'è un impiegato - frégg 'me un biss - che mi dice sempre: «Torni la settimana prossima, vedremo...», insomma al fa la proeuva de l'umètt. Non sai cosa l'è la proeuva de l'umett? Ma che razza di milanese sei? Succede al sarto, quando un cliente non è soddisfatto da un abito, adducendo un difetto qui, un difetto là: allora il sarto lo prende indietro, assicurando che lo sistemerà subito, invece lo mette sull'umètt e dopo due giorni lo consegna tal quale... È che al comune nessuno bada ai diritti di un barbone. E io so soltanto questo: che la lepre, quando si è presa i pallii nel culo, cade almeno su qualcosa di peloso; invece nòi,poer barlàsc... Altro che Milàn col coeur in mani Ball! Qui bisogna comprare anche l'aria. Gente avara, ga vegn-via-nó gnanca la pèll di pioeùcc. E a me cosa resta? Niente. Una salus victis nullam sperare salutem... Cosa ridi tu? È latino, il buon Virgilio. Ma cosa sto qui a spiegare a te, 'gnurantùn, che avrai fatto sì e no la terza in treno.'..
Fuori è un sabato grasso di ombra e di gelo. Tira, molla e messèda, i pensieri si sono ingarbugliati di nuovo. Il Cecchi riprende la strada, battendo a ogni passo un colpo secco di ombrello, per non sbandare... Ecco il dormitorio, letto numero trentuno. Meno male che viene la panacea del sonno e nella memoria una voce di donna che canta: «Ninanàna, bobò...».

domenica 22 giugno 2008

Merton, eremita estremo

di Gianfranco Ravasi

II monaco Antonio Montanari ricostruisce la vita del confratello che, dopo varie peripezie, scelse il ritiro in un'abbazia del Kentucky

Thomas Merton. We don't know all the details of the searching at the end of his life»: con questa motivazione precauzionale la Conferenza episcopale statunitense ha preferito rimuovere il profilo di Thomas Merton dal sussidio pastorale del Nuovo catechismo cattolico americano. Ed effettivamente è un atto complesso la decifrazione della fase finale della ricerca personale di questa straordinaria figura di mistico e di scrittore, morto nel 1968 a Bangkok per un banale incidente, dopo aver tenuto una relazione a un convegno di taglio interreligioso.
La sua, d'altronde, era stata un'esistenza originalissima fin dalle sue origini, legate a un padre pittore neozelandese e a una madre pittrice statunitense. Nato in Francia nel 1915, trasferito a un anno nella casa materna americana, orfano a sei anni di madre, condotto dal padre nelle Bermuda, prima, e di nuovo in Francia poi, studente in un liceo francese per due anni ma con la maturità raggiunta in Inghilterra, orfano anche di padre a sedici anni,
Thomas gira per l'Italia, s'iscrive a Cambridge in lingue moderne (francese e italiano), ritorna negli Usa alla Columbia.University ove si laurea. Ma è in quell'anno, il 1938, che avviene una svolta che segna un approdo al suo incessante pellegrinare: riceve, infatti, il battesimo cattolico e tre anni dopo, nel 1941, varca la soglia dell'abbazia trappista di Nostra Signora di Gethsemani, nel Kentucky. Qui inizierà un itinerario spirituale e intellettuale che farà incrociare Merton con le figure più alte della cultura anglosassone di allora e che lo porterà a una scrittura così affascinante e profonda da conquistare una folla di lettori spesso non credenti.
Non per nulla, anche da noi, l'editore che più ha contribuito a far conoscere questo eccezionale autore spirituale è stato il "laico" Garzanti, che ha proposto quasi tutte le sue opere più significative, a partire da quella indimenticabile autobiografia interiore intitolata "La montagna delle sette balze", pubblicata nel 1948 (e tradotta da Garzanti nel 1979 e più volte riedita). Maestro dei novizi che si apprestavano a vivere in pienezza la rigorosa esperienza monastica della "trappa", Thomas Merton sceglieva nell'ultima fase della sua esistenza il sentiero erto e irto dell'eremo assoluto, vivendo in pieno isolamento in una proprietà del monastero, ma anche aprendosi agli orizzonti della spiritualità orientale, soprattutto buddhista.
A ricostruire in modo piano ed essenziale l'avventura intima di questo «viandante di regni» è un monaco, Antonio Montanari, che parla del suo confratello proprio all'interno di un monastero, l'abbazia olivetana di Seregno (Milano), attraverso due conferenze che sono ora pubblicate. Si tratta di parole ancora vive che ripercorrono quel "viaggio" dell'anima, scandendone le tappe e lasciando spesso spazio libero alla voce di padre Thomas che ci ammonisce: «Quelli che sono partiti, portando soltanto ciò che avevano dentro di sé, ottennero un futuro di libertà. Quelli che si attardarono a imballare il passato, non raggiunsero mai il futuro». E sull'esito finale, che per altro ha reso Merton un pioniere del dialogo interreligioso, che cosa propone padre Montanari? Certo è che la ricerca del trappista americano non è riconducibile al recinto modesto del sincretismo che miscela yoga e yogurt, meditazione e fitness, messaggio e massaggio alla New Age.
Nel suo saggio "Mistici e 'maestri Zen" (1967; Garzanti 1992) e nell'opera "Lo Zen e gli uccelli rapaci" (1968; Garzanti 1999) non si è immersi in un entusiasmo frivolo ed eccitato per un orizzonte esotico e simbolico. Egli procede «come pellegrino, desideroso non di raccogliere informazioni o fatti sulle altre tradizioni monastiche, bensì di abbeverarsi alle antiche fonti della concezione e dell'esperienza monastica, per fare di me stesso un monaco migliore e più illuminato». Certo, egli è affascinato dal linguaggio e dalle simbologie Zen ed è disgustato da un'America materialistica e tecnologica, s'azia e ottusa, e da un Occidente troppo razionalista ed egocentrico: «Cartesio ha fatto un feticcio dello specchio nel quale il suo io si ritrovava. Lo Zen lo manda in frantumi», annotava nel "Diario di un testimone colpevole" (1966; Garzanti 1992).
La convinzione che la vita religiosa occidentale si fosse troppo rinsecchita, sino a ridursi a una conchiglia vuota, lo condusse allora al salto di frontiera? Montanari lo nega e lo dimostra attraverso vari rimandi testuali mertoniani, in particolare alla «Lettera circolare agli amici», scritta a Nuova Delhi, un mese prima della morte; raccolta nel postumo "Diario asiatico" (1973; Garzanti 1975): «Possiamo permetterci di rimanere perfettamente fedeli al nostro impegno cristiano e monastico occidentale e nello stesso tempo imparare, in profondità, da una dottrina e da un'esperienza bud-dhista. Io credo che alcuni di noi abbiano bisogno di far questo per elevare il tenore della propria vita monastica, e anche per contribuire all'opera di rinnovamento intrapresa in seno alla Chiesa occidentale». E in quello stesso diario confessava: «Io non penso di separarmi completamente da ,Gethsemani. Là andrò a finire i miei giorni. È il mio monastero, e lo starmene lontano mi ha dato modo di vederlo in un'altra luce e di amarlo di più».
Al profilo essenziale di Thomas Merton tracciato da Antonio Montanari sono allegati in appendice tre testi, tra i quali anche l'omelia dell'abate di Gethsemani per i funerali di padre Louis (tale era il nome da monaco di Thomas). Ma da non perdere per la sua bellezza e intensità è la «Lettera sulla vita contemplativa», scritta frettolosamente in risposta alla richiesta di un «messaggio dei contemplativi al mondo» avanzata da Paolo VI attraverso l'abate del monastero cistercen-sè romano delle Frattocchie. Ecco solo alcunebattute: «Sono stato chiamato a esplorare un'area deserta del cuore dell'uomo in cui le spiegazioni non bastano più, e nella quale si impara che solo l'esperienza conta. Un'arida, oscura, rocciosa zona dell'anima talvolta illuminata da strani fuochi e abitata da spettri, che l'uomo evita accuratamente, tranne che nei suoi incubi. E in quest'area ho imparato che non si può veramente conoscere la speranza se non si è scoperto quanto la speranza sia simile alla disperazione».
Antonio Montanari, «Un viandante di regni. Thomas Merton», Abbazìa San Benedetto, Seregno (Milano), pagg. 108, euro 10,00.

"sole 24 ore" 16 marzo 2008

scrittori ignoti, baschi e catalani

Le tredici rose erano quasi bambine. Filar, Joaquina, Bianca, Ana, Vìrtudes. Virtù, si chiamava una di loro: al plurale, molte virtù. Chissà quali esattamente, chissà quante volte, deve esserselo chiesto, la notte in prigione, pensando al nome pesante che le avevano dato. È una storia vera e bellissima, questa che racconta Jesus Ferrerò, basco di studi francesi, sceneggiatore del Matadór dì Almodóvar. Siamo a Madrid nei primi mesi dopo la fine della guerra civile. Tredici ragazzine, quasi tutte minorenni, vengono arrestate, incarcerate, sottoposte all'intera gamma di vessazioni possibili, sottoposte a un farsesco processo e infine giustiziate una mattina d'agosto.
Un romanzo storico in cui la voce delle quasi bambine dice l'indicibile: l'orrore feroce e inspiegabile, il candore della dignità. Le tredici rose si può leggere in italiano perché esiste a Milano una piccola, coraggiosa casa editrice, Gran Via, la quale traduce autori contemporanei che scrivono nelle varie lingue di Spagna: basco, castigliano, catalano, gagliego,
È un vero lavoro di scoutìng, che merita onore e attenzione, perché più di una volta è successo che un libro scritto in una lingua regionale, e tradotto in italiano da Gran Via, sia stato "visto", scoperto e quindi ripubblicato nella stessa Spagna.
Un Paese da dove arrivano, oltre ai best seller da milioni di copie di sapore gotico e fantastico, molti piccoli, preziosi libri di autori giovani e giovanissimi, spesso donne. Berta Marsè, pubblicata ora da Donzelli, ambienta i suoi sette racconti a Barcellona: teatro della scena è sempre la famiglia che - come scrive Cechov -"ha le sue allegrie e i suoi profondi conflitti, ma per grandi che siano è difficile che lo sguardo estraneo li scopra: sono un segreto".
Marsè viola questo segreto insinuandosi nelle fessure, nelle impercettibili smagliature di senso che attraverso un dettaglio - il disegno di un bimbo, una telefonata inattesa, una parola scappata di bocca non volendo - ribaltano le vite dei personaggi e le inchiodano. Grande senso dell'umorismo, grande leggerezza, grande, profondo realismo, sempre vestito di sorpresa. Un piacere, la lettura. Così come il noir è da tempo il nuovo romanzo sociale (non è una novità, certo, lo sì ripete a ogni nuova uscita, ma è proprio vero: non c'è niente oggi come una trama misteriosa che sappia svelare il senso dì un luogo, di un popolo, di un vivere), altrettanto il racconto breve che ha per tema la famiglia - le relazioni fra persone conviventi, le molte famiglie possibili - spiega cosa sia diventato, nel nostro tempo, il faticoso, certosino e spesso vano lavoro di ascolto e comprensione dell'altro. Abissi di estraneità che ci separano anche da chi dorme nel nostro stesso letto.
L'altro lato delle cose, the dark side.
In un certo senso, è il cammino che ha percorso anche Laura Bosio, scrittrice piemontese già molto premiata, alla ricerca di antichi dipinti che raccontino lo spavento di Maria. Il libro si chiama Annunciazione e ha in copertina il bellissimo volto triste dell'Annunciata di Antonello da Messina. Laura Bosio cerca nei quadri, e lo trova, lo stupore, io sconcerto, lo spavento, a volte letteralmente la paura della Vergine nel momento in cui l'Arcangelo le comunica il suo destino. Quella di Luca Signorelli che lascia cadere il libro, quella impietrita di Van Eyck, decine di altri capolavori che nascondono una verità in ombra, solo a saperli guardare, sentire. Una gran verità sul senso ultimo dell'accettazione del proprio destino, sulla resa. Sull'attesa che, lo si sa, è più dura del coraggio.
Concita de gregorio, repubblica delle donne, 20 giugno 2008

C'era una volta il Punjab

A lungo venne chiamato "il granaio dell'India". Lo Stato settentrionale del Punjab, ai confini con il Pakistan, è ricco di terre fertili su cui il subcontinente asiatico ha sempre contato per sfamare i suoi abitanti. Ora il Punjab fa notizia soprattutto per i suicidi dei contadini indebitati, e il dilagare dell'eroina fra i giovani disoccupati.
Proprio mentre il mondo intero s'interroga sulla nuova crisi alimentare che colpisce nazioni povere e meno povere, il Punjab è diventato uno dei laboratori infernali al centro di questa catastrofe. Dalla rivoluzione verde al disastro ambientale: è la parabola drammatica di una regione cruciale per l'autosufficienza alimentare di un miliardo e cento milioni di indiani. La vicenda del Punjab è talmente importante che la Fao e la Banca Mondiale hanno mobilitato 400 esperti, per un'indagine dettagliata sul terreno che è durata tre anni, sotto l'egida dello International Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for development (laastd).
Missione: capire perché da un certo momento in poi tutto è andato storto, in quello che sembrava uno Stato-modello per la sua produttività agricola. 1 sintomi sono sotto gli occhi di tutti, e la stampa indiana li denuncia da tempo. Oltre alla spirale dei debiti che spinge i contadini verso il suicìdio o la tossicodipendenzti, altri flagelli colpiscono i! Punjab.
La lista è cosi lunga che sembra un condensato dì tutte le patologie associate all'agricoltura moderna. Intossicazioni dei raccolti per l'eccesso di pesticidi. Siccità. Impoverimento dei suoli dovuto all'aumento delle acque salate. Più le malattie umane legate ai veleni nell'ambiente: come l'aumento esponenziale dei malati di cancro. Dallo studio della Fao e della Banca Mdndiale emerge una ricostruzione precisa delle cause di questo disastro. In un'epoca che ormai ci sembra abbastanza lontana, l'India era ancora un Paese minacciato dalle carestie di massa. La sua agricoltura aveva una produttività bassissima e non garantiva raccolti adeguati per sfamare tutta la popolazione. L'applicazione di metodi scientifici e industriali consentì l'avvio della prima rivoluzione verde quando ancora era premier Indirà Gandhi. Al Punjab venne affidata una missione precisa, nell'interesse nazionale: concentrarsi su due sole colture di prima necessità, cioè il riso e il grano. L'obiettivo strategico era l'autosufficienza, perché l'India non dipendesse più dai capricci dei mercati mondiali o dagli auiti umanitari stranieri. A nulla valsero i moniti dì alcuni esperti, che ricordavano come i terreni abbiano bisogno di diversificare le coltivazioni per mantenere la loro fertilità nel lungo termine. Per anni, del resto, quegli avvertimenti sembrarono troppo pessimisti. Il Punjab manteneva le promesse, e alla grande. La produttività della sua agricoltura cresceva impetuosamente. Lo spettro della fame era sconfitto.
Solo di recente il miracolo è svanito. II campìone-Punjab, stremato dallo sforzo, è sull'orlo del collasso. Le sue acque sono contaminate dai fertilizzanti chimici. I pesticidi sono onnipresenti, se ne ritrovano tracce abbondanti nei terreni, nelle piante e negli animali, i contadini non riescono a pagare le rate di rimborso dei debiti che hanno contratto per investire nei macchinari o nelle nuove sementi geneticamente modificate. I loro figli e nipoti sognano una vita in città, e si rifugiano nella droga quando le aspettative di benessere sono deluse. La Fao e la Banca Mondiale non sono due centri del "sapere alternativo", o due bastioni della battaglia contro gli ogm; né risulta che aderiscano al movimento Slow Food. Eppure i loro esperti sono arrivati a una conclusione radicale: il Punjab è la prova che i metodi industriali applicati all'agricoltura possono portare a un fantastico miglioramento della produttività nel breve termine, seguito da un progressivo deterioramento della qualità dei terreni e quindi da una caduta della stessa produttività. A questo si sommano i danni collaterali che colpiscono il tessuto sociale e umano delle campagne, la qualità della vita, l'ambiente e il paesaggio. Il direttore della squadra di ricercatori internazionali, Robert Watson, ha sintetizzato le conclusioni con toni allarmati: "I metodi applicati negli ultimi decenni diventano impraticabili. Se non cambiamo in profondità il modo in cui coltiviamo, produciamo e distribuiamo gli alimenti, nel prossimo mezzo secolo non sarà possibile sfamare tutta la popolazione mondiale. E per di più renderemo inospitale e inabitabile il pianeta".
federico Rampini - repubblica delle donne 21 GIUGNO 2008

La rivoluzione chiamata microcredito

Muhammad Yunus è nato nel 1940 a Chittagong, principale porto mercantile del Bengala. Laureato in economia, nel 1977 ha fondato la Grameen Bank, una delle istituzioni più innovative create negli ultimi quarantanni, perché ha, letteralmente, cambiato, e in molti casi salvato, la vita di milioni di persone. La Grameen è un istituto di credito indipendente che pratica il microcredito senza garanzie e che dal Bangladesh si è diffuso in altri 56 Paesi. Yunus ha raccontato parte della sua storia nel libro «II banchiere dei poveri», pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1998 e nel 2006 gli è stato assegnato il Nobel per la pace. Il brano che segue è tratto dal suo ultimo libro, «Un mondo senza povertà», appena tradotto da Feltrinelli.

DI MUHAMMAD YUNUS

La sfida globale che la povertà rappresenta è sotto gli occhi di tutti e all'inizio del nuovo millennio tutte le nazioni hanno cercato di affrontarla. Nel 2000 i governanti di tutto il mondo si sono riuniti all'Onu per impegnarsi, tra l'altro, a ridurre della metà il numero dei poveri entro il 2015. Ma sono passati già sette anni e i risultati sono deludenti, al punto che quasi tutti gli osservatori concordano nel ritenere che gli "Obiettivi di sviluppo del Millennio" non saranno raggiunti. Mi fa piacere sottolineare che in questo panorama il mio Paese, il Bangladesh, rappresenta una felice eccezione: sta operando con continuità nella direzione stabilita e si sta dimostrando in grado di dimezzare il numero di poveri entro il 2015.

Cos'è che non va? Come mai in un mondo in cui l'ideologia liberista non incontra più nessuna reale opposizione non basta il libero mercato a far uscire dalla povertà una parte così grande della popolazione mondiale? E se tante nazioni proseguono senza scosse nel loro cammino verso la prosperità, perché altrettante restano invece sempre più indietro? La spiegazione è molto semplice. Il libero mercato, senza vincoli di sorta, così come è oggi concepito, non è pensato per affrontare i problemi sociali, anzi, può portare ad aggravare povertà, inquinamento e disuguaglianza e a diffondere malattie, corruzione e criminalità. Sono un sostenitore convinto della globalizzazione, perché promuove l'espansione del libero mercato, supera le barriere nazionali con lo sviluppo del commercio intemazionale e della libera circolazione dei capitali, e stimola i governi ad attirare nel proprio Paese le multinazionali offrendo loro infrastnitture per lo sviluppo delle imprese, incentivi all'attività e vantaggi fiscali e normativi.
Come impostazione economica generale, la globalizzazione è in grado, sulla carta, di garantire ai poveri una quantità di benefici superiore a qualsiasi altra strategia. Però, abbandonata a se stessa, in assenza di principi guida e di controlli, può anche essere devastante. Mi piace paragonare il commercio mondiale a un'autostrada con cento corsie che solca la superficie del globo. Ma se questa autostrada rimane senza pedaggio, senza semafori, limiti di velocità, limiti di ingombro e perfino senza le linee di separazione fra le corsie, essa verrà rapidamente occupata dai Tir provenienti dai Paesi con le economie più potenti.
I veicoli più piccoli, come i camioncini dei contadini, i carretti a buoi e i risciò a piedi del Bangladesh saranno inesorabilmente espulsi. (...). Io credo nel libero mercato come fonte di libertà e di nuove idee per tutti, non come strumento della decadente architettura economica progettata per una ristretta elite. In America del Nord, Europa e parte dell'Asia, i Paesi più ricchi hanno potuto trarre enormi benefici dall'energia creativa, dall'efficienza e dal dinamismo generati dal libero mercato.
Io ho speso tutta la mia vita nel cercare di garantire quegli stessi benefici anche agli esseri dimenticati del mondo, a quegli strati estremamente poveri dei quali gli uomini d'affari e gli economisti non tengono mai conto quando parlano di mercati. L'esperienza mi ha insegnato che il libero mercato è uno strumento potente e utile anche per affrontare problemi come la povertà globale o il degrado ambientale, ma solo a patto che non sia posto esclusivamente al servizio degli obiettivi finanziari dei soggetti economici più ricchi.

giulìa.crivell@ilsole,24ore.com
8 maggio 2008

sabato 21 giugno 2008

RISCHIO API: FERMATE IL CALABRONE CINESE

Per compensare i tagli alle tasse, il ministro Tremonti ha eliminato i due milioni di euro stanziati dalla finanziaria 2008 a favore dell'apicoltura. Uno sperpero, secondo lui, spiego a Maité. un'apicoltrice delle Lande, sotto Bordeaux, che telefona per uno scambio di aggiornamenti. Sul ministro esprime un parere irriferìbìle e critica la passività dei colleghi italiani. E di quelli tedeschi, che «hanno voluto seguire i canali politici, così da un mese si ritrovano con le api morte sotto le arnie per colpa del Gaucho, un pesticida che fa danni anche da voi. Qui, no, l'abbiamo fatto vietare da anni». Sento montare un po' dì sciovinismo e per fermarlo chiedo come stanno le api in Francia. «Benone, quindi stiamo preparando altre manifestazioni». Da piccola. Mafté ha fatto il '68 coi genitori, e ne conserva ottimi ricordi. Contro gli Ogm? «Sono sconfitti in partenza, vogliamo una campagna per eliminare i cinesi». I cinesi? «Dei calabroni enormi, pelosi, cattivissimi, che aspettano le operaie all'uscita, le ammazzano, poi entrano e mangiano le larve». Ce l'ha con la Vespa velutìna: partita tre anni fa dal Sud-est asiatico, sta conquistando l'Occidente. «Quello forse, l'Occitania mai».
Sylvie Coyaud, la repubblica delle donne, 7 GIUGNO 2008

FERMI SU UN TRENO A LAMENTARSI DI TUTTO

Caro Augias, durante un disastroso viaggio su un intercity sporco e affollato, ho potuto constatare quanto il nostro Paese sia vicino a diventare una dittatura. Mi sono trovato a scambiare qualche battuta con i viaggiatori dello scompartimento. Non erano di destra, né missini, né prò Berlusconi, né prò Fini. Non erano nostalgici del Duce. Non erano una delle decine e decine di persone di destra con le quali devo forzatamente convivere per contiguità o lavoro.
Erano però dei "nuovi fascisti". L'Italia - dicevano - ha bisogno di uno che imponga anche con la forza le sue decisioni. Uno che imponga ordine e giustizia a qualunque costo. Questo il succo della conversazione tra me, un giovane, benestante e colto, che culla una bimba di pochi mesi e un anziano pensionato informato e cattolico, che legge Avvenire. Erano convinti, senza tentennamenti, lucidi e determinati. Due ore di ritardo, su quattro di viaggio, passate in parte ad aspettare su un marciapiede sotto il sole e in parte dentro una carrozza ferma, al caldo, senza che nessuno protestasse Quieti, ma desolatamente in attesa di una dittatura!
Ing. Francesco Nunziata Romafrancesconun@libero.it

Risposta di Corrado Augias:
Quando ero al liceo, mi chiedevo in forza di quale convincimento, gli italiani avessero accettato nel 1922, anzi largamente approvato come poi si vide, il colpo di Stato, la Marcia su Roma, la resa del governo Facta davanti alle "milizie" armate in camicia nera. Più tardi naturalmente ho capito. La crisi economica, il disordine del dopoguerra, la disoccupazione, una guerra civile strisciante durata più di tre anni. La politica fallimentare dei socialisti fatta di scioperi e occupazioni, rincorrendo il sogno di una rivoluzione che non sarebbe mai arrivata e che per intanto costringeva milioni di persone ad avere paura.
Mi raccontava mia nonna, che aveva un piccolo commercio a Roma vicino a piazza del Grillo, di tutte le volte che aveva dovuto chiudere in fretta e furia nel timore che le vetrine andassero in pezzi. La paura è una potente molla di governo se si è capaci di indirizzarla verso i giusti obiettivi. La paura fa digerire cose che in condizioni di maggiore
tranquillità verrebbero respinte senza esitazione. Naturalmente parlando di "fascismo" nessuno pensa alle camicie nere e all'olio di ricino. Esiste un "autoritarismo popolare" come l'ha definito giorni fa Ezio Mauro, esiste il "dittatore democratico" come Luciano Canfora ha chiamato la tirannia dolce di Giulio Cesare, amato dalla plebe sazia delle sue elargizioni in grano e in spettacoli da circo.
Un tale potere si colloca a metà tra repressione e consenso, culto della personalità, totale identificazione - o confusione - dei propri interessi con quelli dello Stato. Il funzionamento della democrazia è lento e costoso; il dittatore democratico taglia i costi, accelera le decisioni, offre certi vantaggi. In cambio si sente autorizzato a imporre il suo volere come il solo legittimo, vuole essere temuto ma non per questo rinuncia ad essere anche amato. Il contrario della democrazia. Ammesso che a qualcuno ancora interessi.

La repubblica, 19 giugno 2008

aumenti di contratto ed erga omnes

Il 19 giugno su "La Repubblica" viene pubblicata nella rubrica delle lettere ad augias questa lettera:
Un sindacato chiede premi e io invece chiedo i danni
Eros Marino
emarino@tiscali.it
IL mio datore di lavoro mi ha consegnato un foglio da firmare nel quale dovevo decidere se autorizzare la trattenuta da dare ai sindacati quale contributo una tantum, una sorta di premio per il lavoro svolto nel rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici.
Non sono iscritto ad alcun sindacato. Ma anche se lo fossi mi chiedo perché chi ha firmato il contratto collettivo ritiene di attribuirsi un premio di 30 euro. Con tutti i sindacati che abbiamo dovremmo essere il paradiso degli operai e invece i salari italiani sono tra i più bassi d'Europa. Con dati di questo genere si chiedono 30 euro di premio per aver firmato il contratto dopo lunga e penosa trattativa? Sarei propenso per una richiesta di danni.

Sono dell'opinione che debba essere fatta una revisione della normativa "erga omnes", che concede gli aumenti contrattuali a tutti i lavoratori, indipendentemente che siano o meno iscritti al sindacato.
Chi è iscritto paga una tessera che serve a sostenere tutta una serie di diritti e di servizi.
Chi non è iscritto, attualmente gode degli stessi benefici contrattuali . Non vuole sostenere il sindacato? Si rivolga direttamente al datore di lavoro, si faccia fare il famoso contratto "taylor made"...e auguri......
Giorgio Gregori

card per i "poveri pensionati"

Ma se la card viene data ai pensionati, non si poteva rendere tutto più semplice e versare l'importo direttamente sulla pensione?
Mi viene il sospetto che la card venga poi distribuita anche agli "amici degli amici", un regalino di 400 euro che non rifiuta nessuno.
E poi: quanto costa emettere le card? Con che bando di appalto sarà individuata la ditta che curerà il tutto?
Si accenna al fatto che Tremonti abbia confessato di avere preso l'idea da un modello americano degli anni '70. Che effetto ha avuto questo provvedimento, in America?

greg

gli effetti della sospensione processi

Gli effetti dei provvedimenti del Governo
Processi sospesi per...

• Sequestro di persona, estorsione
• Rapina, furto in appartamento, furto con strappo
• Associazione per deiinquere
• Stupro e violenza sessuale, violenza privata
• Aborto clandestino
• Bancarotta fraudolenta
• Sfruttamento delia prostituzione
• Frodi fiscali, usura
• falsificazione di documenti pubblici
• Detenzione di documenti falsi validi per l'espatrio
• Corruzione
• Corruzione in atti giudiziari, abuso d'ufficio
• Peculato, rivelazione di segreto d'ufficio
• Intercettazioni illecite, reati informatici
• Reati informatici
• Ricettazione, vendita di prodotti con marchi contraffatti
• Vendita di prodotti in violazione del diritto d'autore
• Detenzione di materiale pedo-pornografico
• Porto e detenzione di armi anche clandestine
• Immigrazione clandestina
• Omicidio colposo con violazione delle norme sulla circolazione stradale
• Calunnia
• Omicìdio colposo per colpa medica
• Truffa comunitaria
• Maltrattamenti in famiglia, molestie
• Incendio e incendio boschivo
• Traffico di rifiuti
• Adulterazione di sostanze alimentari, traffico di rifiuti
• Somministrazioni di medicinali pericolosi
• Circonvenzione di incapaci

Intercettazioni vietate per...

• Sequestro di persona, estorsione, rapina
• Furto in appartamento, associazione per deiinquere
• Stupro e violenza sessuale
• Bancarotta fraudolenta, frodi fiscali, calunnia
• Sfruttamento della prostituzione
• Immigrazione clandestina

Cinque ipotesi paradossali di "precedenza" tra processi

a)Uno straniero irregolare violenta una studentessa alla fermata del tram (pene da 5 a 10 anni)
b) Un giovane studente cede gratuitamente una dose di hashish ad un coetaneo (pene da 6 a 20 anni)
Quale processo dovrà essere celebrato prima? il B

a) Due zingarelle rapiscono un bambino (da 6 mesi a 8 anni)
b) Due zingarelle rubano un pezzo di formaggio in un supermercato, scappando spingono una guardia (da 4,6 a 20 anni)
Quale processo dovrà essere celebrato prima? il B

a)Un chirurgo durante un'operazione per un grave errore provoca la morte di un bambino (da 6 mesi a 5 anni)
b)Un giovane ruba un telefono cellulare ad un coetaneo minacciandolo con un temperino (da 4,6 a 20 anni)
Quale processo dovrà essere celebrato prima? il B

a) Un assessore riceve una tangente di 5 milioni di euro per favorire una impresa in una gara d'appalto (da 2 a 5 anni)
b) II figlio dell'assessore compra un motorino rubato e cambia la targa (da 4 a 12 anni)
Quale processo dovrà essere celebrato prima? il B

a) Uno straniero ubriaco al volante di un auto rubata investe tre pedoni sulle strisce (da 2 a 5 anni)
b) Due parcheggiatori abusivi chiedono un euro ad un automobilista minacciando di rigargli la portiera (da 6 a 20 anni)
Quale processo dovrà essere celebrato prima? il B


___________________________________ Fonte: Anm

la Repubblica, 19 giugno 2008

enel, per pannelli solari sito di informazioni

Relaz. Esteme dell'Enel
(...)
Cogliamo comunque l'occasione per rendere noto a tutti gli interessati che sul sito www.enel.it/distribuzione è disponibile un nuovo strumento dedicato agli utenti produttori di energia che hanno chiesto la connessione del loro impianto di produzione alle reti Enel di bassa, media e alta tensione che consente di seguire lo svolgimento della pratica, visualizzandone l'avanzamento e segnalando le eventuali sospensioni.
Repubblica, 15 giugno 2008

sacchetti di plastica la bando in Belgio

TROVANDOMI a fare la spesa in un supermercato in Belgio ho avuto la sorpresa, una volta alla cassa, di non trovare più i famosi sacchetti di plastica dove mettere gli acquisti. Da qualche mese infatti, i clienti si portano i sacchetti o la borsa da casa; per gli sprovveduti come i turisti è possibile acquistare una o più "borse" di plastica molto resistenti, con i manici, cuciture di rinforzo laterali (quindi riusabili più volte) e del costo di 0,10 euro ciascuna. A quando una tale innovazione ecologica anche in Italia?

Lettera a corradi augias di Roberto Maria Minarmi
Vicenza 15 giugno 2008

scalfari: la parrucca del re sole...

IL COMMENTO
La parrucca del Re Sole
che governa il Bel Paese
di EUGENIO SCALFARI

"BERLUSCONI vuole dimostrare che per governare la crisi italiana è costretto per necessità a separare lo Stato dal diritto. Come se il Paese attraversasse una terra di nessuno. Il soldato come questurino, il giudice come chierico, il giornalista come laudatore: sono le tre figure di una scena politica che minaccia di trasformare il senso della nostra forma costituzionale. Sono i fantasmi di un tempo sospeso dove il governo avrà più potere e il cittadino meno diritti, meno sicurezza, meno garanzie". Così ha scritto ieri Giuseppe D'Avanzo su questo giornale.

Purtroppo questo suo giudizio fotografa esattamente la realtà. Non sarà fascismo, ma certamente è un allarmante "incipit" verso una dittatura che si fa strada in tutti i settori sensibili della vita democratica, complici la debolezza dei contropoteri, la passività dell'opinione pubblica e la sonnolenta fragilità delle opposizioni.

Questa sempre più evidente deriva democratica, che si è profilata fin dai primi giorni della nuova legislatura ed è ormai completamente dispiegata davanti ai nostri occhi, ha trovato finora il solo argine del capo dello Stato. Giorgio Napolitano sta impersonando al meglio il suo ruolo di custode della Costituzione. L'ha fatto con saggezza e fermezza, dando il suo consenso alle iniziative del governo quando sono state dettate da necessità reali come nella crisi dei rifiuti a Napoli, ma lo ha negato nei casi in cui le emergenze erano fittizie e potevano insidiare la correttezza dei meccanismi costituzionali. Sarebbe tuttavia sbagliato addossare al presidente della Repubblica il peso esclusivo di arginare quella deriva: se la dialettica si riducesse soltanto al rapporto tra il Quirinale e Palazzo Chigi la partita non avrebbe più storia e si chiuderebbe in brevissimo tempo. Bisognerà dunque che altre forze e altri poteri entrino in campo.

Bisogna denunciare e fermare la militarizzazione della vita pubblica italiana della quale l'esempio più clamoroso si è avuto con i provvedimenti decisi dal Consiglio dei ministri di venerdì sulla sicurezza e sulle intercettazioni: due supposte emergenze gonfiate artificiosamente per distrarre l'attenzione dalle urgenze vere che angustiano gran parte delle famiglie italiane.

E' la prima volta che l'Esercito viene impegnato con funzioni di pubblica sicurezza. Quando fu assassinato Falcone e poi, a breve distanza di tempo, Borsellino, contingenti militari furono inviati in Sicilia per presidiare edifici pubblici alleviando da quelle mansioni la Polizia e i Carabinieri affinché potessero dedicarsi interamente alla lotta contro una mafia scatenata.

Ma ora il ruolo che si vuole attribuire alle Forze Armate è del tutto diverso: pattugliamento delle città con compiti di pubblica sicurezza e quindi con poteri di repressione, arresto, contrasti a fuoco con la delinquenza.

Che senso ha un provvedimento di questo genere? Quale utilità ne può derivare alle azioni di contrasto contro la malavita? La Polizia conta ben oltre centomila effettivi, altrettanti ne conta l'Arma dei carabinieri e altrettanti ancora la Guardia di finanza. Affiancare a queste forze imponenti un contingente di 2.500 soldati è privo di qualunque utilità.

Se il governo si è indotto ad una mossa tanto inutile quanto clamorosa ciò è avvenuto appunto per il clamore che avrebbe suscitato. Tanto grave è l'insicurezza delle nostre città da render necessario il coinvolgimento dell'Esercito: questo è il messaggio lanciato dal governo. E insieme ad esso l'eccezionalità fatta regola: si adotta con una legge ordinaria una misura che presupporrebbe la dichiarazione di una sorta di stato d'assedio, di pericolo nazionale.
Un provvedimento analogo fu preso dal governo Badoglio nei tre giorni successivi al 25 luglio del '43 e un'altra volta nel '47 subito dopo l'attentato a Togliatti. Da allora non era più avvenuto nulla di simile: la Pubblica sicurezza nelle strade, le Forze Armate nelle caserme, questa è la normalità democratica che si vuole modificare con intenti assai più vasti d'un semplice quanto inutile supporto alla Pubblica sicurezza.

* * *

Il disegno di legge sulle intercettazioni parte dalla ragionevole intenzione di tutelare con maggiore efficacia la privatezza delle persone senza però diminuire la capacità investigativa della magistratura inquirente.

Analoghe intenzioni avevano ispirato il ministro della Giustizia Flick e dopo di lui il ministro Clemente Mastella, senza però che quei provvedimenti riuscissero a diventare leggi per la fine anticipata delle rispettive legislature.

Adesso presumibilmente ci si riuscirà ma anche in questo caso, come per la sicurezza, il senso politico è un altro rispetto alla "ragionevole intenzione" cui abbiamo prima accennato. Il senso politico, anche qui, è un'altra militarizzazione, delle Procure e dei giornalisti.

Le Procure. Anzitutto un elenco dei reati perseguibili con intercettazioni. Solo quelli, non altri. E' già stato scritto che lo scandalo di Calciopoli non sarebbe mai venuto a galla senza le intercettazioni. Così pure le scalate bancarie dei "furbetti". Ma moltissimi altri. Per chiudere sul peggiore di tutti: la clinica milanese di Santa Rita, giustamente ribattezzata la clinica degli orrori.

Le intercettazioni poi non possono durare più di tre mesi. Non c'è scritto se rinnovabili e dunque se ne deduce che rinnovabili non saranno. Cosa Nostra, tanto per fare un esempio, è stata intercettata per anni e forse lo è ancora. Tre mesi passano in un "fiat", lo sappiamo tutti.

I giornalisti e i giornali. C'è divieto assoluto alla pubblicazione di notizie fin all'inizio del dibattimento. Il deposito degli atti in cancelleria non attenua il divieto. Perché? Se le parti in causa o alcune di esse vogliono pubblicizzare gli atti in loro possesso ne sono impedite. Perché? Non si invochi la presunzione di innocenza poiché se questa fosse la motivazione del divieto bisognerebbe aspettare la sentenza definitiva della Cassazione. Dunque il motivo della secretazione è un altro, ma quale?

In realtà il divieto non è soltanto contro giornali e giornalisti ma contro il formarsi della pubblica opinione, cioè contro un elemento basilare della democrazia. Il caso del Santa Rita ha acceso un dibattito sull'organizzazione della Sanità, sul ruolo delle cliniche convenzionate rispetto al Servizio sanitario nazionale. Dibattito di grande rilievo che potrebbe aver luogo soltanto all'inizio del dibattimento e cioè con il rinvio a giudizio degli imputati.

L'eventuale archiviazione dell'istruttoria resterebbe ignota e così mancherebbe ogni controllo di opinione sul motivo dell'archiviazione e su una possibile critica della medesima. Così pure su possibili differenze di opinione tra i magistrati inquirenti e l'ufficio del Procuratore capo, sulle avocazioni della Procura generale, su mutamenti dei sostituti assegnatari dell'inchiesta. Su tutti questi passaggi fondamentali la pubblica opinione non potrebbe dire nulla perché sarebbe tenuta all'oscuro di tutto.

Sarà bene ricordare che il maxi-processo contro "Cosa Nostra" fu confermato in Cassazione perché fu cambiato il criterio di assegnazione dei processi su iniziativa del ministro della Giustizia dell'epoca, Claudio Martelli, allertato dalla pressione dei giornali in allarme per le pronunce reiterate dell'allora presidente di sezione, Carnevale. Tutte queste vicende avvennero sotto il costante controllo della stampa e della pubblica opinione allertata fin dalla fase inquirente. Falcone e Borsellino non erano giudici giudicanti ma magistrati inquirenti. Mi domando se avrebbero potuto operare con l'efficacia con cui operarono senza il sostegno di una pubblica opinione esaurientemente informata.

Le gravi penalità previste da questa legge nei confronti degli editori costituiscono un gravame del quale si dovrebbero attentamente valutare gli effetti sulla libertà di stampa. Esso infatti conferisce all'editore un potere enorme sul direttore del giornale: in vista di sanzioni così gravose l'editore chiederà a giusto titolo di essere preventivamente informato delle decisioni che il direttore prenderà in ordine ai processi. Di fatto si tratta di una vera e propria confisca dei poteri del direttore perché la responsabilità si sposta in testa al proprietario del giornale.

Si militarizza dunque il giudice, il giornalista ed anche la pubblica opinione.

* * *

Ha ragione il collega D'Avanzo nel dire che questi provvedimenti stravolgono la Costituzione. Identificano di fatto lo Stato con il governo e il governo con il "premier". Se poi si aggiunge ad essi il famigerato lodo Schifani, cioè il congelamento di tutti i processi nei confronti delle alte cariche dello Stato, l'identificazione diventa totale.

Qui il nostro discorso arriva ad un punto particolarmente delicato e cioè al tema dell'opposizione parlamentare.

Parlo di tutte le opposizioni politiche. Ma in particolare parlo del Partito democratico.

Negli ultimi giorni il Pd e Veltroni quale leader di quel partito hanno assunto su alcune questioni di merito atteggiamenti di energica critica nei confronti del governo. La luna di miele di Berlusconi è ancora in pieno corso con l'opinione pubblica e con la maggior parte dei giornali ma è già svanita in larga misura con il Partito democratico. Salvo un punto fondamentale, più volte ribadito da Veltroni: il dialogo deve invece continuare sulle riforme istituzionali e costituzionali.
E' evidente che questa "riserva di dialogo" condiziona inevitabilmente il tono complessivo dell'opposizione. Le riforme istituzionali e costituzionali sono di tale importanza da trasformare in "minimalia" i contrasti di merito su singoli provvedimenti. Tanto più che Tremonti chiede all'opposizione di procedere "sottobraccio" per quanto attiene alla strategia economica; ecco dunque un'ulteriore "riserva di dialogo". Sembrerebbe, questa, una novità a tutto vantaggio dell'opposizione ma non è così. La politica economica italiana dovrà svolgersi nei prossimi anni sotto l'occhio vigile delle Autorità europee. Che ci piaccia o no, noi siamo di fatto commissariati da Bruxelles.

Tremonti dovrà assumere responsabilità impopolari. Necessarie, ma impopolari e vuole condividere con l'opposizione quell'impopolarità.

Intanto, nel merito delle riforme, Berlusconi procede come si è detto e visto, alla militarizzazione del sistema. "L'Etat c'est moi" diceva il Re Sole e continuarono a dire i suoi successori fin quando scoppiò la rivoluzione dell'Ottantanove.
Voglio qui ricordare che uno dei modi, anzi il più rilevante, con il quale l'identificazione dello Stato con la persona fisica del Re si realizzò fu l'asservimento dei Parlamenti al volere della Corona. Gli editti del Re per entrare in vigore avevano bisogno della registrazione dei Parlamenti e soprattutto di quello di Parigi. Questa era all'epoca la sola separazione di poteri concepita e concepibile. Ma il re aveva uno strumento a sua disposizione: poteva ordinare ai Parlamenti la registrazione dell'editto. Di fronte all'ordine scritto del Sovrano il Parlamento registrava "con riserva" e l'editto entrava in funzione. Di solito quest'ordine veniva dato molto di rado ma col Re Sole e con i suoi successori diventò abituale. Quando i Parlamenti si ribellarono ostinandosi a non obbedire il Re li sciolse. Il corpo del Re prevalse sulla labile democrazia del Gran Secolo.

Il Re Sole. Ma qui il sole non c'è. C'è fanghiglia, cupidigia, avventatezza, viltà morale. Corteggiamento dell'opposizione. Montaggio di paure e di pulsioni. Picconamento quotidiano della Costituzione.
Quale dialogo si può fare nel momento in cui viene militarizzato il Paese nei settori più sensibili della democrazia? Il Partito democratico ha un solo strumento per impedire questa deriva: decidere che non c'è più possibilità di dialogo sulle riforme per mancanza dell'oggetto. Se lo Stato viene smantellato giorno per giorno e identificato con il corpo del Re, su che cosa deve dialogare il Pd? E' qui ed ora che il dialogo va fatto, la militarizzazione va bloccata. Le urgenze e le emergenze vanno trasferite sui problemi della società e dell'economia.

"In questo nuovo buon clima si può fare molto e molto bene" declama la Confindustria di Emma Marcegaglia. Qual è il buon clima, gentile Emma? Quello dei pattuglioni dei granatieri che arrestano gli scippatori e possono sparare sullo zingaro di turno? Quello dell'editore promosso a direttore responsabile? Quello del magistrato isolato da ogni realtà sociale e privato di "libero giudizio"? Quello dei contratti di lavoro individuali? E' questo il buon clima?

Ricordo che quando furono pubblicati "on line" gli elenchi dei contribuenti ne nacque un putiferio. Il direttore dell'Agenzia delle Entrate, autore di tanto misfatto, fu incriminato e si dimise. Ma ora il ministro Brunetta pubblica i contratti di tutti i dirigenti pubblici e le retribuzioni di tutti i consulenti e viene intensamente applaudito e incoraggiato. Anch'io lo applaudo e lo incoraggio come ho applaudito allora Visco e Romano. Ma perché invece due pesi e due misure? La risposta è semplice: per i pubblici impiegati si può.

E' questo il buon clima? Attenti al risveglio, può essere durissimo. Può essere il risveglio d'un paese senza democrazia. Dominato dall'antipolitica. Dall'anti-Europa. Dall'anarchia degli indifferenti e dalla dittatura dei furboni.

Io trovo che sia un pessimo clima.

(La Repubblica, 15 giugno 2008)