venerdì 30 maggio 2008

dedicare una via a Giorgio Almirante....?

Almirante e gli scheletri di Salò
da "la Repubblica" di giovedi 29 maggio 2008

In Maremma lo chiamavano il "manifesto della morte". Era il maggio del 1944, apparve una mattina di primavera sui muri dell´alta Toscana, tra le pendici dell´Amiata e la Val di Cecina, nei paesi sopra Grosseto già occupati dalle insegne di Hitler. Vi era riprodotto l´ultimatum rivolto il 18 aprile da Mussolini ai militari "sbandati" dopo l´8 settembre 1943 e ai ribelli saliti in montagna: consegnatevi ai tedeschi o ai fascisti entro trenta giorni, oppure vi aspetta la fucilazione. Morte era minacciata anche a chi avesse dato aiuto o riparo ai partigiani.

Fu il sigillo, quel decreto legge voluto dal duce di concerto con Rodolfo Graziani, per un´indiscriminata caccia all´uomo e per rastrellamenti feroci, in una terra insanguinata dalle stragi. Solo in Maremma, tra il 13 e il 14 giugno, furono ammazzati a Niccioleta ottantatré minatori. Ma il manifesto che quel tragico ultimatum sunteggiava non era firmato da un comando militare della Rsi o da un presidio delle SS. Era firmato da Giorgio Almirante, allora capo di gabinetto di Fernando Mezzasoma, ministro della Cultura Popolare che curava la Propaganda della Repubblica Sociale.

Una figura non di seconda fila - quella del trentenne Almirante - approdata al governo filonazista di Salò dopo una robusta esperienza giornalistica da caporedattore nel quotidiano Il Tevere e da segretario di redazione della Difesa della Razza, la rivista ufficiale dell´antisemitismo sulla quale scrisse articoli intonati al più convinto "razzismo biologico". È lo stesso Almirante al quale oggi il sindaco Gianni Alemanno vuole dedicare una strada di Roma.

Se la vicenda del manifesto è stata sfiorata appena dalle cronache di questi giorni, meno conosciuta è la storia del processo che proprio sul clamoroso episodio vide negli anni Settanta il leader della Fiamma inizialmente nelle vesti dell´accusatore-querelante, poi arretrato nel ruolo di "imputato morale". Una vicenda giudiziaria lunga sette anni, dall´andamento lento, che si concluse con assoluzione piena per l´Unità, il quotidiano querelato per aver pubblicato un documento giudicato da Almirante "vergognosamente falso" e "calunnioso".

Per il fondatore del partito neofascista italiano fu una sconfitta irrevocabile. La possiamo ricostruire oggi grazie alla documentata ricerca realizzata nel corso di anni da uno dei testimoni, Carlo Ricchini - giornalista di lunga esperienza, allora direttore responsabile del quotidiano comunista, inventore delle prime iniziative editoriali dell´Unità - per un libro che deve essere ancora pubblicato (Il manifesto della morte con la firma di Almirante). La sentenza avversa al leader missino era scontata fin dalle prime udienze, ma un complicato intreccio politico-giudiziario ne rallentò il cammino. Quel che nelle intenzioni dei promotori doveva essere il battesimo pubblico dell´Almirante in doppio petto, utilizzato in alleanze dirette e indirette con la Dc, da liturgia assolutoria si trasformò, grazie a un´imbarazzante documentazione, in spinoso teatro d´accusa. Da qui le pratiche dilatorie, le ritirate strategiche, le eccezioni procedurali mosse dagli avvocati di Almirante, che trascineranno il dibattimento per tutti gli anni Settanta, fino all´epilogo sancito soltanto nel 1978.

Il manifesto di Almirante venne alla luce nell´estate del 1971, scovato da alcuni storici dell´università pisana negli archivi di Massa Marittima. L´Unità lo pubblica il 27 giugno sotto il titolo Un servo dei nazisti. Come Almirante collaborava con gli occupanti tedeschi. D´intonazione analoga Il Manifesto, che lo propone con un severo commento di Luigi Pintor.
«Ci apparve subito evidente», racconta Ricchini, «che era stata scoperta una prova della partecipazione diretta di Almirante alla repressione antipartigiana, da lui tenuta nascosta, come se il posto occupato a Salò fosse stato un impiego come un altro e la sua divisa da brigatista nero un obbligo dovuto alle circostanze». Intanto il manifesto firmato Almirante, quasi sempre con la soprascritta "Fucilatore di partigiani", riempie i muri d´Italia.
Da Reggio Emilia a Catanzaro, da Terni a Trapani, da Modena ad Avellino, le associazioni partigiane si mobilitano per denunciare il segretario del Movimento Sociale. Almirante replica con una pioggia di querele, uscendone ovunque sconfitto. Ma non a Roma, dove il processo più importante, quello intentato contro i due quotidiani di sinistra, mostra un percorso alquanto accidentato.

Fin da principio Almirante nega tutto. Nega l´autenticità del manifesto, sostenendo che sia un falso stampato ad arte contro di lui. Nega di essere stato già allora capo di gabinetto di Mezzasoma (sposta in avanti la data). Nega che il ministero della Cultura popolare potesse dare esecuzione al bando di Mussolini. Nega che i ministri di Salò potessero prendere simili iniziative in territori controllati dalle forze armate germaniche. Anche la prosa illetterata del documento gli risulta estranea, "non ho mai firmato manifesti o comunicati di tal genere in quel periodo, né rientrava nelle mie attribuzioni firmare manifesti a nome del ministro". Insomma, s´è trattato "d´una vergognosa campagna di stampa", il titolo di fucilatore "un´ignobile infamia".

La prima udienza si svolge sul finire del 1971. Sono chiamati a difendersi dall´accusa di "falso e diffamazione" i giornalisti Carlo Ricchini e Luciana Castellina, allora direttore responsabile del Manifesto. In realtà non è difficile dimostrare l´autenticità del documento: la copia fotostatica è autenticata da un notaio che attesta la conformità con l´originale. «Le prove di oggi sarebbero già sufficienti», dichiara il pubblico ministero Vittorio Occorsio, autorevole magistrato già impegnato in quegli anni contro il terrorismo nero. Propone sia chiamato a deporre il sindaco di Massa Marittima invitandolo a esibire l´originale del manifesto. La nuova udienza è fissata per il 25 gennaio del 1972, la conclusione appare prossima.

All´appuntamento di gennaio si presenta anche l´onorevole Almirante: sorridente, impeccabile nel vestito fumo di Londra, cravatta blu con piccoli cerchietti bianchi. Al principio della deposizione chiama in causa il Parlamento e le istituzioni che, nonostante il suo passato, hanno legittimato l´elezione a deputato. «Faccio presente che sono deputato in Parlamento dal 18 aprile del 1948», esordisce con toni rassicuranti. «Allora, oltre le regole costituzionali, vi erano norme eccezionali che vietavano di entrare in Parlamento a coloro i quali avessero assunto cariche o ricoperto determinate responsabilità nella Rsi. Personalmente non ho mai subito alcun procedimento penale né fruito di amnistie. Se c´era qualcosa da dire, quella era l´epoca più adatta, per freschezza di ricordi, vivacità di polemiche, presenza di testimoni?». In altre parole, se non sono state fatte rispettare la Costituzione e le leggi, la colpa non è mia.

E il confino di polizia al quale Almirante fu condannato nel 1947? Un legale gli ricorda il grave provvedimento subìto per il collaborazionismo con i tedeschi e per le attività successive alla guerra. Ma il segretario missino ha ricordi confusi. Gli interessa soltanto rimarcare la totale estraneità al manifesto pubblicato sui giornali e al bando di morte pronunciato da Mussolini e Graziani. «Curare la diffusione del comunicato o meglio del bando Graziani rientrava nelle competenze del ministero dell´Interno o di quello delle forze armate», ribadisce con piglio determinato. Lui boia o assassino di partigiani? Ma non scherziamo.

A nulla sembrano valere le nuove prove documentali portate dal sindaco di Massa, un operaio di taglia robusta dal buffo nome di Rizzago Radi che sfila dalla cartellina l´originale del documento firmato da Almirante, insieme alla lettera della Prefettura che accompagna l´invio dei manifesti e la missiva del vicecommissario prefettizio che rassicura sull´affissione. Il manifesto, dunque, non è un falso. Il processo potrebbe rapidamente chiudersi, come incoraggia Occorsio. Ma l´assoluzione dei giornalisti implica la colpevolezza di Almirante. I suoi avvocati sono costretti a cambiare strategia. L´unico modo per ritardare la sentenza è accorpare il processo romano ai tanti processi in corso nella penisola in seguito alle querele di Almirante. Il tribunale, presieduto da Carlo Testi, sembra acconsentire alla proposta. L´udienza è aggiornata.

La prima sorpresa, nel prosieguo del dibattimento, è la sostituzione del pubblico ministero Occorsio con Niccolò Amato, futuro direttore degli istituti di pena. Il suo orientamento appare capovolto rispetto alle convinzioni del predecessore, facendo proprie le tesi difensive di Almirante. Il processo slitta, si arriva a un nuovo rinvio per l´aprile. Alberto Malagugini, difensore dell´Unità e futuro magistrato della Corte Costituzionale, non ha dubbi: «Pur di prendere tempo sono state poste le più strabilianti eccezioni procedurali. Non appena sono apparse chiare le responsabilità del querelante per l´infame comunicato del 1944, non appena il tribunale è stato posto in condizione di decidere e il pubblico ministero di udienza l´ha fatto intendere, la difesa ha cominciato la sua manovra di sganciamento».

Intanto in tutta Italia i processi intentati da Almirante si vanno chiudendo con l´assoluzione dei querelati. Per tutti gli altri collegi giudicanti Almirante è un fucilatore di partigiani, a Roma devono ancora certificarlo. Eppure i supporti documentali sono ovunque gli stessi.

Passano ancora due anni. Nel giugno del 1974, dopo accurate ricerche, viene prodotta in aula la "prova delle prove": un telegramma dell´8 maggio 1944, spedito dal ministero della Cultura Popolare all´indirizzo della prefettura di Lucca.
È stato trovato negli archivi di Stato, è firmato Giorgio Almirante, e corrisponde parola per parola al manifesto conservato a Massa Marittima. Un foglietto giallo, tipico dei messaggi telegrafici di quel periodo, con il decreto di morte pronunciato nell´aprile da Mussolini. Il capo di gabinetto ne sollecita l´affissione in tutti i comuni della provincia.
Il funzionario che nel maggio del 1944 ha mandato il telegramma nella tipografia Vieri di Grosseto per la stampa del manifesto s´è dimenticato di levare la firma di Almirante. Una distrazione che inchioda il leader del Movimento Sociale alle sue pesanti responsabilità. Dagli archivi affiorano anche altre carte compromettenti. Una circolare del 24 maggio 1944, firmata sempre dal capo di gabinetto di Mezzasoma, ordina ai capi delle province di divulgare non solo i manifesti che provengono dal ministero della Cultura Popolare ma anche dalle autorità tedesche.

Almirante è sbugiardato su tutti i fronti: è lui che cura la propaganda del bando Graziani, ed è sempre lui che segue sollecito l´affissione dei comunicati del Führer. La sua difesa annaspa. Vittorio Occorsio, tornato a ricoprire la pubblica accusa, chiede ironico: «Volete sostenere che è falso anche questo documento, che ci viene inviato da un ufficio statale e su richiesta del tribunale?». Il processo è sufficientemente istruito, non resta che chiuderlo. «Dopo la sentenza», annuncia severo il pubblico ministero, «chiederò che gli atti siano restituiti alla pubblica accusa per procedere per i reati di calunnia e falsa testimonianza nei confronti di Almirante. Calunnia per aver affermato che il manifesto era apocrifo, falsa testimonianza per tutte le menzogne dichiarate davanti ai giudici».

Bisogna aspettare ancora altri quattro anni per assistere alla "condanna morale" del fondatore del Movimento Sociale. Un primo pronunciamento assolutorio non soddisfa a pieno il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, mentre il Manifesto preferisce fermarsi al traguardo. Solo l´8 maggio del 1978, dopo un intervento della Cassazione, arriva una sentenza priva d´ombre, che assolve l´Unità «per avere dimostrato la verità dei fatti» e condanna Almirante alle spese processuali, anche al risarcimento dei danni. «Ma l´Unità non ha mai chiesto i danni», ricorda Ricchini in chiusura del suo prezioso memoriale.
L´unico che non poté leggere la sentenza fu il pubblico ministero che con passione civile e rigore più l´aveva sostenuta. Due anni prima Vittorio Occorsio era rimasto vittima di un agguato, per mano di terroristi neri.

giovedì 29 maggio 2008

L'esempio di New York nella lotta alla povertà

L'esempio di New York nella lotta alla povertà
Tommaso Melodia
Università di New York
VORREI segnalare una interessante iniziativa nei quartieri degradati di East New York, che con l'appoggio del sindaco Bloomberg sono diventati teatro di uno dei più interessanti programmi di lotta al degrado e alla povertà del mondo sviluppato. L'idea è molto semplice. Circa 500 famiglie ricevono sussidi monetari condizionati a comportamenti che potrebbero contribuire a farle uscire dal degrado e dalla povertà. Le famiglie ricevono sussidi se mandano i figli a scuola e se i figli prendono buoni voti. Igenitori ricevono sussidi se lavorano almeno 30 ore a settimana, seguono corsi di qualificazione professionale, o fanno visitare regolarmente i loro figli dal dottore. Sussidi per incentivare le famiglie ad investire nel proprio futuro benessere.
L'idea, nata da Santiago Levy, economista messicano laureato alla Boston Univer-sity, è stata applicata con grande successo in vari paesi in via di sviluppo, dal Messico alla Turchia. Senza sottovalutare tutte le difficoltà del caso, non potremmo pensare di usare simili incentivi per incoraggiare un'integrazione nelle nostre città? L'investimento da parte della società potrebbe essere ripagato rapidamente.

dalle "lettere al Direttore", Repubblica, 25 maggio 2008

mercoledì 28 maggio 2008

nucleare: articoli interessanti

Il sole 24 ore è un giornale molto più interessante di quanto si pensi....è il quotidiano della confindustria, retta dalla Marcegaglia, proprietaria di una industria acciaiera.
Chi si avvantaggerà del nucleare, a mio parere, saranno tre categorie:
a) gli acciaieri, che hanno bisogno di quella energia "di picco" che le altre fonti di energia non possono fornire.
b) gli ingegneri nucleari
c) chi si prende le tangenti per grandi opere PUBBLICHE. Attenzione al concetto di pubblico, perchè è molto importante...vedi articolo di Alberto Clò 25 maggio 2008.
Ciò predetto, invito a leggere con attenzione questi articoli apparsi sul sole24ore, che contengono varie cosettine interessanti, che potrebbero essere molto utili in caso di dibattito sull'argomento.
Per non essere frainteso: si sa qual è la fonte, ma proprio per questo, quanto riportato è MOLTO INTERESSANTE per contrastare il ritorno del nucleare.

il sole 24 ore. "tempo quasi scaduto per le vecchie centrali"

Richard Garwin – Francesco Rendina 23 maggio 2008

http://webmail.cnel.it/portale/rassegnastampaweb.nsf/0/C1256B96004BD704C125745200260634/$FILE/086-I6NRN.pdf

Intervento / Ritorno al nucleare in un'ottica di lungo periodo

di Alberto Clò 26 MAGGIO 2008

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2008/05/nucleare-ritorno-aottica-lungo%20periodo.shtml?uuid=18868bc0-2b06-11dd-975d-00000e251029

Corsa all'atomo, potrebbe mancare il combustibile

di Giorgio S. Frankel 26 maggio 2008

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tecnologia%20e%20Business/2008/05/corsa-atomo.shtml?uuid=e7332ece-2af7-11dd-975d-00000e251029#

La tentazione pericolosa dell'uranio arricchito

di Mario Vadacchino 26 maggio 2008

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tecnologia%20e%20Business/2008/05/uranio-arricchito.shtml?uuid=21fa65d2-2af7-11dd-975d-00000e251029&type=Libero

Ripartire da zero vuol dire superare i limiti di mercato

Di Alberto Clò 25 maggio 2008

http://www.portalecnel.it/portale%5CRassegnaStampaWeb.nsf/0/C1256B96004BD704C125745500270396/$FILE/132-I7ELM.pdf

(.....) nucleare per il nostro Paese non possa che realizzarsi in un'ottica di lungo periodo e non come concreta e ravvicinata possibilità di ridurre i costi medi dell'elettricità in modo significativo. Non illudiamoci. A parte il fatto che per ottenerlo bisognerebbe realizzare diverse centrali (almeno 5 da 1.000 MWe per ridurre grosso modo il costo di generazione del 5%, pari al 3% nei prezzi finali) concorrono a impedirlo ragioni di accettabilità sociale e altre, non meno rilevanti, di carattere economico tanto rilevanti quanto trascurate: la logica, le convenienze, i meccanismi di mercato che governano oggi i processi decisori degli agenti economici in campo energetico.

Ed è proprio il mercato, da tutti osannato quando le cose vanno bene e rinnegato in situazioni opposte, che spiega l'innegabile impasse in cui il nucleare si trova. Delle 35 centrali in costruzione nel mondo, appena 5 sono nei Paesi industrializzati. Negli Stati Uniti l'ultimo kWh ordinato (poi non realizzato) risale al 1978, mentre si sono costruite centrali a gas metano per 140mila MWe nei soli anni 90. Idem in Gran Bretagna, che rischia di incorrere in un pesante deficit elettrico se non si realizzeranno investimenti per sostituire entro il 2020 le decrepite centrali nucleari che hanno portato quasi al fallimento British Energy.

Tra il 1970 e il 1990 si sono costruite nel mondo 17 centrali nucleari ogni anno. Dal 1990 al 2005 appena 1,7, per lo più nei Paesi emergenti. Venute meno le condizioni che in passato incentivavano gli investitori (aiuti di Stato, assetti monopolistici, prezzi remunerativi), questi hanno volto il loro interesse là dove i rischi e le incertezze di mercato erano e sono minori; dove i rientri sono molto più rapidi; dove la redditività è superiore (il metano) o addirittura garantita (i lauti sussidi alle mitiche rinnovabili). Morale: le convenienze di mercato disincentivano oggi gli investimenti nel nucleare. Non a caso, l'unica centrale in costruzione in Europa, in Finlandia, è stata realizzata grazie a un modello societario che bypassa il mercato, con una partnership tra produttori e grandi consumatori e l'impegno di questi a ritirare la produzione nell'intera vita della centrale, a prezzi ancorati ai costi remunerati, consentendone la finanziabilità a tassi la metà di quelli altrove praticati.

Conclusione: in passato erano gli Stati che decidevano se ricorrere o meno al nucleare. Oggi è il mercato che orienta le decisioni di investitori e finanziatori. Accapigliarsi sui suoi costi assoluti o relativi ha poco senso perché quel che conta è la valutazione che ne fanno le imprese. Il ruolo degli Stati oggi è altro: garantire certezza dei processi autorizzativi; definire gli standard e i vincoli di sicurezza; concorrere all'individuazione dei siti delle centrali e alle modalità di smaltimento delle scorie; definire le politiche di regolazione dei mercati, specie quelle che interiorizzano le esternalità positive del nucleare, così rafforzandone la convenienza (tramite, ad esempio, carbon credits). La decisione ultima resterà, comunque, degli investitori privati."(...)...


martedì 27 maggio 2008

Biocarburante? Solo se economico

Studio dell'Università di Bologna sulla sostenibilità delle colture energetiche
Ideali quelle che non fanno consumare acqua e non alterano la produzione di alimenti

Biocarburante? Solo se economico
Sì al sorgo, no a colza e girasole

Dalla Germania la seconda generazione: bioetanolo dalla cellulosa degli scarti boschivi
L'esperto: "Giusto sapere cosa conviene all'ambiente, ma il caro-cibo ha altre cause"
di VALERIO GUALERZI


Etanolo da mais

ROMA - I buoni da una parte, i cattivi dall'altra, come si faceva una volta sulla lavagna di scuola. Su una colonna il sorgo da fibra e il sorgo zuccherino, le colture che possono essere trasformate in energia dando davvero una mano all'ambiente, perché al contrario di altre crescono in ambienti molto aridi e generano prodotti non utilizzabili dalla catena alimentare; sull'altra colonna la colza, le barbabietole e il girasole, che per crescere hanno bisogno di una quantità di acqua, concimi ed energia tali da rendere il gioco molto più costoso della candela. In mezzo, con risultati variabili ma il rischio di entrare in conflitto con la produzione di cibo, i cereali come il grano, l'orzo e il mais.

GUARDA LA FOTO CLASSIFICA

Sul banco degli imputati. A realizzare la classifica è uno studio dell'Università di Bologna ancora inedito che verrà presentato al Congresso della Società Europea di Agronomia in programma a settembre. La ricerca arriva in un momento quanto mai opportuno, con la corsa ai biocarburanti decisa dall'Unione Europea e dall'amministrazione Bush sotto processo con l'accusa di essere responsabile della fiammata nei prezzi dei generi alimentari.

La Piattaforma biofuels. A coordinare lo studio è stato il professor Gianpietro Venturi, docente di Agronomia generale e colture presso l'ateneo bolognese Alma Mater e presidente della Piattaforma italiana per i biocarburanti, una struttura creata su indicazione dell'Ue per organizzare le sinergie tra tutti i protagonisti della filiera: agricoltori, mondo scientifico, industria e istituzioni.

Gli orientamenti europei. "A leggere le cifre senza pregiudizi - spiega il professor Venturi - penso si possa affermare con serenità che la spinta per la diffusione di bioetanolo e biodiesel sono un fattore molto marginale nel recente boom dei prezzi alimentari. I motivi della fiammata sono altri, i maggiori consumi di Cina e India e una sequenza di fattori climatici negativi. Ciò non toglie che il pericolo di azzerare i vantaggi ambientali dei biocarburanti puntando su colture sbagliate esiste. Ne è consapevole la stessa Unione Europea, alla quale consegneremo le nostre conclusioni. Bruxelles sta discutendo infatti di fissare al 50% la quantità di anidride carbonica non immessa nell'atmosfera come soglia minima di emissioni risparmiate per dichiarare un biocarburante sostenibile. Allo stesso modo sta pensando di stabilire che il 50% del biocarburante utilizzato in Europa (l'ambizione della direttiva è arrivare al 10% dei consumi entro il 2020) debba essere di seconda generazione".

Obiettivo seconda generazione. Per "seconda generazione" si intende prevalentemente l'estrazione di bioetanolo dalla cellulosa degli scarti boschivi e di piante "povere", un procedimento ancora in via di perfezionamento, ma sul quale vengono riposte grandi aspettative. In Germania recentemente è stato aperto uno dei primissimi impianti di questo genere al mondo. Anzi, in un certo senso potrebbe essere definito persino di terza generazione, visto che nello stabilimento inaugurato dalla cancelliera Angela Merkel a Freiberg, l'azienda Choren ha trovato il modo di trasformare scarti di lavorazione agricola e residui boschivi non in bioetanolo, ma in biodiesel. Materiali che permettono al bilancio energetico di essere assolutamente in attivo (si parla di riduzione delle emissioni di CO2 del 90%) senza creare competizione tra colture energetiche e colture alimentari. L'obiettivo per il primo ano di attività è la produzione di 18 milioni di litri di combustibile.

Traguardi ambiziosi. In Italia ovviamente siamo ancora lontani dal possedere le conoscenze per mettere in piedi un'impresa simile. "Se alla data del 2020 anziché il 10% stabilito dall'Europa riusciremo a produrre il 3% del biocarburante di cui abbiamo bisogno lo considererei già un successo - spiega ancora il professor Venturi - Nel generale ritardo la ricerca è forse quella messa meno peggio".

I segreti delle alghe. All'Università politecnica delle Marche si sta cercando ad esempio di capire se una mano a risolvere la crisi ambientale possa arrivare dalle alghe. "Abbiamo monitorato sia le specie di acqua dolce che di mare per capire quali sono le più adatte all'estrazioni di oli da trasformare in biodiesel - racconta il professor Mario Giordano, docente di fisiologia vegetale - Il passo successivo è stata l'individuazione dei metodi di coltura in grado di esaltare l'oleogenesi degli organismi. Ora possediamo un ventaglio di possibili soluzioni, ma mancano i soldi per passare dalla sperimentazione in laboratorio a quella in un vero impianto pilota".

Non bisogna generalizzare. In attesa che arrivino i fondi e che anche da noi si possa iniziare a parlare concretamente della produzione di biocarburanti di seconda generazione, conviene attenersi alla lista dei buoni e dei cattivi stilata dalla ricerca coordinata da Venturi. Ma con un avvertenza essenziale. "L'importante - sottolinea il professore - è non generalizzare, anche perché i costi energetici e ambientali di ogni specie cambiano molto spostando le coltivazioni anche di poche decine di chilometri con il variare della qualità del terreno e del clima: far crescere il granturco a Forlì non è come crescerlo a Piacenza".

Una classifica ancora parziale. "I due sorghi che risultano 'vincitori' - aggiunge Lorenzo Barbanti, un altro dei firmatari della ricerca - per il momento possono essere usati prevalentemente per produrre energia termica e non biocarburanti, allo stesso modo bisogna tenere conto del valore dei residui delle lavorazioni e delle capacità di 'carbon sink' (ovvero di fissare l'anidride carbonica) delle coltivazioni, fattori che questo primo lavoro non ha preso in considerazione, ma che per il futuro rappresentano le soluzioni più interessanti grazie a piante pluriennali come la canna comune, il panico, il miscanto e il cardo".

(da La repubblica 27 maggio 2008)

rifiuti a Napoli

In un fast food a Napoli nei giorni d'emergenza
Susanne Meurer
susanne.meurer@doclab.it
(lettere al Direttore, Repubblica 20 maggio 2008)

QUALCHE giorno fa sono stata a Napoli per lavoro, e non mi sono fatta mancare la pizza a pranzo. Nel ristorante, l'acqua minerale veniva servita esclusivamente in bottigliette di plastica da mezzo litro, i bicchieri erano di plastica, le tovaglie di carta. Non voglio nemmeno immaginare la quantità di rifiuti che questo ristorante produce a fine giornata. Ma possibile che neanche in questo momento di emergenza si pensa all'acqua minerale in vetro, bicchieri in vetro etc?
Ricordo che in Germania qualche anno fa venne introdotta una sovrattassa sui rifiuti per i ristoranti fast-food che producevano quantità superiori di rifiuti.

lunedì 26 maggio 2008

ecoidea e libri consigliati

Molto carino questo progetto
http://www.provincia.fe.it/ecoidea/

con anche un bell'elenco di libri consigliati

http://www.provincia.fe.it/ecoidea/libro_settimana/default.asp

google sites

** GOOGLE SITES E' APERTO A TUTTI. UN NOVELLO GEOCITIES? **
Il servizio ideato per costruire facilmente siti web
collaborativi è ora disponibile per chiunque.
http://www.zeusnews.it/news.php?cod=7562

i video di "sosteniamoci"

interessante questo sito , con ampio archivio di video autoprodotti...
http://www.sosteniamoci.it/video.html

decrescita felice

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energia eolica e energia nucleare

Nel 2007 tutti e due i dati a favore del vento. E tra il 2008 e il 2012
la produzione effettiva sarà di due volte e mezza superiore
Nuovi impianti ed energia prodotta
L'eolico ha sorpassato il nucleare
Negli Stati Uniti, il 30 per cento della potenza installata viene dall'eolico
In attesa dei reattori di quarta generazione il contributo dell'atomo scenderà
di ANTONIO CIANCIULLO

Nuovi impianti ed energia prodotta
L'eolico ha sorpassato il nucleare

ROMA - Il 2007 è stato l'anno del sorpasso: a livello globale, dal punto di vista dei nuovi impianti, l'eolico ha battuto il nucleare. L'anno scorso sono stati installati 20 mila megawatt di eolico contro 1,9 mila megawatt di energia prodotta dall'atomo. E' un trend consolidato da anni e destinato, secondo le previsioni, a diventare ancora più netto nei prossimo quinquennio. Ma non basta. Per la prima volta l'eolico ha vinto la gara anche dal punto di vista dell'energia effettivamente prodotta. I due dati non coincidono perché le pale eoliche funzionano durante l'anno per un numero di ore inferiore a quello di impianto nucleare e dunque, a parità di potenza, producono meno elettricità.

GUARDA LA TABELLA

"La novità è che, anche tenendo conto di questo differenziale di uso, nel 2007 l'eolico ha prodotto più elettricità del nucleare", spiega Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club. "E gli impianti eolici che verranno costruiti nel periodo 2008 - 2012, quello che chiude la prima fase degli accordi del protocollo di Kyoto, produrranno una quantità di elettricità pari a due volte e mezza quella del nuovo nucleare. Se poi nel conto mettiamo anche il solare fotovoltaico e termico possiamo dire che, tra il 2008 e il 2012, il contributo di queste fonti rinnovabili alla diminuzione delle emissioni serra sarà almeno 4 volte superiore al contributo netto prodotto dalle centrali nucleari costruite nello stesso periodo".

La tendenza è consolidata anche dal risveglio del gigante americano. Il 30 per cento di tutta la potenza elettrica installata durante il 2007 negli Usa viene dal vento e il dipartimento federale dell'energia prevede che entro il 2030 l'eolico raggiunga negli States una quota pari al 20 per cento dell'elettricità creando un'industria che, con l'indotto, darà lavoro a mezzo milione di persone. E' un dato in linea con l'andamento di paesi europei come la Danimarca (21 per cento di elettricità dall'eolico), la Spagna (12 per cento), il Portogallo (9 per cento), la Germania (7 per cento).

Nonostante le scelte dell'amministrazione Bush, che ha incentivato con fondi pubblici la costruzione di impianti nucleari, negli Stati Uniti l'energia dall'atomo resta invece ferma, sia pure a un considerevole livello, da trent'anni: l'ultimo ordine per una nuova centrale risale al 1978. Nell'aprile scorso sono stati annunciati impegni per 38 nuovi reattori nucleari, ma è molto probabile che il numero scenda drasticamente, come già è avvenuto in passato, nel momento in cui si passa alla fase dei conti operativi: le incertezze legate ai costi dello smaltimento delle scorie, ai tempi di realizzazione e allo smantellamento delle centrali a fine vita hanno rallentato la corsa dell'atomo.

In attesa della quarta generazione di reattori nucleari, che però deve ancora superare scogli teorici non trascurabili e non sarà pronta prima del 2030, le stime ufficiali prevedono una diminuzione del peso del nucleare nel mondo. La Iea (International Energy Agency) calcola che nel 2030 la quota di elettricità proveniente dall'atomo si ridurrà dall'attuale 16 per cento (è il 6 per cento dal punto di vista dell'energia totale) al 9-12 per cento.

(da: La repubblica - 23 maggio 2008)

Libro di Franzinelli sulla strage di Brescia: presentazione in Loggia

Martedi 27 maggio alle 18, nel salone vanvitelliano di palazzo Loggia ci sarà la presentazione del libro sulla strage di Brescia "La sottile linea nera" di Mimmo Franzinelli, con la presenza di Giorgio Galli e Piero Craveri. L'evento era programmato da tempo, ma l'attuale amministrazione (in cui figurano personaggi citati nel libro) non sembra voglia dare rilievo all'evento. Franzinelli, parla di gelo istituzionale e dice che sta ricevendo minacce anonime e arroganti richieste di rettifiche.
Il sito di Franzinellihttp://www.mimmofranzinelli.it/tool/home.php

ici, federalismo fiscale, detassazione straordinari

Riporto da www.beppegrillo.it
(nota: non sempre sono d'accordo col blog di grillo; in questo caso si)

Riporto di seguito la trascrizione della diretta video di Marco Travaglio di oggi.

"Volete farvi quattro risate? Leggete Francesco Alberoni - sociologo del nulla, scalatore delle discese, esperto dell'ovvio - sul Corriere di oggi. Sulla prima pagina del Corriere, dove una volta scriveva Pasolini; oggi Alberoni. Dice Alberoni: "Sono convinto che l'Italia si riprenderà rapidamente. Prima di quanto tutti credano. E si riprenderà perché finalmente ha riacquistato il senso della realtà. Oggi tutti chiedono sicurezza, vogliono i termovalorizzatori, trovano giusto che il capo del Governo si incontri con il capo dell'opposizione, condannano i minorenni che stuprano o uccidono le adolescenti - (prima invece eravamo tutti solidali con gli stupratori) - e accettano che un ministro proponga che i funzionari che non lavorano possano venire licenziati. I giornali e la televisione cominciano a descrivere oggettivamente i fatti di cronaca nera, di corruzione e di povertà, senza ubriacarci con cento pareri politico-ideologici". - (È bastato che Berlusconi vincesse le elezioni, guardate quanti miracoli in due settimane) - "La gente può riflettere e giudicare con la sua testa, usare il suo buon senso. Naturalmente ci sono personaggi che non hanno ancora capito che la società è cambiata e si comportano come quei giapponesi che, a guerra finita, continuano a combattere. Ma spariranno." Parola di Francesco Alberoni. Insomma, il titolo è "Il Paese sta riconquistando il senso della realtà".
E vediamo subito qualche esempio di questo riconquistato senso della realtà. Per esempio l'abolizione dell'ICI. Che peraltro, per le case più modeste, era stata già abolita prima. Ma quelli che l'avevano abolita non ce lo avevano nemmeno raccontato, perché non sapevano comunicare. Bene, adesso l'hanno abolita anche per i ricchi e dicono di voler fare il federalismo fiscale. In realtà non c'è tassa più federale di una tassa comunale come l'ICI, che essendo basata sul patrimonio e non sul reddito, costringeva a pagare un po' di tasse anche quelli che sul reddito evadono completamente o parzialmente. E soprattutto era il polmone che finanziava i comuni. Cioè era la tassa più federale che si potesse immaginare. I federalisti l'hanno cancellata e adesso ci diranno che vivremo tutti in un mondo migliore perché risparmieremo tutti un sacco di soldi. In realtà non è vero niente, perché se sparisce l'ICI si aprono voragini nei bilanci dei comuni. Il governo ha già detto che rimborserà i comuni dei mancati introiti dell'ICI e che cosa farà? Aumenterà altre tasse per ripianare. Cioè, non pagheremo più una tassa che si chiama ICI, ma ne pagheremo un'altra che si chiamerà "rimborso dell'ICI". Al comune di Palermo, in questi giorni, hanno circa raddoppiato l'IRPEF e il comune di Palermo è una delle avanguardie di questo nuovo modo di fare il federalismo fiscale fregando la gente.
Detassazione degli straordinari. Altra grandissima conquista. E tutti ci credono. E tutti ne discutono. In realtà, come spiegava ieri Scalfari su Repubblica, ci sarà semplicemente uno spostamento nei salari dalla parte fissa alla parte variabile in modo da poter pagare e incassare, diciamo, nella quota che sarà detassata, e questo aumenterà l'elusione e l'evasione fiscale. In ogni caso la detassazione degli straordinari non riguarda gli statali, cioè per esempio le forze dell'ordine, che sono pagate pochissimo e che fanno un lavoro molto spesso difficile non avranno alcun beneficio. Inoltre non saranno coinvolte praticamente le donne, perché le donne di rado fanno straordinari. Non emergerà il nero, perché le aziende quelle in nero continueranno a pagare in nero senza i contributi e senza pagare le tasse. Ci sarà un effetto che bloccherà ancora di più le assunzioni e farà ancora di più ricorso al precariato e agli straordinari di quelli che sono già assunti...

mercoledì 14 maggio 2008

schifani e la mafia: è vero o no?

Il problema è se quanto esposto più sotto è vero, o che questo sia stato detto in televisione?
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Un passaggio del libro, citato da Marco Travaglio in tv, nel quale si parla di Schifani
Ecco uno stralcio da «I complici» Peter Gomez, de «L’espresso», e Lirio Abbate, cronista dell’Ansa, raccontano gli intrecci tra mafia e politica

Dal libro «I complici», Fazi Editore, 2007


«Enrico tu sai da dove vengo e che cosa ero con tuo padre… Io sono mafioso come tuo padre, perché con tuo padre me ne andavo a cercare i voti vicino a Villalba da Turiddu Malta che era il capomafia di Vallelunga… Ora (lui) non c’è (più), ma lo posso sempre dire io che tuo padre era mafioso…». Una frase del genere, anche loro che per lavoro erano abituati ad ascoltare ogni giorno ore e ore d’intercettazioni, non l’avevano mai sentita. Sembravano le parole di un film. Dentro c’era tutto: la minaccia - «io sono mafioso» - il ricatto - «lo posso sempre dire io che tuo padre era mafioso» - i riferimenti ai capi storici di Cosa Nostra - Turiddu Malta, capofamiglia liberato dal carcere nel ’43 dagli americani - e la politica. Sì, la politica. Quella con la P maiuscola, perché Enrico era il figlio del senatore fanfaniano Giuseppe La Loggia: era Enrico La Loggia, dal 1996 al 2001 capogruppo di Forza Italia al Senato e poi ministro degli Affari Regionali nel governo Berlusconi.

IL BOSS DI VILLABATE - Ma a pronunciare quelle parole non era stato un attore: a scandirle con voce forte e chiara era stato, appena un mese prima di finire in manette, l’avvocato Nino Mandalà. È il 4 maggio 1998. Quel giorno il boss di Villabate sale, verso le 11 del mattino, sulla Mercedes turbodiesel di un uomo d’onore grande e grosso, dalla folta barba scura. È l’auto di Simone Castello, l’imprenditore che, fin dagli anni Ottanta, per conto di Provenzano recapita i suoi pizzini in tutta la Sicilia. I carabinieri l’hanno imbottita di microspie perché sanno che parlare con Castello significa parlare direttamente con l’ultimo Padrino. Mandalà è su di giri. Le elezioni amministrative sono alle porte, nel direttivo provinciale di Forza Italia di cui fa parte c’è fermento, le riunioni per preparare la lista dei candidati si succedono alle riunioni. Gaspare Giudice lo ha consultato per trovare un uomo da presentare per la corsa al consiglio provinciale a Misilmeri, un paesino a pochi chilometri da Villabate.

SCHIFANI - Lui gli ha fornito un nome: all’ultimo momento però l’accordo è saltato, perché Renato Schifani, neoeletto senatore nel collegio di Corleone, «ha preteso, giustamente, che il candidato di Misilmeri alla provincia fosse suo, visto che Gaspare Giudice ne aveva già quattro», spiega Nino a Simone. (…) La sua prima piccola rivincita, Nino, se l’è comunque già presa. Il candidato proposto da Schifani si è presentato in paese ma è stato respinto in malo modo. Ridendo, Mandalà racconta di avergli detto a brutto muso: «Caro mio io non do indicazioni a nessuno, non mi carico nessuno, Misilmeri non è Villabate, è inutile che vieni da me. Di voti qui non ce n’è per nessuno…». La dura reazione del capomafia ha preoccupato i vertici di Forza Italia, tanto che Gaspare Giudice lo ha immediatamente chiamato: «Mi ha telefonato dicendo che stamattina a casa di Enrico La Loggia c’è stata una riunione. (C’erano) La Loggia, Schifani, Giovanni Mercadante (l’allora capogruppo di Forza Italia in Comune a Palermo, arrestato per mafia nel 2006) e Dore Misuraca, l’assessore regionale agli Enti Locali. (Giudice mi ha raccontato che) Schifani disse a La Loggia: «Senti Enrico, dovresti telefonare a Nino Mandalà, perché ha detto che a Villabate Gaspare Giudice non ci deve mettere più piede… e quindi c’è la possibilità di recuperare Mandalà, telefonagli…». Il mafioso è quasi divertito. Tanta confusione intorno al suo nome in fondo lo fa sentire importante. Alzare la voce con i politici è sempre un sistema che funziona. E, secondo lui, anche Renato Schifani ne sa qualcosa. Dice Mandalà: «Simone, hai presente che Schifani, attraverso questo (il candidato di Misilmeri)… aveva chiesto di avere un incontro con me, se potevo riceverlo. E io gli ho detto no, gli ho detto che ho da fare e che non ho tempo da perdere con lui. Quindi, quando ha capito che lui con me non poteva fare niente, si è rivolto al suo capo Enrico La Loggia che, secondo lui, mi dovrebbe telefonare. Ma vedrai che lui non mi telefonerà. Mi può telefonare che io, una volta, l’ho fatto piangere?».

LA CONSULENZA - Mandalà (…) torna con la mente al 1995, l’anno in cui suo figlio Nicola era stato arrestato per la prima volta. Accusa La Loggia di averlo lasciato solo, di averlo «completamente abbandonato», forse nel timore che qualcuno scoprisse un segreto a quel punto divenuto inconfessabile: lui e Nino Mandalà non solo si conoscevano fin da bambini, ma per anni erano anche stati soci, avevano lavorato fianco a fianco in un’agenzia di brokeraggio assicurativo (…). Il portaordini di Provenzano cerca d’interromperlo, sembra voler tentare di calmarlo: «Va bene, magari è il presidente (dei senatori di Forza Italia e non si può esporre)…». «D’accordo, però, dico, in una situazione come questa… Dio mio mandami un messaggio. (Poteva farlo attraverso) ’sto cornuto di Schifani che (allora) non era (ancora senatore), (ma faceva) l’esperto (il consulente in materie urbanistiche) qua al Comune di Villabate a 54 milioni (di lire) l’anno. Me lo aveva mandato (proprio) il signor La Loggia».

LA LOGGIA - «Poi, un giorno, dopo la scarcerazione di Nicola, (io e La Loggia) ci siamo incontrati a un congresso di Forza Italia. Lui mi dice: “Nino, io sai per questo incidente di tuo figlio…”. Gli ho detto: “Senti una cosa, tu mi devi fare la cortesia, pezzo di merda che sei, di non permetterti più di rivolgermi la parola”. Lui si è messo a piangere, si è messo a piangere, ma non si è messo a piangere perché era mortificato, si è messo a piangere per la paura. Siccome gli ho detto “ora lo racconto che tuo padre veniva a raccogliere con me daTuriddu Malta”, e l’ho fatto proprio per farlo spaventare, per impaurirlo, per fargli male, ’sto cretino, minchia, ha pensato che io andassi veramente a fare una cosa del genere. Vedi quanto è cornuto e senza onore…».

Peter Gomez
Lirio Abate
pubblicato su "la REPUBBLICA" il 14 maggio 2008

La distruzione delle mangrovie fra le cause del disastro birmano

Lo ha ammesso anche la giunta militare
"Il mare non ha trovato alcuna barriera naturale" "La distruzione delle mangrovie
fra le cause del disastro birmano"
di GIORGIO CAPPOZZO


Non solo gli ostacoli burocratici agli aiuti umanitari e la lentezza del regime militare birmano. Ad aggravare il drammatico bilancio del ciclone Nargis, ha contribuito il disboscamento delle foreste di mangrovia, barriera naturale contro la furia del mare.

Per stessa ammissione del governo, il maggior numero di vittime del ciclone va imputato, più che al forte vento (180 chilometri orari), alle gigantesche onde che si sono abbattute sul delta del fiume Irrawaddy, senza che vi fosse nulla a impedirlo.

A cominciare dalle mangrovie. La distruzione delle foreste costiere di questo albero robusto e sempreverde risale a 150 anni fa, in piena epoca coloniale, quando si decise di destinare l'intera area alla coltivazione del riso e all'allevamento di pesci e gamberi. Situazione aggravata, negli ultimi decenni, dal sorgere spregiudicato di villaggi e impianti di estrazione petrolifera.

Surin Pitsuwan, segretario generale dell'Asean (l'associazione delle nazioni del sud est asiatico), riunita a Singapore, ha indicato nell'intervento umano una delle principali cause del disastro birmano. "La presenza delle mangrovie nei delta dei fiumi è strategica - ha sottolineato Pitsuwan - oltre a proteggere dalle onde, evita che l'acqua salata inondi i terreni fertili dell'entroterra. Distruggendo le barriere naturali, abbiamo permesso alla natura di appropriarsi di tante vite umane". Dalle 62mila alle 100mila, stando agli ultimi dati delle Nazioni Unite.

A dimostrazione dell'utilità delle foreste di mangrovia sulle coste asiatiche, la testata inglese Indipendent ricorda il caso di un villaggio dello Sri Lanka colpito dallo tsunami del dicembre 2004; lì, grazie alle barriere naturali, morirono solo due persone, a fronte delle oltre 6mila di un villaggio vicino, non protetto.

Anche per questo, molti governi di paesi che affacciano sull'Oceano indiano sono corsi ai ripari, stanziando fondi per il reimpianto di foreste e di altre difese naturali. Delegando alla mangrovia, e alla sua solida radice, il naturale compito di scongiurare future ecatombe.

(la repubblica, 13 maggio 2008)

giovedì 8 maggio 2008

Osram crea la prima lampada Oled, Early Future

La lampada OLED

Nasce la prima lampada da tavolo basata su Led organici: bassissimo consumo e lunga durata sono le caratteristiche principali.

[ZEUS News - www.zeusnews.it - 01-05-2008]
Osram crea la prima lampada Oled, Early Future

Early Future Lamp (la Lampada del Prossimo Futuro) è il primo esemplare di lampada basata sulla tecnologia Oled, cioè diodi organici a emissione di luce. La particolarità degli Oled è la capacità di emettere luce propria: pertanto non necessitano di una fonte di luce esterna.

Sfruttando queste caratteristiche, Osram ha prodotto una lampada che sembra un alberello, ha una lunga durata ed è estremamente efficiente dal punto di vista energetico, consumando meno delle attuali lampadine a risparmio energetico.

"Hanno un aspetto completamente diverso dalla sorgenti luminose tradizionali. Non hanno bisogni di riflettori che rivolgano la luce nella direzione giusta né di ingombranti alloggiamenti ha detto Ingo Maurer, l'ideatore di Early Future.

Per la Osram, questa lampada è solo l'inizio: si prevede un'era in cui la tecnologia Oled diventerà la principale sorgente luminosa delle case. "In futuro sarà possibile usare gli Oled come sorgenti di luce trasparenti o flessibili. Oled trasparenti su una finestra in un tetto permetterebero alla luce naturale di entrare durante il giorno e fornirebbero un'incantevole illuminazione della stanza di notte".

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I dati sui redditi erano già accessibili, offline

Anche se fosse confermato il divieto di pubblicare i redditi on line, conoscere tali dati era e rimane semplice.

da: [ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-04-2008]

Ipotizziamo che, per effetto di una decisione definitiva del Garante o di una modifica legislativa, sia proibita la pubblicazione, on line o offline, delle dichiarazioni dei redditi. Siamo certi che non sia possibile arrivare ugualmente, attraverso un'aggregazione di dati già pubblici, a ricostruire il reddito verosimile di moltissimi italiani?

Innanzitutto, già oggi, tutti quelli che chiedono un prestito a una banca o a una finanziaria, sanno già che verrà verificato - attraverso banche dati per l'accertamento dei rischi - quali conti correnti hanno e quanto vi hanno in deposito, eventuali prestiti già in corso e rate che si pagano, redditi di impresa e da lavoro dipendente, se ci sono, proprietà immobiliari.

C'è chi sostiene che la mafia potrebbe approfittare di questi dati. Ma se è vero che la mafia controlla imprese e perfino banche o finanziarie, allora avere questi dati su chiunque in modo anche che non risulti non è un problema. I dati del reddito di un'impresa, quelli del catasto delle case e del registro pubblico automobilistico come del registro navale e areonautico sono accessibili a tutti e per tutti, per legge, già oggi.

Chi poi non può sfuggire assolutamente sono i lavoratori dipendenti: nel caso lavorino per lo Stato o per aziende private, il loro reddito principale è determinato da contratti di lavoro nazionali e aziendali pubblici, depositati presso il Cnel e visibili on line.

Di ogni lavoratore, conoscendo più o meno l'anzianità di servizio aziendale, è possibile sapere quanto guadagna; anche dei premi individuali si può ricavare una media per settore, da cui il singolo lavoratore non si discosta molto, a cui si aggiungono o detraggono i carichi familiari, anch'essi determinati per legge.

Per i top manager è possibile ricavare i dati sul reddito da bilanci certificati delle stesse imprese. Per il lavoratore autonomo, professionista, artigiano, commerciante che sia è, invece, molto più complesso calcolare volume d'affari, tariffe praticate, numero di clienti: esistono gli studi di settore ma non è la stessa cosa di una busta paga.

Il problema non è quindi tanto di privacy e di tutela della stessa da malintenzionati ma politico. Si entra così nella dialettica politica tra chi ritiene che nel nostro Paese vi sia eccessiva evasione fiscale e che questa si annidi soprattutto nel lavoro autonomo e chi, invece, sostiene che la pressione fiscale sia eccessiva soprattutto per il lavoro autonomo e che l'amministrazione fiscale si serva di mezzi troppo invasivi e inquisitivi fino a prefiguare una sorta di Grande Fratello fiscale.

perchè il metro di Parma costa la metà di quello di Brescia?

Appaltato il metro di Parma per 306 milioni di euro

visto che è simile a quello di Brescia come lunghezza e quello di Brescia costa almeno 750 milioni....

per saperne di più:

http://www.stopmetro.org

mercoledì 7 maggio 2008

Verona: quale pena per chi aggredisce, uccide o rende invalido?

Uno stralcio dall'articolo di Enrico Benerandi, pubblicato da "La Repubblica" di lunedi 5 maggio:
"Un fascista, un nazista? Sicuramente un invasato e un prepotente. Ma al responsabile della Digos veronese, Luciano Iaccarino, Raffaele si è presentato sfatto e in lacrime, come se gli fosse cascato il mondo addosso. "Perché ha capito quello che rischia", commenta il magistrato. Se Nicola Tommasoli, la sua vittima, sopravviverà, gli anni di carcere potrebbero essere solo 3 o 4 (per il reato di lesioni gravissime). Ma se, come è purtroppo probabile, il disegnatore meccanico di Negrar dovesse morire, l´imputazione diventerebbe omicidio preterintenzionale, e la pena salirebbe anche a 14 anni. "Una sanzione rigorosa sarebbe auspicabile", commenta il procuratore aggiunto di Verona, Mario Giulio Schinaia."

In pratica, "se la vittima sopravviverà", non importa come, se rimane paralizzato o altro, il suo aggressore se la cava con tre o 4 anni? Magari con qualche sconto...? E' un po' lo stesso discorso delle vittime di guerra, di attentati o incidenti: si contano i morti, ma tutti si dimenticano dei feriti, dei sopravvissuti, come se fosse una fortuna, per loro e per i loro carnefici, che siano sopravvissuti...

lunedì 5 maggio 2008

Caccia agli evasori, la «via italiana» alla trasparenza

Oltre il «voyeurismo fiscale»
Caccia agli evasori, la «via italiana» alla trasparenza

Mai una volta che scegliamo la strada normale. La via italiana verso la convivenza civile è piena di buche, salti, scossoni, scontri, frenate e ripartenze. La nostra è una democrazia- rally, e la vicenda dei «redditi in Rete» ne è la prova. Non l'unica, né l'ultima. La più recente.

La retromarcia dell'Agenzia delle entrate, bacchettata dal Garante della privacy e indagata dalla procura di Roma, è tardiva: gli elenchi sono stati scaricati e adesso girano allegramente sulla Rete attraverso siti di condivisione, detti «p2p» («peer to peer», «da pari a pari»). È facile immaginare sviluppi della faccenda: aspettiamoci elenchi, per città o per professioni. Chi vorrà, saprà.

È solo «voyeurismo fiscale», o c'è dell'altro? La diffusione di quei dati è certamente irrituale, un altro modo per dire: discutibile. E, infatti, stiamo discutendo. Non perché «così si aiuta la criminalità organizzata », un argomento debole, che curiosamente accomuna Beppe Grillo, comico benestante, e Roberto Speciale, ex comandante della Guardia di finanza, ora parlamentare Pdl. I criminali, in certe parti d'Italia, guardano ai patrimoni reali, non ai redditi dichiarati.

Il motivo di perplessità è un altro. Molti cittadini considerano il reddito un «dato riservato», come un'informazione sanitaria o sessuale. Da anni i redditi vengono pubblicati dai giornali di provincia, nel silenzio del Garante e per la goduria dei provinciali. Ma questo non conta, apparentemente. Ora c'è Internet, che rende facile la consultazione. Quindi, stop! Fra trasparenza e riservatezza, tanti italiani scelgono la riservatezza. Molti di loro vanno capiti: perché un modesto 730 dev'essere di dominio pubblico? Anche gli uffici del personale sono irritati: il gioco del «divide et impera», basato sul segreto retributivo, diventa complicato. Ma più di tutti sono scocciati quelli che portano a casa 300 e dichiarano 40. Sono loro l'oggetto della curiosità e dell'indignazione: le migliaia di professionisti che dichiarano poco più della segretaria, non qualche dozzina di calciatori. È la stramba via italiana alla normalità, che passa attraverso le eccezioni. Per ripulire il calcio e la Banca d'Italia, s'è resa necessaria l'indiscutibile barbarie delle intercettazioni. Per arrivare alla decenza fiscale, dobbiamo passare attraverso l'indecenza dei dati in Rete?

Altra via non si vede. Non sono i controlli e le punizioni che spingono uno scandinavo, uno scozzese o un californiano a pagare le tasse. È la pressione sociale. La vergogna d'essere considerato — dai parenti, dai consoci al Lions Club, dagli amici del figlio — un evasore. Uno che costringe un altro a pagare di più. Uno che fornisce al fisco la giustificazione per alzare le aliquote, complicare le norme, aumentare i controlli. Uno che ti sorride, ma ti frega.

Chi s'arrabbia per la pubblicazione dei redditi va capito. Ma prima di regalargli la vostra solidarietà, chiedetegli — privatamente, s'intende — quanto dichiara, quante case ha in giro e che auto tiene in garage. La privacy è importante, ma è altrettanto importante rompere un'imbarazzante tradizione: l'Italia è l'unica, tra le grandi democrazie, dove l'evasione è epidemica. Forse per questo negli Usa e in Gran Bretagna nessuno s'è mai sognato di mettere i redditi in Rete. Forse per questo ogni sondaggio (compreso quello di Corriere.it) dice la stessa cosa: la maggioranza, probabilmente a malincuore, è a favore della pubblicazione dei redditi. Tutti guardoni? Non credo.

Beppe Severgnini
www.corriere.it/italians
04 maggio 2008