sabato 21 giugno 2008

FERMI SU UN TRENO A LAMENTARSI DI TUTTO

Caro Augias, durante un disastroso viaggio su un intercity sporco e affollato, ho potuto constatare quanto il nostro Paese sia vicino a diventare una dittatura. Mi sono trovato a scambiare qualche battuta con i viaggiatori dello scompartimento. Non erano di destra, né missini, né prò Berlusconi, né prò Fini. Non erano nostalgici del Duce. Non erano una delle decine e decine di persone di destra con le quali devo forzatamente convivere per contiguità o lavoro.
Erano però dei "nuovi fascisti". L'Italia - dicevano - ha bisogno di uno che imponga anche con la forza le sue decisioni. Uno che imponga ordine e giustizia a qualunque costo. Questo il succo della conversazione tra me, un giovane, benestante e colto, che culla una bimba di pochi mesi e un anziano pensionato informato e cattolico, che legge Avvenire. Erano convinti, senza tentennamenti, lucidi e determinati. Due ore di ritardo, su quattro di viaggio, passate in parte ad aspettare su un marciapiede sotto il sole e in parte dentro una carrozza ferma, al caldo, senza che nessuno protestasse Quieti, ma desolatamente in attesa di una dittatura!
Ing. Francesco Nunziata Romafrancesconun@libero.it

Risposta di Corrado Augias:
Quando ero al liceo, mi chiedevo in forza di quale convincimento, gli italiani avessero accettato nel 1922, anzi largamente approvato come poi si vide, il colpo di Stato, la Marcia su Roma, la resa del governo Facta davanti alle "milizie" armate in camicia nera. Più tardi naturalmente ho capito. La crisi economica, il disordine del dopoguerra, la disoccupazione, una guerra civile strisciante durata più di tre anni. La politica fallimentare dei socialisti fatta di scioperi e occupazioni, rincorrendo il sogno di una rivoluzione che non sarebbe mai arrivata e che per intanto costringeva milioni di persone ad avere paura.
Mi raccontava mia nonna, che aveva un piccolo commercio a Roma vicino a piazza del Grillo, di tutte le volte che aveva dovuto chiudere in fretta e furia nel timore che le vetrine andassero in pezzi. La paura è una potente molla di governo se si è capaci di indirizzarla verso i giusti obiettivi. La paura fa digerire cose che in condizioni di maggiore
tranquillità verrebbero respinte senza esitazione. Naturalmente parlando di "fascismo" nessuno pensa alle camicie nere e all'olio di ricino. Esiste un "autoritarismo popolare" come l'ha definito giorni fa Ezio Mauro, esiste il "dittatore democratico" come Luciano Canfora ha chiamato la tirannia dolce di Giulio Cesare, amato dalla plebe sazia delle sue elargizioni in grano e in spettacoli da circo.
Un tale potere si colloca a metà tra repressione e consenso, culto della personalità, totale identificazione - o confusione - dei propri interessi con quelli dello Stato. Il funzionamento della democrazia è lento e costoso; il dittatore democratico taglia i costi, accelera le decisioni, offre certi vantaggi. In cambio si sente autorizzato a imporre il suo volere come il solo legittimo, vuole essere temuto ma non per questo rinuncia ad essere anche amato. Il contrario della democrazia. Ammesso che a qualcuno ancora interessi.

La repubblica, 19 giugno 2008