mercoledì 31 dicembre 2008

il prezzo della benzina

Scritto da Vottorio Zucconi su www.repubblica.it 30 dic 2008:


Il prezzo della benzina negli Stati Uniti è tornato quello che era sei anni or sono, (circa 40 centesimi di Euro al litro) e immediatamente ricominciano a salire le vendite dei Suv più assetati e dei bidoni più ingordi, a scapito dei veicoli ibridi o più parsimoniosi. Va bene, ma per favore, quando il prezzo del petrolio tornerà a risalire e noi a stracciarci le vesti oddìo odd¡o dove andremo a finire signora Cesira, vediamo di non ricominciare con le pippe della Cina, dell’India, di Putin il bullo, di Ahmadinehad lo sterminatore e dello sceicco insaziabile. Siamo noi i fessi che foraggiamo i nostri nemici e ci spariamo sui piedi mentre gridiamo contro gli sprechi degli altri e l’imprevidenza dei politici. Il momento di pensare a risparmi di energia, a non usare l’auto quando non serve, a investimenti nei trasporti pubblici e a veicoli che utilizzino carburanti non fossili è adesso, con il petrolio a 37 dollari, non quando sarà tornato a 150 o 200. Dove tornerà di sicuro.

martedì 30 dicembre 2008

John Milton e la libera stampa

L'angelo della libera stampa
Quattro secoli fa nasceva il poeta puritano John Milton, grande paladino dei diritti civili In un celebre discorso al Parlamento inglese, nel 1644, si pronunciò contro ogni censura. «È quasi uguale uccidere un uomo o un libro»

di Luigi Sampietro
«Libertà va cercando, ch'è sì cara,/ come sa chi per lei vita rifiuta». Le parole che
Virgilio rivolge a Catone nel primo canto del Purgatorio riecheggiano idealmente nell'Aeropagitica. John Milton indirizzò al Parlamento inglese (1644) questo «discorso a favore della libertà di stampa senza censura» nel pieno di una guerra civile che avrebbe portato alla abolizione della monarchia (1649) e al riconoscimento dell'Inghilterra parlamentare come «Commonwealth or Free State». Dà notizia - l'unica che possediamo in proposito - di una visita, avvenuta a Firenze nel 1638, a Galileo Galilei «prigioniero dell'Inquisizione»; e, poco dopo l'inizio, afferma che «È quasi uguale uccidere un uomo che uccidere un buon libro. Chi uccide un uomo uccide una creatura ragionevole, immagine di Dio; ma chi distrugge un libro uccide la ragione stessa, uccide l'immagine di Dio nella sua essenza».
Il tema conduttore dell'Aeropagitica è la ricerca della verità, che, nella visione puritana di Milton è da considerarsi un punto d'arrivo, non un dato di partenza. Perché, se la verità delle Scritture è una guida alla quale attenersi in ogni momento - ed «è stata di questo mondo con il suo divino Maestro» - la verità vera gli uomini potranno conoscerla solo al ritorno di Gesù Cristo, quando avrà inizio il «Regno di Dio». Letterale o simbolica che si voglia ritenere questa affermazione, si intende che fino ad allora l'impegno di tutti sarà di procedere per approssimazione e per tentativi, in quanto - secondo Milton - alla verità si può arrivare attraverso l'errore, e perché essa verità è, su questa Terra, come il corpo di Osiride smembrato da Tifone in quattordici pezzi e gettato nel Nilo. In attesa che il Salvatore la ricomponga, nessun tentativo di recuperare il suo corpo dev'essere censurato. Ne consegue che anche «la Scienza, al pari della Virtù, non deve temere di sporcarsi le mani con la Realtà», e deve procedere libera (unfettered) insieme alle altre parziali verità via via emergenti dall'attività di ricerca (Truths of Inquiry). In età giovanile Milton aveva scritto una poesia latina, Natura non pati senium (1628), a sostegno delle tesi di William Hakewill, il quale riprendeva le idee di Francis Bacon contro coloro che, chiamando in causa il racconto della Caduta (Genesi 1,24), predicavano la vanità della umana conoscenza. Prima in The Advancement of Learning (1605) e poi in Istauratio magna scientiarum (1620), Bacon aveva infatti limitato gli effetti del peccato originale all'ambito morale e affermato che la capacità di intendere e di volere di Adamo ed Eva era rimasta incolume dopo la Caduta, così come l'ordine della Natura. La quale, pertanto, rimaneva conoscibile e nella seconda parte dell'Aeropagitica Milton ribadisce che «la regola aurea tanto della teologia quanto dell'aritmetica è di arrivare a ciò che non si conosce attraverso ciò che si conosce, accostando quindi (closing up) una verità all'altra in quanto appartengono tutte a un medesimo corpo, che è omogeneo».
Il puritano John Milton, del quale ricorre in questi giorni il quarto centenario della nascita, avvenuta il 9 dicembre 1608, fu un paladino della libertà di stampa e della libertà di coscienza (non del libero pensiero!) e - assolutamente -, ma solo indirettamente un sostenitore della ricerca scientifica. E però, attenzione! I puritani, in Inghilterra e in America (dove, preceduti dai «Padri pellegrini» di Plymouth, i fondatori della «Massachusetts Bay Colony» sbarcarono nel 1629) erano una genia di secchioni e di grafomani, studiosissimi, che consideravano il mondo creato un libro aperto - da porre accanto alle Scritture - in cui si poteva e doveva scoprire e interpretare il comandamento divino. Dopo la Restaurazione (1660), quando fu fondata a Londra l'accademia scientifica che va sotto il nome di «Royal Society», molti di loro vi furono accolti come soci o soci corrispondenti. E, nel Nuovo Mondo, l'attenzione che dedicarono fin da subito all'istruzione è stupefacente. Prima della metà del secolo fu deliberato l'obbligo (già invocato da Lutero nel 1524 e messo in atto dalla Chiesa di Scozia nel 1616) per tutti di imparare a leggere. Nel 1638 fu aperta la prima tipografia e l'anno seguente fu fondato Harvard College. Quando fu proclamato l'Impero (1707), Boston era, dal punto di vista editoriale, seconda solo a Londra. E furono loro, i puritani, a scrivere per primi libri per bambini e a porsi la domanda su come si dovesse farlo. Uno storico storicista potrebbe vedere, nel fatto che a tutt'oggi in quell'area del New England, c'è la più importante concentrazione di università, biblioteche e istituti di ricerca al mondo, l'effetto di una causa precedente la Rivoluzione americana.
Ma torniamo al nostro eroe. Il puritanesimo di Milton, nonché rivolto alla conoscenza diretta della Parola di Dio, e dunque alla eliminazione di ogni intermediario (gerarchia ecclesiastica, vescovi e re), riguarda il problema centrale - metafisico - della lotta e della scelta tra il bene e il male. Ovvero il problema della libertà cristiana. Dopo un inizio come poeta, e dopo avere progettato quel che sarebbe stato il più grande poema in lingua inglese, Milton dedicò dieci anni alla lotta politica, scrivendo in prosa. Fu a capo del ministero per la Comunicazione con l'estero sotto Cromwell e, alla fine del Protettorato, perdette ogni bene e fu in pericolo di vita. Ormai cieco, compose, senza poter scrivere, il Paradiso perduto, che pubblicò, nel 1667.
Il Paradiso perduto è un poema di portata cosmica. Nell'interpretazione romanzesca dei poeti romantici, a partire da William Blake, Satana è visto come un eroe prometeico e ribelle. Una sorta di personaggio alla Marlowe o alla Shakespeare, che combatte il tiranno. Ma - Milton lo mette bene in chiaro -, non c'è grandezza nella forsennata teatralità dell'angelo caduto. Non è lui il protagonista. È un personaggio carismatico ma le pagine più grandi di questo capolavoro barocco sono dedicate alla descrizione della magnificenza del creato. Di ciò che era il Paradiso terrestre di Adamo ed Eva. I quali, si badi, quando fanno l'amore - prima della caduta, oh yes! - e quando si ritrovano straniti, mano nella mano, dopo avere mangiatoli frutto proibito, sono un esempio di quella dignità di coppia di cui Milton parla nel suo trattato a favore del divorzio. Milton, che nella storia della lingua inglese è lo scrittore che l'ha arricchita con il maggior numero di termini, è l'inventore della parola composta "self-esteem". Una nozione e una dimensione, a sentire gli psicologi moderni, che è necessaria per vincere la paura del mondo e sviluppare quel rispetto del prossimo che è alla base di ogni civiltà. Non bisogna dimenticare che Milton fu la lettura preferita di due futuri presidenti degli Stati Uniti. John Adams e Thomas Jefferson. I quali furono, rispettivamente, l'autore della «State Constitution of Massachusetts», in seguito presa a modello in altri Stati per la sua «Carta delle libertà»; e il principale sostenitore della «Carta dei diritti» (i primi dieci emendamenti della Costituzione del 1791).
Domenica del Sole 24 ore 7 dicembre 2008

lunedì 29 dicembre 2008

Freddo, buio e spiriti d'altri tempi

bello questo raccontino di G. Mario Andrico, tratto dal Giornale di Brescia del 28 dicembre 2008...

STORIE E LEGGENDE DELLA BASSA
Freddo, buio e spiriti d'altri tempi
Dalle mie parti succedeva soprattutto d'inverno, quando l'insopportabile freddo costringeva all'ozio e gli uomini s'intontivano nel tepore delle stalle e gli intenti s'annebbiavano...
Ai confini dei paesi, si raccontava, laggiù in fondo ai Valù, si vedevano animali strani: una gru nera con due teste, la biscia con la cresta, l'asina bianca che parlava. Più in là, in località Villabuona nei pressi delle rive dell'Oglio, a cavallo del confine di due province, certi forestieri si fermavano a piantare croci misteriose e strane.
A la Mòia invece c'era un tale che si attaccava alla cancellata del piccolo cimitero e ci stava tutta la notte: «Per abituarsi - andava dicendo in giro - alla morte». Nei pressi di S. Vigilio, dove c'era al Fontanì, si vedevano le monache di Santa Cosma ballare nelle notti di luna tonda...
Sì, succedeva sempre a cavallo tra luglio e agosto. Il mondo non era mica com'è oggi: tempeste a birulù, saette su per le cappe, e i tuoni giù a giocare ai quattro cantoni. Malocchio, fatture e misture erano la minestra quotidiana. E gli spiriti? Su e giù per le scale, dietro ai mucchi di legna, dentro alle cassapanche, radenti i muri del camposanto. Un via vai. Il buio? Era dappertutto: fosco, minaccioso, pieno di rumori, di facce, di occhi spalancati. Dietro ad ogni angolo, in quei tempi, si poteva incontrare tutto ciò in cui, nei nostri, la gente non crede più. Guai a chi s'attardava per il paese dopo calata la sera: gatti neri, mani gelide intorno alle caviglie, sbatter d'ali, lumicini accesi e fuochi fatui ai crocicchi delle vie.
Chi camminava troppo vicino al ciglio della strada veniva accostato da serpentoni giganteschi, verde colorati e col sibilo mortifero. E i cani rognosi? Dopo le ore lecite presidiavano i ponti, si acquattavano dietro ai paracarri o davanti al cancello del cimitero e, i più feroci, arrivavano sui confiNi dove iniziano i campi del paese vicino. Era un mondo così: pauroso, strano, un po' magico, pieno di fascino!
Dalle mie parti, laggiù nella pianura piatta, appena suonava l'Ave Maria, chi ancora si trovava fuori di casa e alle svolte, era meglio che non fosse mai nato.
Un tale, era a morose ed aveva fatto tardi, si sentì infilare una mano gelida sotto il bavero. Rimase muto per il resto dei suoi giorni. Un vecchio ubriacone si era lasciato sorprendere dal buio. Camminava barcollando a rise dei ciosi. Improvvisamente sentì un tonfo sordo. Guardò nella roggia. Vide uscire una mano, bianca
che cercava di tirarlo sotto, invece, sul fiume Mella e nei pressi di Cigole: mica perché lo vedete così, che pare aver perso l'anima.
Una volta ne aveva di misteri e di leggende sotto le sue acque... si vocifera ancora di quella squadracela infame detta degli «Scheletri Armati».
li sorprendevano sempre in inverno, dalle parti della Mala Morte, laggiù dove il fiume s'impaluda, perde forza e non riesce più a trascinare via le sue acque per colpa della grande buca, che pare scavata dal diavolo con le sue unghie tanto è profonda, li vedevano vagare per i campi che lasciavano indietro un puzzo di morte forte forte.
Lo dicevano i vecchi che te ne accorgevi quando uscivano dalle viscere, del fiume, perché i cani, tutti insieme, incominciavano ad abbaiare.
Da quelle parti chiamavano quella schiera la «Caccia dei Morti». Dicevano anche che era stato il Signore a mandarli. Sì, a fare penitenza, perché dovevano espiare tutti i loro peccati... Ma sono conte andate. Neanche da dire.
Gian Mario Andrico

sabato 27 dicembre 2008

Dio e gli Dei

Scrive Nietzsche: "E gli dèi morirono dal gran ridere quando udirono che un dio voleva essere il solo"
Vorrei proporle questa breve riflessione a cui mi ha condotto lo studio del mondo greco. Chi sono gli dèi greci? Sono ciò che sarebbero gli uomini senza la morte. La religione greca sembra infatti discendere da una doppia riflessione: da una parte, quella sulla propria mortalità accettata senza Illusioni; dall'altra, quella su ciò che l'uomo sarebbe se non fosse mortale.
I miti degli dèi greci, In quanto ci presentano le divinità come identiche agli esseri umani con la sola differenza di non essere mortali, ci vengono a dire proprio questo, questo ci rivelano: che la morte, la finitezza dell'uomo, è nello stesso tempo ciò che ci perde e ciò che ci salva. Ciò che ci perde: ovvero ciò che ci fa polvere e nulla, dolore cieco e insensato, folle sgomento; ciò che ci salva: ovvero ciò che ci immette nella grandiosità della tragedia, che ci fa abisso e vertigine, tensione all'assoluto e assoluta, inestinguibile nostalgia di eternità, disperata violenza e Immedicabile pietà, pianto Inconsolabile e profondissimo canto.
Qui, Insomma, nella morte - sembrano volerci dire quei miti - è la radice della nostra rovina e del nostro riscatto; senza la morte gli uomini sarebbero infatti ciò che sono gli del greci: esseri spesso insulsi, arroganti, dissipatori, inetti, banali, capricciosi e d'insostenibile frivolezza. Sarebbero, In effetti, ciò che sono tutti gli uomini e le donne che vivono separati dalla propria morte; o, ancora, ciò che sono le donne e gli uomini patinati delle pubblicità, così irrimediabilmente estranei alla mortalità, propria e degli altri, da risultare alla fine estranei a ogni grandezza e in ultima istanza alla vita stessa.
Per quanto mi riguarda, questa è la radice di ogni volgarità, questo misconoscimento della morte, nonché la ragione del mio radicamento nella morte, a partire dal quale respiro, vivo e sento ogni cosa e al di fuori del quale non mi sarebbe più possibile sostenere la violenza dello stare al mondo. Credo che proprio la chiara percezione dell'impossibilità che la vita e la grandezza si diano a prescindere dalla morte o al di là di essa abbia fatto rifiutare a Ulisse II dono dell'immortalità.
Anna Rotunno, Salerno

Risponde Umberto Galimberti:
La sua lettera non pone alcuna domanda e quindi non è prevista alcuna risposta, ma per via della bellezza delle sue considerazioni merita un commento.
È vero, gli dèi greci meritano tutti gli aggettivi poco lusinghieri con cui lei li connota, ma hanno il merito di essere molti. Questa molteplicità è il principio della tolleranza di cui non è capace il monoteismo, detentore di una verità assoluta, e quindi escludente tutte le altre possibili espressioni umane che gli dèi rappresentano.
Nella loro espansione territoriale, Atene nella contaminazione con altre genti e Roma nella conquista di terre e di popoli, non avevano difficoltà a portare nel loro Olimpo gli dèi delle popolazioni con cui entravano in contatto o che conquistavano. Questo consentiva di mantenere e riconoscere l'identità di ciascun popolo e le credenze della sua gente.
La tolleranza incomincia infatti con l'accettazione delle rispettive divinità, con il loro riconoscimento. Quando questo principio fallisce incominciano le guerre di religione che sono più cruente e crudeli delle guerre dettate da interessi economici o territoriali, Perché la religione esprime in forma mitica la configurazione antropologica di un popolo, il modo di condurre la sua vita, a partire dallo scenario celeste che ogni religione disegna, per superare quella dimensione tragica dell'esistenza umana che lei così bene descrive. •
Gli dèi sono morti e il monoteismo ha distrutto, non solo metaforicamente, tutti i templi degli antichi dèi. Ma di recente sembra che anche Dio sia morto, perché il mondo non accade più secondo i suoi dettami.
Se togliamo la parola "Dio" dal Medioevo, quando l'arte era arte sacra, la letteratura era inferno, purgatorio e paradiso, persino la donna era donna-angelo, non capiamo nulla di quell'epoca, mentre tolta la parola "Dio", la nostra epoca si lascia comprendere benissimo, meno forse se togliamo la parola "denaro" o la parola "tecnica". Quindi Dio non fa più mondo, non lo crea più.
Dio è morto. Ma la morte di Dio non ci ha restituito gli dèi, per cui il nostro paganesimo è senza Olimpo. Ci ha però lasciato quell'eredità tipica delle religioni monoteiste che si chiama intolleranza, inevitabile conseguenza di chi si crede in possesso della verità assoluta. Un'intolleranza che non è estirpata e neppure lenita dagli inviti all'amore e alla comprensione del prossimo e del diverso da noi, a cui le parole della religione opportunamente ci invitano senza persuaderci, finché permane il principio per loro irrinunciabile di essere i depositari della verità assoluta. Per cui gli altri chi sono? Poveri erranti? Questa è la ragione per cui sarebbe auspicabile il ritorno degli dèi.

Da "La repubblica delle donne"
20 DICEMBRE 2008

giovedì 25 dicembre 2008

le feste senza luci, regali e panettoni

Dalle "lettere a Corrado Augias", la repubblica 24 dicembre 2008

La rubrica di oggi ha una struttura particolare. Contiene una lettera di cui credo valga la pena di raccontare la storia prima di trascriverne, di seguito, uno stralcio. La lettera è stata scritta da don Mimmo Battaglia, un sacerdote che presiede a S.ta Maria di Catanzaro il 'Centro calabrese di solidarietà' una delle comunità terapeutiche che fanno capo a don Picchi. La lettera, arrivata tramite la signora Adele Colacino di Catanzaro, mi è sembrata molto bella, soprattutto mi è sembrato che riportasse il Natale al suo originario significato cristiano così lontano da quella festa del consumo che è diventato, al quale anche la Chiesa sembra essersi adeguata. Don Battaglia ha immaginato che la lettera sia stata scritta dal pastore del presepe «che se ne sta lì con la bocca spalancata e gli occhi sorpresi che guardano in alto».
Quel pastore dice: «Anche quest'anno, risvegliato dal mio sonno nello scatolone di cartone, accanto agli altri miei compagni ed amici, ho sentito rinascere la meraviglia per il mondo che mi si costruiva intorno: la giovane donna disposta a donarsi a Dio e alla storia, il suo compagno falegname, paziente, fedele, aperto all'irrazionalità di sogni più grandi di lui, il piccolo Dio che piange lacrime di freddo e di fame. E poi la stella in cammino, i canti degli angeli, la notte che si risveglia, la gente, la natura.
Ma qualcosa di nuovo nasceva in me, un pensiero mi si insinuava nella mente: è tutto straordinario qui, ma cosa c'è attorno, fuori da quest'angolo di meraviglia? Questo tarlo penetrava sempre più a fondo nella mia testa, ma senza spegnere l'incanto, ed è stato con grande difficoltà che ho deciso di andare via, con difficoltà ma con un insopprimibile bisogno di capire, di vedere. Fuori dal presepe di legno, fuori dalle case e dalle chiese, sono andato in strada, nei posti che non conoscevo, a misurare il mio stupore su altri scenari, su strade diverse, in altre notti... Abbiamo colto l'essenziale perché eravamo poveri, come lo sono ancora oggi, la maggior parte dei vostri fratelli di questo mondo e di questo tempo.
"Natale della crisi economica": mi viene quasi da sorridere. L'economia non ha nulla a che vedere con il mio Natale. E nemmeno le vostre strade colorate di luci, i vostri panettoni, i vostri regali. Io non ho niente da darvi, nulla da dare a nessuno, non avevo nulla nemmeno quella notte di tanti anni fa: solo il mio stupore, il mio incanto, il mio silenzio, il mio esserci. Solo la speranza che il mio nulla fosse scritto in una storia infinita.
Il mio Natale uguale a quello di molti di voi oggi, bambini nelle baraccopoli dell'Africa, dell'America del sud, pensionate nelle case accanto alle vostre senza soldi per una bolletta o per le medicine, immigrati su una nave in fuga dalla disperazione, giovani donne in un carcere a combattere con la propria storia. Loro come me non hanno regali da portare o canzoni da intonare. Cercano solo l'essenziale, una risposta, il senso, forse l'incanto».

martedì 16 dicembre 2008

rai 2 alle otto della sera

E' fantastica! Ho trovato una serie di trasmissioni sui canti delle popolazioni nomadi, bellissima! Ho trovato anche in internet questo appello:

"Ciao,
vi suggerisco di fare pressioni su rai due per la
trasmissione "Alle otto della sera".
http://www.radio.rai.it/radio2/alleottodellasera.cfm
E' un archivio di documentari straordinario. Ha un
valore enorme.
Sarebbe di grande utilità per le scuole.
Dovrebbe essere rilasciato integralmente, in formato
MP3, e con licenza CC.
Attualmente e' disponibile in realaudio, e si puo'
trasformare in mp3 con MPlayer e lame.
Durante il documentario ci sono delle canzoni che
possono essere rimosse con audacity.
Proponete alla redazione di creare un gruppo di
volontariato che si occupi della trasformazione in mp3
e della ripulitura dalle canzoni.
Fategli avere risonanza a livello politico.
Sarebbe una bella iniziativa.
Grazie dell'attenzione".


Regards.

Marcello Semboli

domenica 14 dicembre 2008

Musica e memoria

Bello questo sito, che si occupa di canzoni e del loro rapporto con la società. Storie di canzoni censurate, discografie, testi, e altro.
http://www.musicaememoria.com/

Musica & Memoria è un sito nato con lo scopo di diffondere la cultura musicale, e la cultura attraverso la musica. L'obiettivo è estendere la conoscenza della storia e del significato della musica che accompagna il nostro tempo (rock, soul, folk, pop, jazz, MPB) anche al di fuori dei percorsi più conosciuti.

Musica & Memoria tratta quindi la musica in tutti i suoi aspetti. Una selezione non esaustiva dei temi trattati comprende: la musica e la storia del costume, l'impatto sulla sua evoluzione, sui mezzi di comunicazione di massa come la radio, sulla moda e sui fenomeni di evoluzione del mondo giovanile, con un particolare fuoco sugli anni '60. Il rapporto tra la musica italiana e la musica internazionale, e anglosassone in particolare, con una specifica attenzione al fenomeno delle versioni italiane (cover) di successi stranieri e alla esplosione dei complessi beat negli anni '60. La musica e la letteratura, con le "colonne sonore" commentate dei libri che da essa traggono ispirazione. La musica e il cinema, con i commenti dei film che traggono dalla musica una parte importante del loro risultato artistico, con in prima linea il cinema di Nanni Moretti. La musica, la iconografia e le immagini, intese come supporto e complemento ad essa, le copertine dei dischi, i booklet che arricchivano soprattutto i grandi LP 33 giri, e le immagini degli artisti citati. I significati delle parole in musica, non solo traduzioni, ma anche approfondimenti e note sui testi, con particolare attenzione agli autori meno noti e da scoprire o da riscoprire, fino ad ampie escursioni nei motivi ispiratori di autori italiani (Franco Battiato in primo luogo) e stranieri. La musica e i suoi mezzi di distribuzione, con discografie sintetiche e commentate di una selezione di artisti jazz e rock. La musica e le tecnologie usate nel tempo per diffonderla, distribuirla su supporti materiali e immateriali e per duplicarla. Il mercato della musica, la sua evoluzione e le direzioni che potrebbe prende e sta prendendo nell'era di Internet.

sabato 13 dicembre 2008

bio low cost?

Si punta troppo
sull'import. Ma è ecologica una mela prodotta dall'altra parte del mondo?
« Roberta Carlini
Al supermercato ho preso un barattolo di miele biologico: che bello, mi sono detta, il bio anche al discount. Poi ho letto l'etichetta: era fatto metà in Cina, metà in Ungheria, importato da un distributore tedesco. Tutto con certificazione bio garantita. Ma quanti chilometri e quante mani ha attraversato quel miele, prima di arrivare sullo scaffale?». Giulia, consumatrice milanese, non è sola col suo dilemma. Sì pongono la stessa domanda anche altri consumatori "responsabili". Che, stretti tra gli allarmi sulla salute alimentare e la crisi economica, si chiedono: arriverà anche qui il biologico low cost d'importazione? E potrà rientrare nella "spesa giusta"? A guardare i numeri del mercato bio, sembra di stare su un altro pianeta. Altro che crisi e recessione: nella prima metà del 2008, il consumo di alimenti biologici in Italia è salito del 6% rispetto allo stesso periodo del 2007. Insomma: mentre la spesa alimentare tradizionale stagna o addirittura scende, questa sale. Cos'è, il lusso ai tempi della crisi? «Non esattamente. Negli ultimi anni prima l'euro e poi il caro-petrolio, hanno fatto salire soprattutto i prezzi dei prodotti tradizionali», dice Andrea Ferrante, presidente dell'Aiab, consorzio di produttori e consumatori bio. In altre parole: col rincaro di pasta e pane, perfino il costoso biologico diventa più competitivo. Anche se i prezzi restano più alti degli altri. «Allo stesso tempo però è salita l'attenzione per la salute alimentare», aggiunge Ferrante, ricordando i tanti allarmi e scandali, dalle mucche ai polli, dal vino al latte. Qualunque sia il motivo, è certo che la domanda bio continua a crescere. Ma a tanta effervescenza corrisponde una calma stagnante sull'offerta. «Negli ultimi due anni la produzione è rimasta quasi ferma», dice Pina Eramo, presidente di Anabio, ramo biologico della Confederazione italiana degli agricoltori (Cia). Se la domanda sale più della produzione, è evidente che da qualche parte i prodotti devono arrivare. E arrivano dall'estero: da quei Paesi dove il biologico è certificato in modo equivalente ai parametri europei (Argentina, Australia, Costa Rica, India, Israele, Svizzera, Nuova Zelanda) e da tutti gli altri che vengono di volta in volta autorizzati dal ministero dell'Agricoltura. È il caso dei fagioli cinesi, dell'olio tunisino, delle arance del Marocco e del grano ucraino. Un altro numero in rapida crescita è quello degli importatori: erano 67 nel 2000, adesso se ne contano 254. Quadruplicati. Mentre invece, negli stessi anni, i produttori sono scesi, da 51.000 a circa 45.000. Una certa preoccupazione comincia quindi a serpeggiare: stiamo diventando un Paese importatore, anche nel bio? «L'Italia resta un grande produttore e primo esportatore europeo», dice Ferrante, «però è vero che l'import cresce. Ed è preoccupante che si vada verso un mercato biologico globalizzato. Guardate cos'è successo negli Usa, dove è stato divorato dal sistema agroindustriale e il prodotto è in gran parte importato. Anche l'Europa rischia di diventare un mercato dove si consuma ma non si produce». Com'è successo in tanti settori dell'economia. Ma con un paradosso in più, visto che il biologico nasce su valori ambientalisti, gli stessi che fanno a pugni con l'idea di mangiare una zuppa di fagioli che viene dall'altra parte del mondo. E dunque contiene più petrolio che proteine. «Un conto è importare banane, o noci brasiliane, insomma prodotti che qui non si possono produrre, tipici di altri posti. Un altro è importare l'olio: se ne trovo uno biologico tunisino a 5 euro, qualcosa non va. Dietro, probabilmente, c'è sfruttamento del lavoro, speculazione commerciale», dice Marco Camilli, presidente di Anagri-bios-CoIdiretti.
La grande distribuzione, che gestisce circa la metà del biologico in Italia, minimizza: «L'italianità è vissuta come un valore importante: potrà esserci un maggior ricorso all'import per alcuni prodotti nel breve periodo, ma non la vedo come tendenza», spiega Fabrizio Ceccarelli, brand manager della linea bio delle Coop. Che fornisce alcuni dati: sul biologico a marchio Coop (che copre 1'85% del biologico che loro distribuiscono) 1'85% è italiano. Il resto sono prodotti tipici di altri Paesi, come caffè e zucchero di canna. La Sma-Auchan fa sapere che il loro bio, pur restando prodotto di nicchia, è in crescita ed è tutto in mani italiane. Forse allora l'aumento delle importazioni si concentra nei negozi specializzati, che vogliono dare più scelta ai consumatori, e nei discount. Ma resta l'interrogativo: se l'importato può abbassare i prezzi, perché non accettarlo? Molti spiegano che il made in Italy in questo campo è non solo giusto ma conveniente. Perché è la distanza che fa risparmiare: «La vera chiave di volta è tagliare i costì ambientali e di trasporto, con i gruppi di acquisto e i mercati di prossimità», dice Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente. «Sull'import non è che i consumatori risparmino molto, semmai a guadagnarci sono gli intermediari», puntualizza Pina Eramo. Secondo Ferrante: «Spesso importiamo per necessità, più che per convenienza. L'anno scorso c'è stata un'emergenza per le pere biologiche: ne abbiamo avute poche per motivi climatici e quindi c'è stata una grossa importazione dall'Argentina». Il discorso però non convince tutti: «Se un anno scarseggiano le pere, mangerò altra frutta. Sempre meglio che affidarmi a un prodotto colto acerbo, imballato e trasportato per migliaia di chilometri prima di arrivare a casa mia». Per Valeria Manna, cofondatrice di un gruppo di acquisto, quella del biologico dev'essere una scelta di vita.


Sette motivi per cambiare
¦ PER I BAMBINI. L'università di Emory e Washington e Il Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta hanno verificato che i bambini che mangiano biologico non presentano tracce di malathion e chlorpyrifos, insetticidi che possono danneggiare il sistema nervoso.
¦ RIPRODUZIONE SANA. L'Associazione italiana endometriosi segnala nessi evidenti tra l'uso
di pesticidi e la diffusione di questa malformazione dell'utero. La teoria sugli effetti estrogenici di contaminanti come gli insetticidi, ipotizza che l'accumulazione di composti chimici, agenti come estrogeni, influenzi lo sviluppo fetale.
¦ SOS FERTILITÀ MASCHILE. Una ricerca dell'università di Pisa ha rilevato che la presenza d'inquinanti ambientali, come i fitofarmaci, riduce del 20% la mobilità degli spermatozoi e ne aumenta del 15% le anomalie rispetto a quelli di chi abita in aree pulite.
¦ MORBO DI PARKINSON. La causa? Fattori genetici e ambientali. Uno studio apparso su Mavement Disorders (Usa), collega l'esposizione ai fitofarmaci allo sviluppo della malattia.
¦ ACQUA, ENERGIA E C02. Nelle falde degli acquedotti italiani nel 2007 sono stati rilevati 119 tipi diversi di fitofarmaci. Uno studio dell'università di Cornell (Usa), ha verificato I vantaggi della coltivazione biologica del granoturco e della soia: consuma meno acqua e meno energia rispetto alle
analoghe colture convenzionali. 1 ettaro di terreno biologico assolte 1,5 tonnellate di C02 all'anno (Legambiente).
¦ BIODIVERSITÀ. Il legame tra la moria d'api e uso d'insetticidi è un dato acquisito, ma i danni riguardano molte specie. Una ricerca del Centre for Ecology & Hydrology di Lancaster con l'università di Oxford dice: «Stimiamo che i campi biologici contengano
dal 68 al 105% in più di specie vegetali e dal 74 al 153% in più di piante spontanee rispetto ai non biologici».
¦ CONTRO LA FAME. L'analisi di 114 progetti in 24 Paesi africani da parte dell'Onu ha rilevato rendimenti più che raddoppiati con l'uso di pratiche bio o integrate. E si risparmia sul costo dei fitofarmaci. Donatella Pavan
la repubblica delle donne 6 DICEMBRE 2008

È RISCHIOSO TORNARE ALL'ENERGIA ATOMICA SENZA UN VERO DIBATTITO PUBBLICO

di Monica Frassoni presidente del gruppo dei Verdi al Parlamento europeo

UN PROGETTO DI LEGGE SUL NUCLEARE sta andando avanti alla velocità della luce in Parlamento e prevede che l'Italia torni a investire i nostri soldi nell'energia dell'atomo. Non c'è coinvolgimento dei cittadini, niente approfondimenti e confronti su prò e contro, sui costi e rischi, come invece successe ai tempi del referendum del 1987, ricordato spesso come episodio di isteria collettiva del dopo Chernobyl - per me invece fu un grande momento di partecipazione e dì responsabilità.
Si avanza di corsa per buttare via miliardi di euro in una tecnologia vecchia e insicura. I problemi sono gli stessi di venti anni fa: scorie, pericolo di incidenti, stimolo al riarmo nucleare, tantissimi soldi, tempi lunghi... La tecnologia nucleare, più o meno, è sempre la stessa, solo alcuni "ritocchi", costosissimi. I finlandesi lo sanno benissimo: sono gli unici in Europa che stanno costruendo una centrale nucleare dì "terza generazione" a costi doppi di quelli previsti (quota 4,5 miliardi di euro) e ritardi di anni... Tanta fretta, poi, per cosa? Per produrre nel 2030 il 10% (secondo alcuni il 20) dell'energia elettrica che serve all'Italia. Ma molti scienziati, compresi quelli dell'Onu che hanno vinto il Nobel l'anno scorso, dicono che se non si agisce entro i prossimi 15 anni, saranno guai.
C'è bisogno di tanta ricerca per realizzare su vasta scala tecnologie pulite che assicurano un risultato già dopo pochi anni. È la via scelta da Spagna e Germania che, uscendo progressivamente dal nucleare, sono diventati leader nel settore delle fonti rinnovabili creando 250mila posti di lavoro. Il nucleare sicuro è ancora lontanissimo, se mai ci sarà. E l'uranio non è rinnovabile. L'Agenzia per l'Energia Nucleare prevede che basterà per soli 60 anni. Oggi ci sono 439 centrali in funzione nel mondo, forniscono il 6% di energia e il 17% di elettricità a livello globale, meno dell'idroelettrico: vi pare questa la soluzione? Se si raddoppiasse il numero delle centrali, l'uranio finirebbe più in fretta e (petrolio docet) costerebbe molto di più. Votiamo per il sole, il vento, l'acqua, e il futuro.

Se il mondo perde le farfalle

Dopo la scomparsa delle lucciole e la morìa delle api, sono ora le farfalle ad allontanarsi dalla nostra vista e disertare il nostro immaginario. Ancora una volta il cambiamento climatico viene chiamato in causa. E per ognuno di questi animali si può dire che il vuoto che lasciano è molto più grande delle loro piccole ali. A farfalle e api che si occupano dell' impollinazione è affidata infatti la sopravvivenza delle piante. Gli uccelli che di lepidotteri si nutrono hanno già iniziato a rarefarsi nelle campagne, modificando le loro rotte migratorie sulla scia del riscaldamento del pianeta. L' addio delle farfalle - anche se avviene in un modo che più silenzioso e discreto non si potrebbe - è l' ennesimo segnale del fatto che l' ambiente in cui abitiamo sta diventando a poco a poco sempre più inospitale. Insetti e piccoli volatili se ne sono accorti per primi, e con i loro corpi minuscoli e fragili hanno colto in anticipo i segnali di fumo che arrivano ormai da 360 gradi anche a noi uomini. E al nostro futuro. Gli esperti di cinque Paesi che hanno appena compilato l' Atlante europeo delle farfalle e del rischio climatico danno la colpa al termometro che sale alterando il ciclo riproduttivo degli insetti. Ma sono ormai diversi anni che gli entomologi puntano il dito anche contro i pesticidi usati in agricoltura, il rimodellamento di foreste e corsi d' acqua secondo le esigenze dell' uomo e persino contro l' inquinamento luminoso che fa perdere direzione al volo solo apparentemente erratico delle farfalle. Se questi insetti decidono di volare via proprio ora, dopo aver coperto con un piccolo paio di ali gli habitat più disparati della terra per cento milioni di anni, forse il campanello d' allarme dovrebbe essere ascoltato con più attenzione. "Il nostro Atlante - scrive Josef Settele, che dall' Helmholtz Centre for environmental research tedesco ha coordinato lo studio sul futuro delle farfalle in Europa - fa vedere quale sarà la risposta di questi insetti al cambiamento climatico. Molte specie dovranno cambiare la loro distribuzione in modo radicale, se vorranno tenere il passo con i mutamenti dell' ambiente. E dal comportamento delle farfalle potremo intuire anche quali saranno le reazioni degli altri insetti, che da soli coprono circa due terzi delle specie terrestri». Specie per specie, i compilatori dell' atlante hanno disegnato le mappe della distribuzione delle farfalle in un' Europa sempre più calda. Alla ricerca di temperature miti, le specie di pianura si stanno già spostando verso le montagne e quelle di montagna cercano di migrare più a nord. Di questo passo, fra un decennio bisognerà camminare in un prato scandinavo o scozzese per ammirare quello che Herman Hesse chiamava "un simbolo dell' anima", che "vive soltanto per amare e concepire e per questo si è avvolta in un abito meraviglioso". Nelle due proiezioni al 2050 e al 2080, l' Atlante mostra che gli habitat più adatti alle farfalle si concentreranno nel nord Europa. «Ma non è detto che spostarsi verso l' alta quota o cambiare latitudine basti a risolvere i problemi. Quel giusto compromesso di pascolo, radura e foresta che consente a una farfalla di sopravvivere non è infatti facile da ritrovare» spiega Valerio Sbordoni. Lo zoologo esperto di farfalle dell' università romana di Tor Vergata parla da Makassar, in Indonesia, dove è in corso una conferenza sull' evoluzione genetica di alcune specie animali, fra cui i lepidotteri. «Anche gli interventi dell' uomo per ricreare gli habitat distrutti spesso non hanno successo. Sull' Appennino, per esempio, è in corso una riforestazione che rischia di essere troppo fitta per le esigenze delle farfalle. Purtroppo, per queste specie, è difficile pensare a un intervento umano che sia risolutivo». L' Atlante disegna per il futuro delle farfalle due scenari. Il primo in cui le emissioni di gas serra da parte dell' uomo saranno tagliate con successo e di qui al 2080 la temperatura media in Europa sarà cresciuta solo di 2,4 gradi. Il secondo, invece, in cui il riscaldamento climatico continuerà a marciare a tutto vapore, facendo salire il termometro del continente di 4,1 gradi. Nel primo caso le farfalle perderanno il 50 per cento delle radure in cui attualmente concentrano i loro voli. Nel secondo caso, la riserva indiana in cui saranno confinate sarà pari al 5 per cento del territorio in cui vivono oggi. «Ero sulle Alpi liguri qualche tempo fa - racconta Sbordoni - e mi sono trovato davanti a un esemplare di Cleopatra, una farfalla mediterranea che mai mi sarei aspettato di vedere a quasi 1.800 metri di altezza». Secondo l' Atlante pubblicato oggi sulla rivista Biorisk, cui hanno partecipato anche le associazioni Butterfly Conservation Europe e Research Institute for Nature and Forest, grazie anche ai finanziamenti europei del sesto programma quadro, il 60 per cento delle specie di farfalle presenti nel nostro continente hanno già fatto slittare il loro habitat verso nord. E per 71 di loro è scattato l' allarme rosso che indica che l' estinzione è vicina. In Gran Bretagna, dove periodicamente vengono organizzate delle giornate di avvistamento e i volontari - soprattutto bambini - devono contarne il numero più alto possibile, le statistiche del "National moths count" parlano della perdita di un terzo degli esemplari dal 1969 a oggi. Nel nord Europa si sfruttano addirittura i telefoni cellulari per fotografare le specie avvistate e inviare le immagini, con le coordinate del luogo, all' esperto incaricato del censimento. In ogni caso già oggi la primavera per i lepidotteri (come per molte altre specie animali e vegetali) sembra arrivare con due o tre settimane di anticipo rispetto a dieci anni fa. A gennaio di quest' anno la versione dell' Atlante dedicata agli uccelli (che si nutrono anche di farfalle) aveva parlato di un analogo slittamento verso nord della maggior parte delle specie. Ma se gli animali volanti non hanno difficoltà a spostarsi per cercare la temperatura a loro più consona, altrettanto non si può dire del loro habitat ancorato al terreno, fatto di foreste, pascoli e fiori. E se il nord Europa è destinato a essere eletto a domicilio di molte specie di farfalle che oggi sono di casa in Italia, non è detto che il nostro paese venga scelto dagli esemplari del sud, conferma Sbordoni «La barriera del Mediterraneo ostacola infatti l' arrivo di nuove specie nella penisola». Che rischia di ritrovarsi ancora più grigia, senza il battito d' ali delle farfalle. - Repubblica — 11 dicembre 2008 pagina 35 ELENA DUSI

I viaggi delle Monarca trasvolate solo andata

di Piergiorgio Odifreddi

Repubblica — 11 dicembre 2008 pagina 35
Secondo la mitologia greca, i due fratelli gemelli Danao ed Egitto, nipoti di Poseidone, ebbero cinquanta figli ciascuno: femmine il primo, e maschi il secondo. Egitto avrebbe voluto che i figli si sposassero con le nipoti, ma queste rifiutarono e fuggirono col padre ad Argo, dov' egli divenne re e diede origine alla stirpe dei Greci. I ragazzi però inseguirono le cugine e le costrinsero a sposarli, ma furono poi tutti uccisi dalle mogli (meno uno, Linceo, che in seguito vendicherà i fratelli). Nell' antichità la storia delle Danaidi diede ad Eschilo lo spunto per la tragedia "Le supplici", ma ancor oggi la loro memoria è perpetuata da una specie di farfalle, le Danaus plexippus: un nome che nella seconda parte ricorda anche uno dei cinquanta figli di Egitto, che partecipò alla caccia al cinghiale di Calidone. Si tratta delle farfalle più note come Monarca, descritte da Linneo nel 1758 e tipiche del Nord America, benché presenti in molte parti del mondo, dall' Argentina all' Australia. Le loro ali sono larghe una decina di centimetri, e hanno un caratteristico colore arancione con un bordo nero punteggiato di pallini bianchi. La connessione col mito greco sta nel fatto che da un lato le Danaidi migrano annualmente, e dall' altro l' accoppiamento è costoso per i maschi: essi trasferiscono infatti nelle femmine non soltanto lo sperma, ma anche nutrimenti che arrivano fino a un decimo della loro massa corporea, rimanendo letteralmente svuotati da un rapporto sessuale che dura varie ore e viene effettuato in volo, mentre la femmina rimane passiva e il maschio deve sostenere entrambi con le proprie ali. Quanto all' emigrazione, le farfalle che stanno a ovest delle Montagne Rocciose vanno a svernare in California, soprattutto a Pacific Grove e Santa Cruz, mentre quelle che stanno a est scendono in una zona messicana ai confini tra gli stati di Michoacan e del Messico, chiamata appunto Riserva biosfera delle farfalle Monarca. La scoperta che le farfalle del Canada arrivano fino in Messico durante la loro migrazione invernale, compiendo un viaggio di più di quattromila chilometri, è dovuta a una ricerca quasi quarantennale di un biologo canadese di nome Frederick Urquhart, che fin dal 1937 iniziò a etichettare le ali delle Monarca, coinvolgendo nel tempo migliaia di volontari. Una prima scoperta fu che le farfalle non volano di notte, e compiono tappe giornaliere che possono arrivare fino a centotrenta chilometri. Urquhart seguì progressivamente gli sciami fino al Golfo del Messico, pubblicando nel 1960 la famosa monografia "La farfalla Monarca", ma non riuscì a ritrovarne le tracce in Messico. Nel 1973 l' industriale tessile Ken Brugger vide un suo annuncio su un giornale della capitale, e due anni dopo scoprì l' area di ibernazione. Nel 1976 Urquhart potè allora pubblicare trionfante, sul National Geographic, l' articolo "Trovata, finalmente, la casa invernale delle Monarca". Di recente, nel 2005, Francisco Gutiérrez ha poi seguito gli sciami lungo l' intero percorso con un aliante ultraleggero a forma di gigantesca farfalla, appropriatamente battezzato in indigeno Papalotzin, "Farfallino", e ha prodotto un video che mostra la storia naturale della Monarca nel suo lungo viaggio di andata e ritorno. Un viaggio che in teoria sembrerebbe essere impossibile, visto che la farfalla vive solo quattro o cinque settimane, precedute da due settimane come bruco e altre due come crisalide. Ma la natura provvede in maniera misteriosa, intercalando ogni cinque generazioni normali una "generazione Matusalemme", che vive invece sette o otto mesi: come se negli uomini, ogni cinque generazioni, ce ne fosse una che vive fino a cinquecento anni. Grazie a questa dilatazione dei tempi prodotta dal concepimento in zone fredde, che ricorda in qualche modo quella prodotta dall' aumento della velocità nella relatività, una dozzina di milioni di Monarca della generazione Matusalemme può intraprendere l' intero viaggio dal Canada al Messico, ibernare sugli abeti Oyamel di una piccola zona di un paio di ettari di superficie a più di tremila metri di altitudine, in grappoli così numerosi da piegarne i rami, e ripartire in primavera per raggiungere il Texas e l' Oklahoma, generando una nuova generazione normale e passando a essa il testimone. La staffetta richiederà altre due o tre generazioni, tutte normali e di corta vita, per permettere alle Monarca di raggiungere casa propria e vivere una breve estate felice, prima di generare una nuova generazione Matusalemme pronta a ripartire per l' esilio del Sud. Parte della "felicità" di queste farfalle sta nel fatto che esse sono relativamente immuni dai predatori, perché le loro uova vengono deposte sulle foglie di piante tossiche della famiglia delle Asclepiadaceae: un altro nome che ricorda un mito greco, questa volta quello di Asclepio o Esculapio, figlio di Apollo e dio della medicina. Poiché i bruchi si nutrono di queste foglie, ne assimilano le tossine e le farfalle risultano a loro volta tossiche: i predatori hanno dunque imparato a riconoscerle, ed esse stesse usano i loro colori come "segnali di pericolo" per tenerli lontani. A loro volta, per mimetismo, altre specie di farfalle non tossiche hanno imparato a imitarle, sviluppando gli stessi colori e mescolandosi a loro, per trarre un vantaggio indiretto dalla loro pericolosità. Ma l' aspetto forse più sorprendente della saga delle Monarca è che nessuna di esse compie un viaggio completo di andata e ritorno: come possono, dunque, sapere tutte dove andare e tornare ogni anno esattamente non solo nella stessa zona, ma addirittura sugli stessi alberi? Per un certo periodo si è pensato che potessero essere guidate dal campo magnetico terrestre, a causa di una piccola quantità di magnetite presente nel loro torace. Ma esperimenti di Steven Reppert, riportati in un articolo su Science nel 2003, hanno dimostrato che un' alterazione dei loro ritmi circadiani provoca errori nella navigazione: sono dunque questi ritmi, e i "geni periodo" che essi continuamente attivano e disattivano, a guidare attraverso la posizione del Sole il viaggio e a codificare geneticamente le istruzioni che permettono questo singolare "effetto farfalla", oltre che a concludere scientificamente una storia iniziata mitologicamente, come tanto spesso succede. - PIERGIORGIO ODIFREDDI

La necessità di scrivere

di Jean-Marie Gustave Le Clézio

Repubblica 9 dicembre 2008
Perché si scrive? Immagino che ciascuno abbia una sua risposta a questo interrogativo così semplice. Contano le predisposizioni, l’ ambiente, le circostanze. Le inettitudini, anche. Se si scrive, significa allora che non si agisce. Che ci si sente in difficoltà alle prese con la realtà, che si sceglie un altro mezzo per intervenire, un altro modo di comunicare, una distanza, un tempo per riflettere. Se analizzo le circostanze che mi hanno condotto a scrivere - non lo faccio per gentilezza, ma per premura nei confronti della precisione - noto che come punto di partenza nel mio caso c’ è la guerra. La guerra, intesa però non come un grande periodo di sconvolgimenti, nel quale si vissero avvenimenti storici e decisivi, come la campagna di Francia raccontata dai due versanti del campo di battaglia di Valmy, per esempio, da Goethe sul versante tedesco e dal mio antenato Francois sul versante dell’ armata rivoluzionaria. Racconti esaltanti, travolgenti. No, la guerra per me è quella che vivevano i civili e soprattutto i bambini piccoli. Nemmeno per un istante mi è mai parsa un momento storico. Avevamo fame, avevamo paura, avevamo freddo: questo è quanto. Ricordo di aver visto sfilare sotto la mia finestra le truppe del maresciallo Rommel che risalivano le Alpi alla ricerca di un passaggio verso il nord dell’ Italia e dell’ Austria. Quell’ avvenimento non mi ha lasciato un ricordo particolarmente indelebile. Al contrario, negli anni che hanno fatto seguito alla guerra, ricordo molto bene di essere stato sprovvisto di tutto, e specialmente di che scrivere e di che leggere. Mancava la carta, mancava la penna a inchiostro. Disegnai e scrissi le mie prime parole sul retro delle tessere del razionamento, servendomi di una matita da falegname blu e rossa: da ciò nacque in me una certa predilezione per i supporti ruvidi e per le matite ordinarie. Mancando i libri per l’ infanzia, lessi i dizionari di mia nonna. Erano meravigliose rampe di lancio per partire all’ esplorazione del mondo, per vagabondare col pensiero e sognare davanti alle tavole illustrate, alle cartine geografiche, agli elenchi di parole sconosciute. Il primo libro che scrissi, all’ età di sei o sette anni, del resto si intitolava “Le Globe à mariner”, seguito pochissimo tempo dopo dalla biografia di un re immaginario denominato Daniel III - era forse svedese? - e da una favola raccontata da un gabbiano. Quello fu un periodo di reclusione. I bambini non avevano neppure la libertà di uscire a giocare all’ aperto, perché i terreni e i giardini situati nei pressi della casa di mia nonna erano stati minati. Casualmente, nel corso delle mie passeggiate, ricordo di aver costeggiato una volta una recinzione di filo spinato sistemata lungo il mare e di aver letto appeso ad essa un cartello in francese e in tedesco, che proibiva l’ accesso a chiunque, con tanto di teschio.
I libri sono entrati nella mia vita un po’ dopo, sotto forma di varie raccolte di libri che mio padre era riuscito a mettere insieme: provenivano dalla dispersione della sua eredità avvenuta quando era stato espulso dalla sua casa natale di Moka, nell’ isola Mauritius. Fu allora che capii quella verità che non è mai percepita con immediatezza dai bambini, ovvero che i libri sono un tesoro più prezioso dei beni immobili o dei conti in banca. Fu in quei volumi - in linea di massima antichi e rilegati - che scoprii i grandi testi della letteratura universale, il Don Chisciotte illustrato da Tony Johannot, La vita di Lazarillo de Tormes; Le leggende di Ingoldsby, I viaggi di Gulliver; i grandi romanzi ispirati di Victor Hugo, Novantatré, I lavoratori del mare, o L’ uomo che ride. E anche Le sollazzevoli istorie di Balzac. Ma i libri che mi sono rimasti maggiormente impressi furono le raccolte di storie di viaggi, per la maggior parte dedicati all’ India, all’ Africa, e alle Isole di Mascareigne, come pure i grandi resoconti delle esplorazioni, di Dumont d’ Urville o dell’ Abbé Rochon, di Bougainville, di Cook, e ovviamente il Milione di Marco Polo. Nella vita del tutto insignificante di una piccola borgata di provincia intorpidita e sonnolenta, dopo gli anni di piena libertà vissuti in Africa, quei libri mi trasmisero il gusto dell’ avventura, mi permisero di farmi un’ idea della grandezza del mondo reale, di esplorare con l’ istinto e i sensi piuttosto che con la conoscenza diretta. In un certo senso mi permisero di comprendere molto presto la natura contraddittoria della vita infantile, che conserva un rifugio nel quale può dimenticare la violenza e le ostilità, togliendosi il piacere di osservare la vita esteriore dal quadrato della sua finestra.
Allora, perché scrivere? Lo scrittore - già da tempo - non ha più la presunzione di credere che potrà cambiare il mondo, che con i suoi racconti e i suoi romanzi potrà dare origine a un modello di vita migliore. Più semplicemente, vuole essere testimone. Si osservi questo altro albero nella foresta dei paradossi: lo scrittore vuole farsi testimone, quando nella maggior parte dei caso altro non è che un semplice spettatore. Lo scrittore non può essere miglior testimone di quando lo è suo malgrado, a malincuore. L’ assurdo è che ciò che egli testimonia non è ciò che ha visto, né ciò che ha inventato. L’ amarezza, talvolta la disperazione, nasce dal fatto che egli non è presente alla requisitoria. Tolstoj ci fa vedere il male che l’ armata napoleonica infligge alla Russia e tuttavia nulla è cambiato nel corso della Storia. Madame de Duras scrive Ourika, Harriet Beecher Stowe La capanna dello zio Tom, ma sono i popoli resi schiavi a cambiare il proprio destino, a ribellarsi e a fondare contro l’ ingiustizia i movimenti di resistenza dei fuggitivi, in Brasile, in Guyana, alle Antille e infine a fondare ad Haiti la prima repubblica di neri. Agire: è questo che lo scrittore vorrebbe più di ogni altra cosa. Agire, piuttosto che testimoniare. Scrivere, immaginare, sognare, affinché le proprie parole, le proprie invenzioni, i propri sogni intervengano nella realtà, cambino gli animi e i cuori, spalanchino un mondo migliore. E tuttavia, in quello stesso istante, una voce rivela allo scrittore che ciò non sarà possibile, che le sue parole sono soltanto parole che il vento della società disperderà, che i sogni altro non sono che chimere. Con quale diritto pretendere di essere migliori? Spetta effettivamente allo scrittore cercare soluzioni? Non si trova egli piuttosto nella posizione della guardia campestre che nell’ opera teatrale Knock, ovvero il Trionfo della Medicina, vorrebbe addirittura impedire un terremoto? Come potrebbe mai agire lo scrittore, se altro non sa che ricordare?
Non intendo in ogni caso crogiolarmi in un atteggiamento negativo. La letteratura - ecco dove volevo arrivare - non è qualcosa di arcaico che sopravvive e al quale dovrebbero sostituirsi logicamente le arti dell’ audiovisivo, e più di ogni altra cosa il cinema. È una strada complessa, difficile da percorrere, ma che io credo sia ancora più necessaria oggi che ai tempi di Byron o di Victor Hugo.
Due sono le motivazioni di questa esigenza:
prima di tutto la letteratura è fatta di linguaggio.
È il suo significato primo: lettere, ovvero ciò che è scritto. In Francia la parola “romanzo” indica quegli scritti in prosa che utilizzavano per la prima volta dal Medio Evo la nuova lingua che tutti parlavano, la lingua romanza. La “novella” nasce anch’ essa da questa idea di novità. Più o meno nel medesimo periodo, in Francia si smise di adoperare la parola “rimeur” (”compositore di rime”), per parlare invece di poesia e di poeti - derivanti dal verbo greco poiein, creare. Lo scrittore, il poeta, il romanziere sono creatori. Ciò non significa che inventano la lingua, ma che la adoperano per creare bellezza, pensieri, immagini. Ecco perché di loro non si può fare a meno. Il linguaggio è l’ invenzione più straordinaria del genere umano, perché precede ogni cosa, rende partecipi tutti. Senza il linguaggio non ci sarebbero le scienze, non ci sarebbe la tecnica, non ci sarebbero leggi, non ci sarebbe l’ arte, non ci sarebbe l’ amore. Ma questa invenzione, senza l’ apporto di qualcuno che la trasmetta, diventa virtuale, teorica. Può diventare anemica, ridursi, sparire. Gli scrittori, in certa qual misura, ne sono i custodi. Quando scrivono i loro romanzi, i loro poemi, le loro opere per il teatro, fanno vivere il linguaggio. Non utilizzano le parole: al contrario, sono al servizio del linguaggio. Lo celebrano, lo affinano, lo trasformano, perché il linguaggio vive attraverso di loro, grazie a loro e accompagna le trasformazioni sociali o economiche della loro epoca.
(traduzione di Anna Bissanti)
Jean-Marie Le Clézio

lunedì 8 dicembre 2008

la felicità è contagiosa

Le mille lingue delle emozioni. La felicità è contagiosa
di Franco La Cecla - 05/12/2008

Fonte: La Repubblica



Da quando esistono le scienze umane due sono state le tendenze per spiegare come si propagano le credenze, le mentalità, gli usi e gli stati emotivi. Una sostiene che l´umanità ha una maniera universale di procedere, di fronte a certe situazioni ed in certi contesti risponde nello stesso modo, che sia un villaggio di indios quechua delle Ande, un gruppo di manager di Chicago o una tribù del Benin. Si può chiamare teoria analogica. La seconda è la teoria del contagio, la teoria diffusionista. Gli aztechi costruivano città che somigliavano a quelle cinesi, allora è possibile che qualche cinese sia arrivato via mare fino in Messico.
Più banalmente è la teoria del contatto, quella per cui se due persone o due gruppi umani si incontrano finiranno per imitarsi. La mimesi sembra essere una delle molle fondamentali dell´umanità, quella per cui persone che vivono insieme finiscono per esempio per somigliarsi. L´idea che la felicità sia contagiosa e l´infelicità no presuppone che entrambe le teorie siano sbagliate Per i neuroscienziati che la sostengono ci sarebbero dei fattori particolari nelle sinapsi del cervello che aiutano il contagio felice e inibiscono quello depresso.
Intanto cosa significa felicità? Un conto è la felicità promessa nella Costituzione americana, un altro quella del kamikaze convinto che se muore per la causa giusta va in Paradiso, un conto è la felicità come assenza di dolore - e nel caso della nostra ricerca la felicità è misurata su parametri negativi, l´assenza di depressione - e un altro è la felicità come ricerca di un senso nella vita, un senso che può passare anche attraverso prove dolorose, come il ragazzino indio che si deve perdere nella foresta e soffrirvi per essere iniziato all´asceta. Il punto chiave è che l´umanità è legata al contesto, al tempo, alla geografia e alle motivazioni generali del gruppo dentro cui vive o a cui anche idealmente appartiene e la felicità dipende da queste circostanze. Ogni approccio clinico all´umanità ha bisogno di ridurla al un minimo comun denominatore con la scusa di essere una scienza empirica. Ma è la stessa disumanità che sta oggi alla base della medicina ufficiale, per cui l´uomo è un fascio di nervi e di sinapsi ed il cervello una bella macchina che tra poco avremo "totalmente" capito (dicono loro).
Le cose in realtà stanno in modo differente. Intanto l´idea che la depressione, o l´infelicità, non siano contagiose va contro il più banale buon senso. Vi siete mai trovati a convivere con un depresso? Vi sembra davvero che il suo stato d´animo non aleggi intorno a lui come un´aura pervasiva? Il fatto è che un esperimento in laboratorio è diverso dalla vita reale. E poi è sicuro che la depressione sia un sintomo di infelicità? Per gli psicanalisti la depressione è il momento di presa di coscienza della necessità di un cambiamento. Ma più in generale le discipline antropologiche che si occupano di emozioni hanno fatto passi da gigante tutti dovuti a dei pazienti ricercatori che si sono dati la briga di stare mesi, anni presso popolazioni diverse del mondo. Quelle che questi studi ci raccontano che ogni piccolo mondo ha la sua "tavolozza" di emozioni che hanno senso all´interno di un sistema che "si tiene" per rimandi. La collera, l´ira, la rabbia, e la risata, l´allegria, la gioia sono sì esperienze universali, ma si manifestano spesso in presenze di fenomeni opposti e con intensità diverse. Quello che per noi è uno stato di agitazione per gli antichi greci era il sentire del giovane perfetto. Per i polinesiani ogni eccesso di allegria o di rabbia viene rimproverato e quindi l´intero gruppo vive in una "moderazione" costante che ha bisogno, per non scoppiare, di momenti di follia collettiva. Per le mamme delle favelas brasiliane in cui la mortalità infantile è altissima il lutto deve essere trasformato in allegria. In generale però le emozioni sono un patrimonio locale, sono un linguaggio che si può capire solo dopo un bel po´ di tempo che si è convissuto in quel villaggio, in quel paese. L´umanità, quando si tratta di emozioni, è molto complessa, e come ci ha insegnato Bateson, le emozioni sono come un sistema ecologico, presuppongono un equilibrio di dinamiche. Felicità - infelicità sono parametri molto consumisti di lettura delle emozioni, pretendono di ridurre gli stati d´animo a bisogni, a soddisfazioni, a un vuoto da riempire, ad una carenza da colmare.

il dibattito interno....

L' AMACA

Repubblica — 07 dicembre 2008
Vorrei fare una dichiarazione ufficiale. «In seguito alle recenti notizie di stampa relative al dibattito interno al Partito democratico, dichiaro solennemente il mio risoluto e consapevole rifiuto di leggere una sola ulteriore riga in proposito. Per un annoso processo di saturazione neurologica, il mio cervello non è più in grado di immagazzinare nuovi dati riferibili alle voci "sinistra", "centrosinistra", "crisi della sinistra", "dibattito nella sinistra", "dibattito nel centrosinistra", "D' Alema e Veltroni", "Veltroni e D' Alema" e categorie apparentabili. Non solo: anche i dati precedenti, equivalenti a seicento megabyte di parole e frasi quasi tutte ripetute centinaia di migliaia di volte negli ultimi vent' anni, sono oramai andati irrimediabilmente perduti. Ne consegue che a ciascuna delle suddette voci, e apparentabili, nel mio cervello corrisponde un vuoto assoluto e definitivo, che me la fa considerare totalmente estranee alla mia percezione sensoriale, ai miei interessi personali e alla mia vita passata, presente e futura. In seguito a questa condizione, che presumo estesa ad altri cittadini italiani, diffido chiunque, anche legalmente, dal considerarmi destinatario, a qualunque titolo, di notizie relative alle voci "dibattito nel Pd", "crisi della sinistra" e consimili». - MICHELE SERRA

giovedì 4 dicembre 2008

Addio al consumismo, riscopriamo le cose

Tutto cominciò, credo, verso l’inizio degli anni Cinquanta. Allora, un noto specialista americano in pubblicità venne incaricato di studiare il comportamento delle massaie nei nuovi supermarket. In un angolo, nascose una macchina da presa che avrebbe registrato i movimenti delle palpebre delle massaie mentre si aggiravano tra i reparti. Dal ritmo dei battiti egli poteva desumere la tensione interna di ognuna di loro: tenendo conto che la media si aggira attorno ai trentadue battiti al minuto. Quando una massaia metteva piede nel supermarket, veniva inquadrata dall’obiettivo, che la seguiva passo dopo passo. Il numero dei battiti scendeva rapidissimamente, fino a raggiungere la media di quattordici al minuto: una media subumana, coem quella dei pesci; tutte le signore precipitavano in una forma di trance ipnoide. Molte erano così ipnotizzate, che a volte incontravano vecchi amici e conoscenti senza riconoscerli e salutarli. Alcune procedevano con gli occhi sbarrati. Altre si aggiravano tra i banchi come automi, pescando a caso dagli scaffali, o inciampando negli ostacoli senza vederli: spesso non scorgevano la macchina da presa, sebbene fosse a mezzo metro. Quando avevano riempito il carrello, si avviavano verso la cassa. In quel momento, il numero dei battiti cominciava a risalire. Appena trillava il campanello del registratore e la voce del cassiere chiedeva il denaro, il ritmo delle palpebre raggiungeva all’improvviso, i quarantacinque battiti al minuto. In questi quasi sessant’anni gli americani e gli europei hanno vissuto in una condizione di trance ipnoide, come le massaie del 1952.

Abbiamo consumato, sempre più velocemente, sempre più istericamente, senza che nessuna necessità ci costringesse a comprare. Conosco un bambino di otto anni: ama piantare sul terrazzo di casa i peperoni e i pomodori e vederli crescere. Ma, a Natale, padre, madre, nonni, nonne, zii, cugini e cugine gli regalano trenini elettrici, automobili modernissime, aerei teleguidati, animali mostruosi, che il bambino guarda con disgusto per qualche minuto e poi butta via. Non vedo perché uomini adulti debbano possedere otto telefonini, quaranta paia di scarpe, tre macchine velocissime, due televisori portatili, uno yacht con i rubinetti d’oro: né perché da qualche anno le contadine toscane comprino due cucine complete, una delle quali serve da salotto; né perché cinquanta milioni di persone visitino le Gallerie Vaticane o l’Ermitage, senza capire niente di quello che intravedono nel delirio; né perché, dopo sei mesi, una ricca signora milanese cambi il suo frigorifero bianco con un frigorifero rosa.

Negli ultimi anni il cosiddetto consumismo ha fatto crescere rapidamente l’imbecillità degli italiani. Un mio amico, che per molti mesi insegna Dante, Chaucer, Pindaro e Virgilio in un’università americana, è ritornato ieri a Roma. Mi ha detto che, in soli quattro mesi, la sciocchezza italiana è aumentata del trenta per cento, almeno nelle persone che occupano ruoli pubblici e appaiono in televisione. Quando li ha lasciati, erano individui quasi normali; dicevano sciocchezze pressapoco come le diciamo lui ed io. Ora aprono la bocca solo per pronunciare grandiose idiozie: ciò è divertentissimo per lui e per me, ma meno utile oer il funzionamento dello Stato.

Mi ha ricordato due casi, che mi erano sfuggiti. Gli studenti dell’Onda, cioè il cuore e il fiore del nostro futuro, hanno appena preparato un piano sull’università: dove sostengono che l’elemento decisivo per la sua e la nostra salvezza è che gli studenti possano andare gratis al cinema. Lella e Fausto Bertinotti hanno assistito al trionfo di Vladimir Luxuria, già deputato-deputata di Rifondazione comunista, in una trasmissione fondamentalissima come l’Isola dei Famosi. Marito e moglie si sono commossi e hanno pianto, lasciando una piccola pozza salata di lacrime sul tappeto persiano. “Luxuria - ha detto Lella Bertinotti al marito - è una personalità di grande spessore. Si è messa alla prova ed ha vinto. Non ha sbagliato una risposta. Se l’è meritata, una affermazione così. Potrebbe essere il nostro Obama”.

Non so nulla di economia; e mi conforto leggendo su Il Sole.Ventiquattro ore un intelligente articolo di Roberto Perotti, dove sostiene che quasi tutti gli economisti italiani ed europei ignoravano le tecniche finanziarie diffuse negli Stati Uniti. E non sono un profeta. Non saprei nemmeno lontanamente prevedere se le misure dei Governi modereranno la recessione di questi mesi. O se, invece, piomberemo in una crisi peggiore di quella del 1929.

Credo che la crisi americana distruggerà due modi di pensare diffusissimi. In primo luogo, la fede nel progresso ininterrotto. Per quasi quarant’anni banchieri, industriali, politici, economisti, saggisti di terz’ordine hanno immaginato che la storia moderna sia dominata dal progresso ininterrotto, come un jet che sfonda l’infinito. Ogni anno il Prodotto Interno Lordo aumentava, la scienza faceva scoperte, la fratellanza universale cresceva, l’intelligenza si liberava dal peso dell’empio passato, ed i bambini giocavano con la carta, dove qualcuno aveva scritto cifre irreali, come in una partita di Monopoli. Un noto scrittore italiano ha detto: “Noi, genitori progressisti”; una razza certamente superiore alla quale mi duaole di non appartenere.

Come quasi tutti gli storici sanno, nella storia non c’è nemmeno un’ombra, o un barlume, di progresso ininterrotto. Quando sembra sul punto di giungere alla meta, la storia si ferma, bivacca per qualche tempo in un bosco o in una palude, si addormenta, produce catastrofi, rieprcorre la strada che ha già percorso, procede a zig-zag. Credo che avesse ragione Leopardi, quando nel maggio 1833 scriveva a una sua amica fiorentina. ‘Quanto a me, cara signora, voi sapete bene che lo stato progressivo della società non mi riguarda per niente. Il mio stato, se non retrogrado, è eminentemente stazionario’.

Quindi entrerà in crisi il cosiddetto consumismo. Non sarà più possibile consumare consumare consumare: comprare una Bentley quando basta una bicicletta. Mi auguro che gli uomini ritrovino un giusto rapporto con le cose, che abbiamo comprato, ingoiato, sciupato, gettato con incredibile leggerezza per tanti anni. Oggi, sono troppe. Si accumulano da tutte le parti, l’automobile e la lavatrice, il quadro e il tappeto, cinquecento cravatte e quaranta paia di scarpe nell’armadio. Siamo ricoperti dagli oggetti: nascosti dagli oggetti; stanchi di quello che produciamo. Abbiamo smarrito la sensazione di come è fatta una cosa. Del suo peso, del suo spessore, dei suoi colori, delle sue ombre, e del valore simbolico che può avere nella nostra vita. Non le amiamo più. Non possiamo amarle visto che oggi sono diventate infinitamente sostituibili.

Tutti gli oggetti del mondo hanno diritto alla nostra attenzione ed al nostro rispetto. Non ci sono cose sostituibili, Tutto ciò che esiste, sebbene fabbricato in serie, è unico. Anche una vecchia giacca, o una vecchia automobile, o una lavatrice che cade a pezzi chiedono il nostro riguardo. Dobbiamo recuperare le virtù della civiltà contadina, ritrovando la parsimonia, la sobrietà e quasi l’avarizia all’inizio del ventunesimo secolo. Non c’è da possedere nulla, perchè il possesso è una qualità che apparteneva ai tempi di Balzac, non a quelli moderni. Vorrei essere Virgilio, , o Orazio, o Arioato, o Manzoni nelle loro case di campagna. Amavano poche cose, le accarezzavano con la mente e la mano, contemplavano un grappolo d’uva, un albero o un tramonto, abituandosi alla precisione, che noi abbiamo perduto.

Certo, la Cina continuerà a consumare. Aumenterà ogni anno il Pil del dodici per cento, moltiplicherà le fabbriche, i porti, gli aeroporti, si coprirà di gioielli e vestiti acquistati a Parigi, mentre le ciminiere e le automobili sporcheranno il cielo di un nero incancellabile, e i tibetani verrano offesi e uccisi. Preferisco l’Europa: gli olivi e i cipressi delle colline toscane, le campagne francesi dove le cuspidi delle cattedrali forano il cielo rosa, le foreste di rododendri della Scozia; o gli agilissimi, delicatissimi grattacieli di Manhattan, con i vetri che riflettono l’Hotel Plaza.

Non mi importa nulla se conosceremo la decadenza, se non cambieremo frigorifero ogni settimana, se saremo più poveri e consumeremo meno; e se i nostri regimi politici sembrano ai Cinesi lievemente anacronistici. Mi importa soltanto che gli Stati Uniti e l’Europa continuino a capire il mondo, ad accoglierlo ed a trasformarlo, conservando quel prodigioso dono di metamorfosi che ha permesso a tanti popoli, tanti dèi, tanti libri di penetrare nelle nostre terre.

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Pietro Citati, Addio al consumismo riscopriamo le cose. “La Repubblica”, 03/12/’08

domenica 30 novembre 2008

mostra Birmania a Bergamo

L'inaugurazione è lunedi 1 dicembre, ore 16.00


Mostra fotografica:
BIRMANIA DEVI VIVERE!
a cura di Roberto Giussani e Giorgio Gregori



Promossa dalle realtà bergamasche di:
CISL-Dip.to Internazionale ISCOS e Pace,
Greenpeace, Legambiente,WWF,
Associazione ITINERARI-Telgate, CARITAS e
Consulta Provinciale degli Studenti

in collaborazione con il Liceo Artistico Statale di Bergamo
e con il patrocinio di:



1 -13 dicembre 2008
c/o Aula magna Liceo Artistico Statale
Via Torquato Tasso 18, Bergamo
Orari apertura: da lunedì a venerdì dalle 9.00 alle 18.00;
sabato 9.00-12.00; domenica e festivi chiuso.
Ingresso libero.

global warming - sito per il 21 secolo

su questo sito e' spiegato molto bene
il problema del global warming e
le potenziali soluzioni.
Ho pensato che poteva essere utile semmai
si decida di fare qulache presentazione al pubblico
o alle scuole!...Certo, ha bisogno dei sottotitoli! :) :)


http://www.noe21.org/solutions/

Brescia: s....cambio giocattoli di S. Lucia

S...CAMBIO DI STAGIONE "GIOCATTOLI DI S. LUCIA"
IL MERCATINO DEL LIBERO E GRATUITO SCAMBIO DI GIOCATTOLI

a cura di legambiente,
che si terrà presso la Cascina Maggia, via della Maggia 3 - Brescia
(a 100 mt dall'uscita autostradale di Brescia Centro)


L'obbiettivo che ci poniamo è quello di sensibilizzare i cittadini e le cittadine ad utilizzare per il giusto tempo il prodotto acquistato anche attraverso il passaggio dei giocattoli di mano in mano, realizzando un mercato di scambio tra chi vuole liberarsi dei giocattoli e chi vede ancora potenzialità d'utilizzo.


GIOVEDI 4 dicembre / VENERDI 5 dicembre 2008
dalle ore 09 alle 18: per la consegna dei giocattoli

SABATO 6 Dicembre 2008 per la consegna e il ritiro dei giocattoli
dalle ore 10 alle ore 17

Per info:
Sede Legambiente Brescia 030 3754151
Lucia 3402239622
Isaac 3931478641
Michele 3489014746
Mario 3495794034

Brescia: il nuovo piano sosta

«Il Piano Sosta ci riporta indietro»

Premessa

Il Piano Sosta presentato recentemente dall’amministrazione non fornisce alcun elemento aggiornato di analisi relativamente all’evoluzione del traffico veicolare circolante in centro storico e alla domanda e offerta di sosta dei residenti, né affronta, sia pure lontanamente, il tema importante e basilare del ruolo del trasporto pubblico e delle modalità in cui si svolge.
Gli ultimi dati disponibili, risalenti al 2004, dicono di una popolazione residente all’interno delle mura venete pari a 17.500 abitanti (in aumento dell’8,9% rispetto al 1991) e indicano la presenza di 12.500 autorizzazioni a circolare all’interno delle Ztl (zone a traffico limitato per residenti, titolari di permessi speciali e disabili), cui vanno aggiunti tutti i veicoli che comunque possono muoversi in Ztl ( taxi, autobus, mezzi della polizia, flotte aziendali dei prestatori di servizio).
Questo genera, di fatto, una situazione di notevole densità veicolare in spazi ristretti, se si pensa che il nostro centro è di limitata estensione, superando di poco i due chilometri quadrati.


Proposte per la sosta
Le 12 proposte per la sosta in centro storico, contenute nel Piano, sono riconducibili almeno a quattro tipologie fra esse variamente intrecciate.
1. In primo luogo si suggerisce un nuovo incongruo uso delle piazze storiche della città per le automobili.
Infatti - invertendo un processo in corso da molti anni, teso a riqualificare le piazze, anche mediante la liberazione dalla presenza massiccia degli autoveicoli - si intende riempire molti spazi storici ed identitari e/o ad alterare regimi di circolazione e possibilità di sosta, generalmente a scapito dei residenti.
In piazza Duomo, l’introduzione di 60 nuovi posti auto aperti a tutti dalle 16 alle 19,30, l’estensione della possibilità di circolazione davanti alle due chiese e le nuove sistemazioni della sosta per residenti (anche davanti alla torre del Pegol e alla Loggia delle Grida, in area interdetta per motivi di sicurezza), riconsegnano la piazza stessa ad un uso che si pensava superato.
In piazza Tebaldo Brusato, l’assurda recente eliminazione della Ztl attorno alla piazza e che induce una circolazione "libera" parassitaria, verrebbe completata dall’introduzione di 21 parcometri aperti ai non residenti a nord e nord-est con il duplice risultato di contribuire a svilire la piazza stessa e a compromettere la già critica possibilità di sosta per residenti e autorizzati.
E ancora. In piazza Vittoria, la proposta di estendere la sosta in superficie anche ai non residenti, dalle 16 alle 20, oltre a causare un danno per i residenti stessi è incomprensibile a fronte della presenza di un grande parcheggio sotterraneo aperto a tutti. Quanto a piazzale Arnaldo, piazza del Foro e piazza della chiesa di San Faustino, la proposta di "legalizzare" la sosta ove ora è vietata ( in curva fra via Magenta e piazza Arnaldo), la possibilità di entrare in piazza del Foro o nel sagrato vicino alla chiesa di San Faustino, completano il quadro descritto, reintroducendo forme di colonizzazione di spazi pregiati.
2. In secondo luogo, il Piano Sosta, al di là delle piazze, propone l’introduzione di spazi per la sosta in strade e ambiti oggi vietati. Nel primo tratto di corso Magenta (15 nuovi posti), vicino a piazza Arnaldo, in contrada Santa Croce, via Gramsci, corso Martiri della Libertà nuovi spazi di sosta sono previsti usando come unico decisivo parametro la mancanza o meno di intralcio alla circolazione veicolare, come se non vi fossero altri fattori da considerare quali il decoro urbano, le necessità degli utenti deboli e dei ciclisti, il semplice passeggio o le conseguenze sul trasporto pubblico.
In particolare, la proposta di eliminare, a favore della sosta, la corsia riservata agli autobus in Corso Martiri della Libertà, modificando a tal fine il transito delle linee 9, 12 e 17 (che verrebbero obbligate a percorrere via Matteotti) non è affatto analizzata nelle sue implicazioni, ma è di sicuro danno per il trasporto pubblico e nettamente penalizzante per via Matteotti.
3. In terzo luogo, è contenuta nel Piano un’ulteriore riduzione delle Ztl della città e precisamente in contrada del Cavalletto, vie e vicoli limitrofi (Soncin Rotto, Speranza, Solitario), trasformando in sosta a parcometro 89 posti auto oggi riservati ai residenti.
Questa misura implica - con la sua immotivata brutalità e insieme all’avvenuta soppressione della Ztl in Contrada Santa Chiara e in piazza Tebaldo Brusato - che tutte le zone a traffico limitato a Brescia, pur comprendenti vicoli e vie strette in centro antico, possano essere soppresse, con totale o parziale sacrifico della possibilità di sosta per i residenti.
4. Da ultimo, vi è, nelle indicazioni dell’amministrazione, una sicura penalizzazione della residenza. In corso Cavour, via delle Grazie e via Santa Caterina (90 posti auto oggi per residenti verrebbero aperti a tutti), in via F.lli Porcellaga e via San Faustino, la logica è quella di introdurre posti a parcometro a scapito della possibilità di sosta per residenti, la cui domanda non viene del resto mai analizzata.
Grottesca appare poi l’individuazione, in centro, di 23 nuovi posti auto riservati solo ai residenti, una sorta di compensazione per gli spazi sottratti, sottraendoli a ciclomotori e motocicli o alle operazioni di carico e scarico (via IV Novembre e San Faustino), eliminando pilomat e semaforo (piazza del Foro) o legalizzando spazi vietati (Santa Croce).
Un’ulteriore "compensazione" deriverebbe ai residenti da una nuova possibilità di sosta lungo il Ring (via Marsala, Calatafimi e altro). Si tratta di un’indicazione illusoria, chi risiede in area centrale necessita di spazi limitrofi anche per i bisogni della vita familiare e per la sua libertà di movimento.

Sosta in aree esterne
Ma il Piano è anche altro e propone la riduzione della sosta a pagamento in talune aree esterne al centro storico. Attualmente, la sosta a pagamento esterna al centro sottolinea la "centralità" di taluni spazi, centralità che necessita di un alto tasso di rotazione degli autoveicoli per favorire attività commerciali e momenti legati al tempo libero, allo svago e alla cultura.
Secondo le indicazioni del codice della strada, spazi a pagamento di tale natura, in ambiti centrali anche di quartieri periferici, sono possibili ed auspicabili quando altri spazi liberi sono presenti nelle vicinanze.
Le nuove proposte dell’amministrazione – di sapore sfacciatamente populistico – hanno invece carattere davvero anomalo, perché si abolisce la sosta a pagamento anche dove a pochi metri vi è ampia possibilità di sosta libera, con negazione quindi della"centralità" e vitalità dei molti luoghi della città (in via Ambaraga a Mompiano, via Repubblica Argentina, via Corsica, via Volta, via Rodi ed altri). La sosta con parcometro verrebbe eliminata anche quando riferita a particolari situazioni e/o momenti (parcheggio Castellini e Castello), senza peraltro alcuna analisi delle singole situazioni locali.
Va notato, a proposito di sosta, come non vi sia alcuna valutazione degli effetti economici, sulle società del Comune, della modifica delle tariffe di sosta concernenti i parcheggi in struttura e gli spazi a parcometro o degli effetti derivanti dal progetto, presente anch’esso nel Piano, "tolleranza di un quarto d’ora sui parcometri" (si tratta di demagogia di basso profilo, inesistente in Europa a tale livello).
Del resto, è assente qualunque valutazione circa i costi derivanti dalla soppressione di corsie privilegiate per gli autobus e conseguenti riduzioni delle velocità commerciali del trasporto pubblico, come si vorrebbe fare in Corso Martiri della Libertà.

Nuovo parcheggio in galleria
Completa il Piano Sosta la proposta di un nuovo parcheggio in galleria Tito Speri. L’offerta attuale complessiva di sosta a servizio del centro storico, in struttura o meno, supera gli 11.000 posti auto ed è proporzionata all’entità della popolazione e alle attività che in centro si svolgono, come diversi studi hanno dimostrato.
E’ comunque un’offerta superiore a quella che si riscontra, in rapporto alla popolazione stessa e all’estensione del centro, in città comparabili con Brescia come Verona o Padova. Il nuovo parcheggio in Piazza Arnaldo, di cui è in corso l’appalto, completa il quadro descritto, contribuendo a risolvere qualche criticità nella zona est della città.
Un nuovo parcheggio da 600 auto sotto la galleria, oltre a drenare ingenti risorse mai stanziate in alcun strumento di programmazione, altera gravemente tale situazione sostanzialmente equilibrata perché induce un nuovo pesante traffico in una zona critica senza neppure rapportarsi con il grado e la modalità di riempimento dei parcheggi esistenti (primo fra tutti Fossa Bagni).
Non solo, un parcheggio di tal genere entra necessariamente in conflitto con il trasporto pubblico (Lam oggi e metropolitana leggera domani), rispetto al quale vanno previsti - come si ritrova in deliberazioni consiliari che paiono dimenticate - parcheggi di interscambio ben più lontani. E’ incredibile che fattori di tal genere, in una città che sta costruendo una Metropolitana, non vengano neppure presi in considerazione, come se traffico veicolare, spazi per la sosta e trasporto pubblico innovativo fossero entità separate.

Conclusioni
Il Piano Sosta presentato è segno e simbolo di una profonda regressione culturale, per cui il diritto alla mobilità si esercita essenzialmente attraverso il mezzo privato fino a calpestare spazi per residenti, negare luoghi centrali e identitari, contribuire a compromettere trasporto pubblico e qualità ambientale.
La proposta complessiva appare sicuramente anomala nel panorama delle città europee in cui i tre grandi temi di una politica per il Centro Storico – legati alla permanenza e rafforzamento della residenza, alla tutela e valorizzazione delle attività "positive" che vi si svolgono e alla salvaguardia di monumenti e contenitori storici – vengono declinati e risolti in ben altri modi, esaltando in ogni caso ruolo e funzione del trasporto pubblico e di forme alternative di mobilità, senza l’assurda compromissione di spazi vitali.
di Brunelli e Venturini
da quibrescia.it

dossier che guida all'acquisto delle auto meno inquinanti

Pubblicato dal Ministero dell'Ambiente un dossier che guida all'acquisto delle auto meno inquinanti. Il documento contiene anche un vademecum per risparmiare fino al 15% con piccoli accorgimenti nello stile di guida. Tabelle con consumi ed emissioni di anidride carbonica di tutti i modelli in commercio.

http://www2.minambiente.it/pdf_www2/ras/guida_risparmio_carburante_co2.pdf

CLIMA: GERMANIA; KYOTO RAGGIUNTO CON 4 ANNI ANTICIPO

(ANSA) - BERLINO, 28 NOV - La Germania ha gia' raggiunto, con quattro anni di anticipo rispetto al previsto, gli obiettivi di Kyoto per la riduzione delle emissioni di gas serra. Lo ha detto oggi il ministero dell'Ambiente tedesco, confermando i risultati di uno studio anticipato dal quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung. Secondo lo studio, del centro ricerche americano (National emission inventory), al 2007 queste emissioni sono state ridotte del 22,4% rispetto al livello del 1990, con un miglioramento del 2,4% sull'obiettivo stesso del Paese. Nel 1997, infatti, la Germania si impegno' a ridurre le proprie emissioni di gas serra del 21% entro il 2012 nel quadro degli accordi di Kyoto. ''I dati mostrano il successo registrato dalla politica tedesca di protezione dell'ambiente - ha commentato il ministro dell'Ambiente, Sigmar Gabriel - sembra che la Germania si avvii a diventare uno dei pochi paesi che raggiungeranno gli obbiettivi di Kyoto''. Le riduzioni ottenute, ha spiegato il ministero, sono particolarmente rilevanti nel settore industriale, ma sono state ridotte notevolmente anche le emissioni legate ai consumi delle famiglie. Lo studio, secondo cui le emissioni di gas serra sono diminuite in parte anche grazie all'inverno mite del 2006-2007, che ha permesso un minore consumo di combustibile, mostra in particolare che dal 1999 a oggi c'e' stata una notevole diminuzione di questi gas legati al traffico stradale.

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commento di Danilo Scaramella - Brescia

Chi ha frequentato la Germania negli ultimi 10 anni ha potuto rendersi conto visivamente delle trasformazioni che hanno condotto a questo risultato.
C'è stato un fiorire di cantieri per il recupero energetico degli edifici esistenti e la costruzione di nuovi edifici ad elevatissimo livello di isolamento termico.
Sui tetti delle case sono fioriti in modo diffuso impianti solari termici e fotovoltaici (da loro il solare rende mediamente il 30% meno che in Lombardia!), ma soprattutto sulle colline ormai è normale vedere generatori eolici.

Alla luce di questo è tanto più penoso e umiliante vedere i nostri governanti fare il giro delle capitali europee per chiedere proroghe e deroghe affermando che il rispetto degli obiettivi di Kyoto e dell'accordo 20-20-20 metterebbe in ginocchio l'industria, è vero esattamente il contrario, gli investimenti nel risparmio energetico e nelle rinnovabili costituisce un volano per l'economia!

mercoledì 26 novembre 2008

L’ecodieta per abbattere il CO2

L’ecodieta per abbattere il CO2



Non resistete alla tentazione di mangiare delle primizie a gennaio che vengono, magari, da un altro continente e hanno quindi un trasporto ad alto carico di CO2? Se proprio non riuscite a farne a meno, potete provvedere a riequilibriare la vostra "dieta" di CO2, proprio come fareste con una normale dieta alimentare.
Come? scoprirlo è semplice: su www.ecodieta.it, ognuno di noi può sapere quante emissioni di CO2 sono legate ad ogni sua azione quotidiana e, soprattutto, come ridurle senza eccessivi sforzi o sacrifici. Solo con un po’ di attenzione in più, infatti, ognuno nel suo piccolo può contribuire a risolvere il problema del riscaldamento globale.
L’obiettivo dell’ultima iniziativa di Enel nell’ambito del Progetto Ambiente e Innovazione, che dedica importanti risorse allo sviluppo di progetti innovativi per la salvaguardia dell’ambiente e delle energie rinnovabili, è sensibilizzare cittadini e consumatori sulla necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera ormai conosciuta da tutti come CO2 il gas ritenuto il principale responsabile dell’effetto serra e, quindi, dei cambiamenti climatici.
Entrando nel sito www.ecodieta.it, si apriranno le porte di un appartamento virtuale: nelle varie stanze della casa si potranno simulare diverse attività come lavarsi, cucinare, accendere o spegnere gli elettrodomestici. All’esterno della casa si potranno invece utilizzare anche i diversi mezzi di trasporto. Al primo ingresso il visitatore sarà invitato a calcolare il livello medio di produzione di CO2 di una sua giornatatipo. E scoprirà, con molta sorpresa, che anche i suoi più piccoli gesti quotidiani sono sufficienti a immettere nell’atmosfera centinaia di chili l’anno di anidride carbonica.
Grazie a un pratico "ecocalcolatore", messo a punto con la collaborazione di AzzeroCO2 una "esco" (Energy Service Company) specializzata nel neutralizzare le emissioni di gas serra grazie a progetti che utilizzano fonti rinnovabili, interventi di risparmio energetico e di forestazione in Italia e all’estero l’utente troverà tutta una serie di indicazioni per ridurre del 20% la sua produzione di CO2, lo stesso target già raggiunto da Enel.
Numerosi sono i suggerimenti utili. Una riduzione del termostato di appena un grado, da 21 a 20, può evitare fino a 300 kg di CO2 l’anno. Anche lavandosi i denti e radendosi si può contribuire alla salute del pianeta: chiudendo il rubinetto tra un’operazione e l’altra il risparmio può essere, rispettivamente, di quasi 50 e 25 kg di CO2 l’anno. Sostituire le tradizionali lampade a incandescenza con lampadine a basso consumo fa risparmiare sulla bolletta e collaborare alla lotta contro il riscaldamento globale.
E’ inoltre ecologico, oltre che comodo, chiedere di ricevere soltanto via email le bollette, riducendo gli effetti di produzione, stampa e consegne. Ogni bolletta, infatti, "pesa" circa 145 grammi di anidride carbonica.
(M.d.A.)

da "repubblica affari e finanza" del 24 novembre 2008

L’onda anomala del professor Jones così in classe si costruisce il nazismo

S’intitola L’Onda, ma non parla di studenti e rivolta. Racconta piuttosto il contrario, le conseguenze di una deliberata estrema obbedienza di un gruppo di ragazzi al loro professore. E’ una storia vera che ha ispirato un libro di successo e ora un film tedesco in concorso al Festival di Torino: Die Welle, L’Onda.

TORINO La trama è fedelissima al fatto reale, l´esperimento ideato dal professor Ron Jones nel liceo Cubberley di Palo Alto, California, nel 1967. Lo scopo era di capire come si diventa nazisti. «La domanda degli studenti è stata: come ha potuto il popolo tedesco tollerare, anzi aderire in massa al totalitarismo, accettare i campi di sterminio, obbedire ciecamente a Hitler?» scrive Jones nel suo diario.
La lezione di storia naturale si rivela inadeguata. Gli studenti prendono un´aria annoiata, del genere: «Ok, abbiamo capito, oggi da noi non potrebbe succedere». Il professore allora propone un esperimento. Per qualche giorno i ragazzi dovranno sottomettersi alla sua autorità, chiamarlo «signor professore» e seguire le lezioni con la testa dritta e il petto all´infuori. La risposta degli studenti è dapprima divertita, poi entusiasta. Sono loro stessi a proporre i sistemi per rendere compatto e disciplinato il gruppo. Si danno un nome, l´Onda con un logo e un saluto: una mano tesa all´altezza del cuore.
Quindi una divisa, jeans e camicia bianca, per diventare tutti uguali. Si alzano in piedi all´ingresso del signor professore, compiono esercizi ginnici, urlano slogan ad alta voce: «La forza è nella comunità». Il professor Jones è stupito del suo successo e anche affascinato. Confida alla moglie: «In un certo senso, ho scoperto un metodo di insegnamento che funziona. I ragazzi imparano in fretta e alla grande. E´ assurdo, ma prima non avevano neppure posti fissi in classe, e ora che non c´è più libertà stanno seduti ai loro posti, rispondo a tutte le domande e si aiutano a vicenda». Dopo i primi giorni, compaiono alcuni effetti collaterali. Gli studenti isolano e denunciano i compagni che esprimono dubbi. Gli alunni delle altre classi si dividono, alcuni chiedono di far parte dell´Onda, altri sono disgustati e reclamano la fine dell´esperimento.
Scoppiano le prime violenze. Un mattino Jones viene affiancato da un suo studente che si qualifica come guardia del corpo. Capisce che l´esperimento gli è completamente sfuggito di mano, ha creato un nucleo perfetto di nazisti, ma è troppo tardi. Si corre verso l´epilogo, dal gioco al massacro.
La storia vera racchiusa nel diario di Ron Jones, il bel libro di Morton Ruhe ("Die Welle") divenuto un classico della letteratura per ragazzi, e il notevole film di Dennis Gansel presentato a Torino, hanno in comune una doppia lettura. Una antropologica, il bisogno primordiale della scimmia umana di sottoporsi al comando di un capo. Un bisogno tanto più emergente nell´età della crisi, nell´adolescenza in cui non si sa chi si è e quindi si può diventare qualsiasi cosa. L´altra lettura è l´attualità. A metà dell´esperimento il professore il protagonista del film, ambientato nella Germania di oggi, scrive sulla lavagna, sotto dettatura degli studenti, l´elenco delle cause che possono portare a un regime. Nell´ordine: la globalizzazione, la crisi economica, la disoccupazione, l´aumento dell´ingiustizia sociale, la manipolazione dei mezzi di informazione, la delusione della politica democratica, il ritorno del nazionalismo e la xenofobia. Sono le sementi che negli anni Venti hanno fecondato il terreno del fascismo e del nazismo in Europa. Sono gli stessi problemi, qui e ora.
All´uscita in Germania, nella primavera scorsa, Die Welle ha scatenato un prevedibile fiume di polemiche. "Der Spiegel" l´ha definito uno dei film più importanti degli ultimi anni, perché racconta l´eterno fascino del totalitarismo. Un fascino reale e in definitiva anche semplice da capire, quasi naturale, per quanto negato da un eccesso di politicamente corretto. "Die Welt" ha opposto l´opinione che i meccanismi totalitari, così inesorabili sulla pellicola, troverebbero oggi enormi resistenze nella realtà. Una parte della stampa ha mosso un´obiezione etica: i giovani neonazisti dell´Onda, nel loro solidarismo, possono risultare al pubblico delle sale assai più simpatici e normali degli studenti anarcoidi degli altri corsi.
L´obiezione sarebbe giustificata, se non fosse che nella realtà funziona quasi sempre così. Fra molte brave persone del Nord, per rimanere dalle nostre parti, i protagonisti delle ronde padane risultano assai più vicini degli intellettualoidi difensori di Rom e immigrati. Ron Jones, la cui vita è stata sconvolta per sempre dal gioco dell´Onda, ha scritto: «L´esperimento ha funzionato perché molti di quei ragazzi erano smarriti, non avevano una famiglia, non avevano una comunità, non avevano un senso di appartenenza. E a un certo punto è arrivato qualcuno a dirgli: io posso darvi tutto questo».

di Curzio Maltese da la Repubblica del 24 novembre 2008

I ricchi dovrebbero essere tutti di sinistra

"I ricchi dovrebbero essere tutti di sinistra, per dormire meglio la notte sapendo che i poveri hanno abbastanza soldi per vivere bene e non progettare di infilzarli sui forconi" John Kennet Galbraith, da "diario" di repubblica dedicato al new deal, martedi 25 novembre 2008

sabato 15 novembre 2008

come disdire l'abbonamento rai

La televisione italiana è una delle migliori al mondo (figuriamoci le altre!...).
Ritengo che valga la pena pagare il canone solo per alcuni programmi che meritano a mio parere di essere sostenuti: Ulisse (Alberto Angela) Passepartout (Philippe Daverio) e quello sulla solidarietà che lo precede "Storie di Vita", report (Gabanelli) e pochi altri.
Chi volesse buttare via la tv e darsi ad una vita migliore, ecco cosa deve fare:

Disdetta dell'abbonamento


La disdetta dell’abbonamento, si realizza esclusivamente al verificarsi dei seguenti eventi:

# L’abbonato cede tutti gli apparecchi in suo possesso dando esatta comunicazione delle generalita’ e indirizzo del nuovo possessore.

# L’abbonato comunica di non essere piu’ in possesso di alcun apparecchio fornendone adeguata comunicazione (ad es. per furto o incendio).

La disdetta dell’abbonamento alla televisione denunciata entro il 31 dicembre dispensa dal pagamento del canone dal 1 gennaio dell’anno successivo.
La disdetta dell’abbonamento alla televisione denunciata entro il 30 giugno dispensa dal pagamento del canone dal primo luglio. Qualora l’abbonato abbia gia’ corrisposto l’intera annualita’ non e’ previsto per legge chiedere il rimborso.
Poiche’ il pagamento trimestrale costituisce una rata del canone semestrale non e’ possibile dare disdetta dell’abbonamento senza aver corrisposto almeno l’importo per il semestre.


# Nel caso che gli abbonati intendano rinunciare all’abbonamento senza cedere ad altri i loro apparecchi, devono presentare disdetta, entro il 31 dicembre, chiedendo il suggellamento degli apparecchi stessi.
(art. 10 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)
La disdetta con richiesta di suggellamento degli apparecchi, se presentata entro il 31 Dicembre, dispensa dal pagamento del canone dal primo gennaio dell’anno successivo.
Contemporaneamente all’invio della disdetta gli abbonati devono versare all’Agenzia delle Entrate - S.A.T. Sportello Abbonamenti TV - Ufficio Torino 1 - c.p. 22 – 10121 Torino Vaglia e Risparmi, indicando nella causale il numero dell’abbonamento, l’importo di € 5,16 per ogni apparecchio da suggellare. (art. 10 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)
Il suggellamento consiste nel rendere inutilizzabili, generalmente mediante chiusura in appositi involucri, tutti gli apparecchi posseduti dal titolare dell’abbonamento e dagli appartenenti al suo nucleo familiare presso qualsiasi luogo di loro residenza o dimora. (art. 10 e 12 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)


La disdetta deve essere inviata a mezzo raccomandata all’Agenzia delle Entrate S.A.T. - Sportello Abbonamenti TV - Ufficio Torino 1 - c.p. 22 – 10121 Torino. (art. 10 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)

In mancanza di regolare disdetta l’abbonamento si intende tacitamente rinnovato. R.D.L. 21/02/1938 n. 246

da www.abbonamenti.rai.it

giovedì 13 novembre 2008

prendete un libro....

PRENDETE UN LIBRO.

FATTO? NO, NON L’AVETE PRESO.

NON L'AVETE PRESO TUTTO: UN LIBRO E QUALCOSA CHE VI SFUGGE

E VI SUPERA DI CONTINUO, TANTO È ESTESO NELLO SPAZIO E NEL TEMPO.



Nello spazio perché i libri attraversano il mondo più ve­locemente di noi e dei nostri pensieri. Nel tempo per­ché la giostra degli anni ha per loro una antica e ben nota clemenza. È il caso dell'Haggadah di Sarajevo, un piccolo ma importantissimo volume della tradizione ebraica che narra l'esodo dall'Egitto e che nasconde nelle pieghe della sua rilegatura seicento anni di storia. Nasce in Spagna nel XIV secolo, ed è il frutto incande­scente di una ribellione al dettato biblico che impone agli ebrei di non raffigurare la divinità attraverso le im­magini.

Nel caso dell'Haggadah le immagini servono a facilitar­ne l'uso conviviale e familiare, il passaggio tra le gene­razioni. E a salvare il libro stesso, affidandogli un carico di sconvolgente bellezza in grado di commuovere i peg­giori inquisitori.

Che differenza c'è tra te persone di carne e quelle per­sone di carta che sono i libri? Prendete l'Haggadah: è un libro vivo e pulsante, un superstite delle peggiori tragedie. Fu salvato dall'odio nazista nel 1941 e poi, mez­zo secolo dopo, dalle bombe dei serbi su Sarajevo. In quella città martoriata, gli angeli custodi del libro sono due bibliotecari musulmani, e questo la dice lunga sul valore interculturale e invincibilmente umano di tutti i li­bri, di tutti i colori e lingue del mondo. I libri sono posti dove le persone si incontrano e si con­frontano, luoghi immateriali fatti di parole e scie di pa­role che attraversano il pianeta senza fermarsi. In ogni generazione può trovarsi qualcuno che ha il coraggio di opporsi alla propaganda e dire che ciò che ci unisce è più grande e importante di ciò che ci divide. Prendete un libro. Non ci riuscirete, non potete davvero prendere un libro: nessun abbraccio umano è tanto grande. Però potete provarci. Potete provarci sussurrando a voi stessi che è una cosa che vale la pena di fare, che è qualcosa che fa bene. Potete, anzi dovete provare a prendere un libro. Perché in fondo, tentandoci, potreste ritrovarvi in mano il mondo.

di Geraldine Brooks

scrittrice e giornalista australiana. Premio Pulitzer nel 2006, ha di recente pubblicato I custodi del libro (Neri Pozza)

25 OTTOBRE 2008