venerdì 6 giugno 2008

parliamo di firmino....

E' il libro dell'anno. Riporto la presentazione di citati e due articoli sul presunto plagio.
----

Il topo di biblioteca che divorava i libri

Repubblica — 28 aprile 2008 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA
Il protagonista di Firmino, lo straordinario romanzo di Sam Savage (Einaudi, nell' ottima traduzione di Evelina Santangelo, pagg. 180, euro 14), è un topo, anzi un ratto. Non crediate che ricordi Topolino di Walt Disney: un topo completamente umanizzato - un americano, intelligente e coraggioso, del tempo di Roosevelt. Firmino è un vero ratto: tutto il libro è intriso del suo profumo; con immenso piacere, noi odoriamo, squittiamo, mangiamo, guardiamo, ci avventuriamo nel mondo, come se fossimo ratti anche noi.Quando Firmino prende in mano la penna invisibile, che Sam Savage gli ha prestato, scrive estrosamente, brillantemente, con un appassionato amore per la letteratura e uno squisito dono della variazione. Come i veri topi, non ride: ma il suo romanzo è spiritosissimo e divertentissimo ed eredita tutte le corde del riso: shakespeariano, cervantino, swiftiano, dickensiano, carrolliano, stevensoniano, chapliniano. La madre avventurosa ed ubriacona di Firmino - Flo - si era rifugiata in una oscura, calda ed umida libreria, a Boston, Scollay Square. Doveva partorire. Guardava con stupore rattesco gli scaffali di legno stipati di file di libri, mentre altri libri erano infilati di piatto tra gli scaffali, ed ancora altre enormi ziggurat di volumi stavano ammonticchiate sul pavimento. C' era di tutto: vecchi tomi rilegati in pelle, spaccati e ammuffiti, e volumi recenti ed economici. Flo non era colta: non aveva nessuna idea di cosa fossero i libri; per lei erano soltanto soffice, morbidissima carta. Afferrò una copia di Finnegans Wake, ignorando che era il capolavoro meno letto della letteratura universale: ne estrasse un cumulo di carta, lo pestò al centro, lo rialzò lungo i bordi, e lo trasformò in una tana. Poco dopo, beatamente, senza soffrire, scodellò in quel testo illeggibile tredici piccoli ratti. Tutto sarebbe andato nel migliore dei modi, e Sam Savage non avrebbe scritto questo bellissimo romanzo - se Flo non avesse avuto soltanto dodici capezzoli. Ma i ratti erano tredici: Firmino era il più gracile, e i robusti e violenti fratelli non lo lasciavano avvicinare ai capezzoli della madre. Così Firmino dovette rinunciare al latte materno - cosa che avrebbe avuto effetti disastrosi sul suo equilibrio psichico. Appena nato, diventò l' escluso. Per non morire di fame, cominciò a rosicchiare libri. Li masticava per ore, come se fosse gomma. Avevano un sapore gradevole, e mangiarli divenne presto per lui un' abitudine. Da principio non distingueva: un boccone di Faulkner era, per lui, come un boccone di Flaubert. Poi imparò a conoscere le cose chiamate reali - i grattacieli, i cavalli, i fiori, un letto disfatto, il fischio di un treno, una zattera - e si rese conto che Eisenhower era una persona, mentre Oliver Twist era un personaggio romanzesco. La lattuga sapeva di Jane Eyre. Dopo anni, venne illuminato dalla verità: un libro buono da mangiare era anche bello da leggere. Intanto, non sappiamo come, Firmino aveva imparato a leggere. Diventò un vizio: un terribile dipendenza. Lesse di tutto: filosofia, psicoanalisi, linguistica, astronomia, astrologia, la Bibbia, il Corano, la Bhagavad - Gita, il Libro dei Morti, la Rivoluzione francese, la Rivoluzione russa, Kant, Hegel, Swedenborg, storia irlandese, ricette, barzellette, malattie, nascite, esecuzioni... Quando si specializzò in narrativa europea dell' Ottocento, il suo amore per la letteratura toccò il culmine. Fece amicizia con tutti i personaggi di Jane Austen, Balzac, Stendhal, Dickens, Flaubert, Tolstoj, Dostoevskij, Henry James, Thomas Hardy. Visse con loro. Strinse la vita sottile di Natasha Rostova: sentì la mano di lei posarsi sulla sua spalla, e danzò con lei, trascinato dal valzer. Costrinse Baudelaire a salire sulla zattera di Huck Finn. Continuò i romanzi lasciati a metà: nell' estate del 1929, mentre Wall Street stava per crollare all' insaputa di tutti, che vestiti indossavano i personaggi? Che tipo di scarpe? Che genere di mutande? E i capelli, che taglio avevano? * * * Mentre i suoi fratelli si perdevano nelle piazze, nelle gallerie e nei rivoli del mondo esterno, Firmino diventò un ratto-libro. E con un atroce dolore, pieno di venerazione per la lettura, comprese che non poteva più rosicchiare e divorare libri. Doveva soltanto leggerli. Di quel piccolo ratto avido e squittente, non rimase quasi più nulla. Siccome leggeva romanzi dell' Ottocento, si trasformò in un personaggio malinconico e disperatamente romantico, con venature di follie e di stravaganze, incerto tra i due mondi ai quali apparteneva. Imparò a conoscere i sentimenti degli esseri umani. Come Dickens e Dostoevskij, comprese che la vita è una farsa tragica, insieme straziante e ridicola. Immaginò di essere simile a Don Chisciotte: fatuo, cocciuto, clownesco, ingenuo fino alla cecità, idealista fino al grottesco. Quando lesse Henry James, tutta la sotterranea disperazione e la rassegnazione nascoste nei suoi romanzi vennero a galla, riversandosi come bollicine nei suoi occhi, e velandogli la vista. Non osava guardarsi negli specchi. Ora che non masticava più libri, Firmino fu costretto a uscire dalla bottega, e a procurarsi il cibo come poteva. Dopo tanto tempo di clausura si accorse che il quartiere andava degradandosi rapidamente. Malgrado le proteste degli abitanti, il comune di Boston voleva abbattere le case e la libreria. La sera, la piazza era vuota: nessuno percorreva di giorno le strade vicine; e nelle case c' erano sempre più finestre spalancate o con i vetri rotti. L' immondizia era disseminata per le strade e nei canali di scolo, oppure sollevata da camion di passaggio che la facevano volare via in mulinelli. Un vecchio teatro andò a fuoco: ne rimase una rovina fumante in mezzo a strade piene di cenere. Come rifugio, a Firmino restò il Rialto- Theater, dove poteva dormire indisturbato. Durante il giorno proiettavano vecchi film: Firmino amava moltissimo Joan Fontaine, Paulette Goddard e Fred Astaire; mentre, ogni sera, la vecchia macchina da presa faceva apparire sullo schermo creature nude e gigantesche come Amazzoni, imprigionate in pellicole pornografiche. In quel tempo di disastri, Firmino cambiò casa. Lasciò la libreria, dove il libraio aveva cercato di avvelenarlo, e venne adottato da uno scrittore di dubbio talento, Jerry Magoon. Per la prima volta, conobbe una tenera vita famigliare. Il vecchio scrittore lo curava come una madre: la sera, gli preparava il letto, avvolgendolo in un maglione e sistemandolo in fondo a una scatola: la mattina faceva colazione con lui - caffè forte e latte -: a pranzo gli offriva burro d' arachide, latte, toast, riso; e se usciva di casa, lo portava sulle spalle, avvinghiato alle ciocche dei suoi capelli. Poi gli regalò un piccolo pianoforte, dove Firmino suonava Gershwin e Cole Porter. Firmino avrebbe voluto ricambiare tanto affetto. Avrebbe voluto parlare a Jerry Magoon, e discutere con lui sulla vita e sulla letteratura. Ma non riusciva. I suoi squittii erano incomprensibili e i segni dei sordomuti non comunicavano il suo bisogno d' amore. Così tacque, chiuso in un soffocato silenzio. Quando lo scrittore morì, Firmino rimase completamente solo, e si trascinava per le strade carico di dolore e di tedio. Durante il giorno, trascorreva la maggior parte del tempo disteso supino con tutti i quattro piedi in aria, oppure suonava il piano, abbandonandosi ai sogni e ai ricordi. I sogni erano diventati dolci, nostalgici, con una specie di indistinto chiarore crepuscolare lungo i margini. Non viveva più avventure emozionanti. Sentiva nostalgia del passato, senza dimenticare nulla della sua vita e delle letture. Il suo cervello era un gigantesco deposito di ricordi - e dentro poteva perdersi, smarrire la percezione del tempo, vagare immerso nella polvere, senza trovare la via d' uscita. Per distrarsi, si esercitava a dare nomi alle cose: il tavolo, sempre carico di cose, diventò il Cammello: la scatola dove dormiva, l' Hôtel; e la finestra, La fontaine lumineuse. Come un narratore dell' Ottocento, un giorno cominciò a raccontarsi la storia della sua vita. Iniziava così: «Questa è la storia più triste che abbia mai sentito». Rimase disteso tutta la mattina sulla poltrona, con i piedi all' aria, mentre le frasi si susseguivano come folte carovane arrivate dal deserto. Intanto, sulla piazza, un immenso Caterpillar del comune di Boston radeva al suolo la libreria, dove, nel bagno, c' era ancora la copia del Finnegans Wake, che tanti anni prima era stata il suo nido. Ho cercato di raccontare come potevo il sottilissimo romanzo di Sam Savage, al quale auguro, anche in Italia, i molti lettori che ha avuto nel mondo. Non ho detto nulla di Savage. So soltanto che è venuto al mondo nel 1940, in South Carolina, vivendo dove l' estro lo trascinava. Ha insegnato filosofia, venduto biciclette, e composto versi parodistici. Firmino è il suo primo libro: scritto, come nessuno immaginerebbe, a sessantaquattro anni. Non so cosa augurargli. Da un lato, spero che Sam Savage, ubiquo come il suo topo, scriva molti romanzi, per la gioia dei suoi lettori. D' altra parte, vorrei che Firmino rimanesse solo. Vorrei ascoltare esclusivamente il suo squittio doloroso, nel quale si riflette la voce di tutta la letteratura. - PIETRO CITATI

UNA TARMA DI NOME FIRMINO

Repubblica — 04 giugno 2008 pagina 50 sezione: CULTURA
è stato il successo editoriale dell' anno: bestseller negli Stati Uniti, diritti stravenduti alla Fiera di Francoforte, protagonista alla Fiera di Torino e quasi 50 mila copie vendute in poche settimane dall' uscita in Italia per Einaudi. E Firmino, folgorante esordio dello scrittore americano Sam Savage, si arricchisce ora di un nuovo capitolo. Abbiamo scoperto che proprio Firmino ha moltissime analogie con il romanzo La bibliotecaria di Claudio Ciccarone, pubblicato nel 2000 da Guida editore. E se da una parte l' autore, giornalista Rai e vincitore nel 2002 del Premio Ilaria Alpi, non ha nessuna remora nel parlare esplicitamente di plagio, dall' altra è abbastanza evidente, raffrontando i due libri, che ci siano delle fortissime analogie sia a livello di trama che a livello testuale. Entrambi i protagonisti sono animali - Firmino un topo e Marta, la protagonista de La bibliotecaria, una tarma - che si nutrono di libri, così facendo li leggono e ad un certo punto entrambi capiscono che non si devono distruggere e allora trovano il modo di continuare a leggerli senza rovinarli. Anche le tematiche affrontate fuor di metafora sono incredibilmente simili: in tutti e due si parla di fantascienza, della seconda guerra mondiale, della rivoluzione, della distruzione di un quartiere (il mondo di Firmino) o del mondo (Marta). A colpire anche i moltissimi passaggi che sono (a dir poco) vicini. A partire dagli incipit. Nelle prime pagine di Firmino si legge: «All' inizio mangiavo lasciandomi guidare solo e soltanto dal gusto, rosicchiando e masticando dimentico. Ma ben presto cominciai a leggere. (...) Oh, come mi rammaricai allora di tutti quei buchi spaventosi! (...) Non ne vado fiero». Nelle prime pagine de La bibliotecaria: «All' inizio della mia carriera di bibliotecaria divoravo libri su libri, distruggendo indiscriminatamente fogli e copertine. Ma accadde che un giorno, mentre ero impegnata a triturare finemente un volume... quel sapore mi fece capire che sia i libri, sia gli autori meritano rispetto». In alcuni casi i due protagonisti hanno addirittura gli stessi e inusuali appetiti sessuali, entrambi attratti dalle proprie sorelle: «Lei si ostinava per giunta a tenere la coda alzata, in modo che mi eccitava... impudente e provocante... il suo fondoschiena occupava tutto il mio campo visivo» (Firmino, pag. 39); «Erano proprio le mie sorelle ad attrarmi, con i loro corpi sinuosi, le antenne impertinenti, le zampette voluttuose, i culetti vibranti...» (Marta, pag. 35). Difficile sostenere che siano soltanto combinazioni, di passaggi così vicini nei due libri se contano una trentina: forse che Firmino, senza che Savage se ne sia accorto, abbia divorato La bibliotecaria? La possibilità esiste dato che La bibliotecaria risulta tra i libri in catalogo alla biblioteca di Yale dove Savage ha insegnato proprio mentre scriveva il «suo» Firmino. Da un' intervista di William Baldwin, Savage afferma di aver iniziato il suo libro nel 2003 e di averlo terminato nel 2005. Anni dopo, quindi, l' uscita e la catalogazione del libro di Ciccarone alla Yale (che è del 2000). E dalla biografia di Savage sappiamo che lo scrittore americano legge l' italiano. Se non bastasse un' altra strana coincidenza: su Coffee House Press, tra i più seguiti siti letterari americani, quando chiedono a Savage perché abbia scelto come animale un topo lo scrittore risponde: «Non potevo mica scegliere una tarma». E se Savage, che abbiamo cercato via mail, per adesso non risponde, l' autore italiano, promette battaglia: «Sono fermamente convinto del plagio. I miei avvocati intravedono tutti gli elementi per una causa legale, ma ciò che adesso davvero mi interessa è che il mio libro, ormai fuori catalogo, venga ripubblicato e che i lettori scoprano la vera storia di Firmino». - GIAN PAOLO SERINO


Firmino topi tarme e farfalle

Repubblica — 05 giugno 2008 pagina 50 sezione: CULTURA
A proposito dell' articolo di Gian Paolo Serino, uscito ieri su queste pagine, nel quale si avanzava l' ipotesi che "Firmino" di Sam Savage fosse debitore del romanzo "La bibliotecaria" di Claudio Ciccarone, i responsabili di Einaudi Stile Libero ci inviano la lettera che qui di seguito pubblichiamo. Il mondo è pieno di gente che legge e scrive. Alcuni di loro, quando vedono un best-seller, pensano che sia uguale al dattiloscritto che hanno nel cassetto oppure al libro che si sono fatti stampare. Invitiamo i lettori di Firmino ad andare in biblioteca e a leggersi La bibliotecaria di Claudio Ciccarone. Se Sam Savage, che a quanto sappiamo non conosce l' italiano, ha letto, magari col vocabolario e con fatica, quel libro e poi ha scritto Firmino, be' , allora è davvero un genio. Quanto poi alla tarma cui si accenna nell' articolo di Repubblica, che a sua volta rimanda al sito Coffee House Press, c' è forse un fraintedimento zoologico. Lì, infatti, si parla della famosissima parabola di Chuang Tzu a proposito dell' uomo e della farfalla, che Sam Savage cita in esergo. Si tratta per l' appunto di una farfalla e non di una tarma. Moth, mouse, butterfly. Sempre animaletti sono, ma non ditegli mai che sono la stessa cosa. Si offenderebbero moltissimo. Paolo Repetti, responsabile con Severino Cesari di Einaudi Stile Libero.