martedì 24 giugno 2008

Green collars, nuove professioni

Specialisti in ambiente, dall'esperto in riciclo all'ottimizzatore di sprechi, all'ecoauditor
di Laura Piccinini

Ora che ha vinto le primarie del Partito democratico, pare che il problema di Obama saranno i colletti blu, gli operai: senza la Clinton potrebbero votare McCain. Rimasti in minoranza, senza istruzione superiore, scettici nei confronti del senatore nero innovatore e così d'elite, oggi si sentono superati, anche per le migliaia di posti di lavoro persi per le delocalizzazioni. Proprio i blue collar erano stati i pionieri di quella catalogazione "colori & mestieri" che via via ha aggiunto i colletti bianchì impiegatizi o manageriali, i colletti grigi che in pensione non vogliono andare, i colletti rosa che per stereotipo sessista sarebbero baby-sitter e manicure, oggi anche i colletti dorati, 18-25enni che guadagnano poco e spendono tutto in vestiti o cellulari, vivendo a carico dei genitori.
L'Italia ha ampliato la gamma coi suoi primi silurati della Net economy, le tute o colletti arancioni dal logo della ditta che li ha fatti fuori (Virgilio). Finché sono arrivati quelli che potrebbero riconvertire tutto, reimpiegare tutti in un'unica, smagliante tonalità: i green collar, colletti verdi, ma è meglio mantenere l'inglese per non confonderli con le camicie della Lega nord. I green collar presidiano le professioni ambientaliste, sono impiegati nei settori dell'industria sostenìbile o della New green economy, che dovrebbe rinverdire i fasti tecnologici di Silicon Valley con il business delle energìe rinnovabili, dell'agricoltura e architettura a impatto zero: dall'ingegnere all'operaio eolico, dall'esperto di riciclo con sportello nei supermarket (o all'lkea) all'idraulico ambientalista obiettore, che o metti i pannelli solari o ti lascia con lo scaldabagno rotto, all'ottimizzatore di sprechi negli edifici. E consulenti vari e verdi. È la categoria preferita di Obama, si diceva, che ha già promesso I5Omìla miliardi di dollari per creare cinque milioni di green collar entro dieci anni. Quando erano ancora in gara, Hìllary Clinton gli è saltata addosso lamentando che colletti verdi l'aveva detto prima lei e lui le aveva tolto le parole di bocca. Lei, con quel fare da "signora so-tutto" che poi l'ha stroncata, disse: «Tutti conoscono i colletti blu e quelli bianchi, cosi io vi dico che d'ora in poi bisognerà parlare dei colletti verdi».
A quel punto il dibattito tra gli elettori blogger si è scatenato, ma tutti hanno riconosciuto che l'etichetta l'aveva già usata John Edwards prima di ritirarsi, e che nel '99 c'era stato il volume Green collars dell'ambientalista di Seattle Alan Durning. Perfino un "colletto sporco" come Bush, che non ha sottoscritto il protocollo di Kyoto per limitare le emissioni di gas serra, un anno fa firmò il green Jobs Act che stanziava 125 milioni di dollari per la riconversione dei colletti blu in adetti alle professioni sostenibili. Tutti verdi.
«Sarà un'etichetta opportunista, ma green collar è catchy, acchiappa», commenta Jason Salti, microimprenditore modello della green economy. E dimostra come il business ambientalista spazi dai pannelli solari agli skate, alle tavole da surf che produce nella fabbrica dì Ithaca, New York. «Sei dipendenti e materie prime locali reperite entro 300 miglia. Per una lega a base dì resina di soia, bambù del Nordamerica e canapa, brevettata dalla società "e2e" del professore di scienza delle fibre alla Cornell University, Anil Netravali.
Niente colla al petrolio, tutto biodegradabile». Ma quel che "jovanottìsticamente" gli preme è "lavorare positivo", in modo che tutti siano partecipi. Tenendo come slogan le tre P, «persone-pianeta-profitto, se ne salta una saltano tutti». Il suo motto: «Balle». Scherza? No, B.a.l.l.e. è l'acronimo di Business Alliance of Locai Livìng Economìes, rete dì 15mila imprese tipo la sua. Ha in mente di riprodurre lo stesso modello microsostenibile nel mondo. Ha già contattato un possibile socio in Italia, ma è «un po' lento a rispondere». Non tutta la lentezza è sostenibile, anche se «voi avete l'apripista della green economy, Slow Food».
Il timore di Salfi è che il sostenibile non sia accessibile: «Come guidare auto ibride, o far la spesa nei supermercati corretti, ma cari, della catena Whole Foods». Certo, ci sono ipocrisie peggiori: le multinazionali che fingono dì fare green-washing. «Guardate la General Electric, lancia il concorso Ecoimagination e poi fornisce i motori ai cacciabombardieri nucleari Falcon».
Salfi spera in Obama, ma il suo riferimento è Van Jones, uno che «pensa prima ai fatti che ai colori»: 39 anni, di Oakland, è un ex avvocato civilista che nel '96 ha fondato l'Elia Baker Center per i Diritti Umani, una no-profit per tenere i ragazzìnì di strada fuori di galera, e la green For AH, dedicata a far indossare i "colletti verdi" alle comunità svantaggiate, con corsi per installare pannelli solari o produrre compost. Parafrasando De Andre, "dal letame nascono i fior", si può dire che dai resìdui di cucina e giardino si ricava il miglior fertilizzante ecologico. E gli impieghi green collar, a differenza dei blu, «non sono delocalizzabili, gli edifici si riconvertono in situ», non in Cina. Intanto, alla Columbia University, titola l'Observer, sì prepara la prossima generazione di leader ambientalisti.
In Italia, a cercare su Google salta fuori lo Sportello di supporto all'ecocompatibile dei torinesi no-profit Effetto Terra, che rimandano alle Pagine Verdi di eco-lavori.it dal tecnico di lotta integrata all'ecoauditor (certificatore di sostenibìlità). Commenta Guido Viale, economista ambientale, consulente della Regione Campania dì Bassolino e autore di Azzerare i rifiuti (in uscita a settembre per Bollati Boringhierì): «È dagli anni 80 che l'Enea fa proiezioni fantascientifiche di crescita ambientalista. E poi?». Mancano «formazione on the job, così le aspettative dei laureati in ingegneria ambientale sono state disattese». Il personale è «insufficiente nell'idro-geologico (bonifica dei siti inquinati), e nessuno produce in serie i pannelli solari. Andate a vedere quanti ne hanno installati sui tetti in Grecia, invece, con gli incentivi statali». Viale, negli anni da consulente verde ha sperimentato solo "ecofrustrazione". Un esempio. «Con la microcogenerazione per produrre energia economica attraverso impianti che si ripagano in poco tempo, si finiva sempre in un collo di bottiglia burocratico: o non c'era una firma per i finanziamenti bancari o mancavano gli installatori. I corsi di formazione sono per i livelli alti, e a pagamento. Mancano addetti alla certificazione energetica degli edifici, oggi di norma nelle compravendite immobiliari», Green collarpotenziali sprecati. Il piano Industria 2015 di Bersani per l'efficienza energetica e la mobilità sostenibile è rimasto sulla carta, è applicato raramente. Nel privato c'è qualcosina: per esempio la Merloni ha aperto al fotovoltaico. «E il governo? Ripesca il nucleare, con l'uranio più scarso del petrolio e ramazzato da Russia, Cina e India», chiude Viale.
Frustrati i colletti verdi dall'attesa, ci si è consolati aggiornando altre cartelle colori, come quella dei confetti, con l'esemplare lillà promosso da Verdi d'Abruzzo e Arcigay: zucchero di canna del Brasile e vaniglia caraìbìca, politicamente corretto, ma a contare le food miles, non sostenibile.
repubblica elle donne, 21 giugno 2008