giovedì 31 luglio 2008

solarspot lucernario tubolare

Qualcuno ha provato ad installare il lucernario tubolare che illumina direttamente dal sole, e ha fatto i conti dei costi?

greg


http://www.solarspot.eu/

distributori automatici: porta il bicchiere e meno paghi

Sarebbe molto interessante proporlo ai gestori italiani di macchinette automatiche e alle varie aziende, come ritorno di immagine. Se le aziende pagassero la spazzatura a peso, lo farebbero subito....
Ricordarsi che oltre al bicchiere bisogna munirsi di cucchiaino, che spesso si dimostra anch'esso un rifiuto inutile: ad esempio, se si prende il tè non si ha bisogno di mescolarlo, ma il cucchiaino viene ugualmente erogato e subito buttato sporcandosi le mani. Tutti questi discorsi ovviamente debbono essere moltiplicati per milioni di pezzi....
greg
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L'esperimento attivato nel municipio della città di Tokorozawa
Consente di risparmiare una cifra pari a 6 centesimi di euro
Giappone, ecco l'eco-distributore
Ti porti il bicchiere? Paghi meno

Giappone, ecco l'eco-distributore Ti porti il bicchiere? Paghi meno
TOKYO - Portati il bicchiere da casa e pagherai meno la bibita del distributore automatico. L'idea viene dal Giappone, per la precisione dalla città di Tokorozawa, a nord di Tokyo, che ha inserito la macchinetta ecologica all'interno del suo municipio. L'obiettivo è ridurre la grande quantità di rifiuti causata dalle centinaia di migliaia di bicchierini di carta e plastica usa e getta.

L'iniziativa, attivata per il momento in via sperimentale, consente ai clienti "virtuosi" di risparmiare 10 yen (6 centesimi di euro). I consumatori dopo aver inserito nel distributore la cifra necessaria per acquistare la bevanda, 80 yen (47 centesimi), una volta appoggiato il bicchiere, devono premere un pulsante con il quale nfanno sapere alla macchina di non aver bisogno del bicchierino di plastica che dopo pochi secondi eroga il rimborso dei 10 yen.

Secondo i produttori dell'eco-distributore il progetto sta ottenendo un notevole successo tra i dipendenti del municipio e il suo utilizzo potrebbe in breve tempo essere esteso in altre zone della città. In Giappone i distributori automatici sono circa sei milioni e da tempo il Paese sta sperimentando soluzioni per limitarne l'impatto sia dal punto di vista energetico che da quello dei rifiuti.

(25 luglio 2008)

miracoli nucleari?

GREENPEACE: NEL RAPPORTO ENEA BUONE NOTIZIE SULL’EFFICIENZA MA INQUINATE
DAI “MIRACOLI NUCLEARI”

Roma, 31 luglio 2008 – “Se le notizie sul potenziale di efficienza sono
buone e confermano nella sostanza le valutazioni presentate da
Greenpeace, ci sono almeno cinque osservazioni da fare sui 'miracoli
nucleari' presenti nel rapporto diffuso oggi da ENEA” commenta Giuseppe
Onufrio direttore delle Campagne di Greenpeace Italia.

Prima osservazione: solo lo scorso aprile ENEA ha presentato scenari
energetici nei quali il nucleare non compariva; oltre alla volontà del
governo è successo qualcosa? Il nucleare è diventato improvvisamente
competitivo? Eppure a leggere bene le stime ENEA non si direbbe.

Seconda osservazione: i costi di investimento attribuiti al nucleare da
ENEA appaiono più ragionevoli, di quanto propagandato da ENEL, 33 mld di
euro per 8.000 MW includendo i costi di smantellamento, che vanno
caricati sugli investitori. Si tratta di un costo totale dell’ordine dei
4 mld di euro per 1.000 MW (anche se stime recenti sono oltre i 5),
contro l’1,7-2 propagandato da ENEL.

Terza osservazione: con un investimento che non supera i 2 miliardi per
1.000 MW ENEL sostiene che il nucleare produce elettricità competitiva
rispetto al costo tendenziale del gas: 5 centesimi contro 8 (intervista
a Fulvio Conti, Quotidiano Energia 26 giugno scorso).. Ma se si assume
un costo doppio delle centrali questo non è più così vero,il costo del
kWh nucleare sale almeno a 8-8,5.

Quarta osservazione: va notato come l’orizzonte di esauribilità della
risorsa Uranio sia stato “artificialmente allungato” da 70 anni a 86: un
altro miracolo. Il dato delle riserve provate citato da ENEA è di 4,6
milioni di tonnellate e un consumo attuale di 65 mila tonnellate. Ora
dividendo le due cifre verrebbe un tempo di esauribilità di poco più di
70 anni. In questo caso, se non è un errore, il miracolo è semplice,
ENEA cita le maggiori efficienze di uso dovute ai nuovi reattori. Ma
questo andrebbe fatto per tutte le fonti e in tutti i rapporti
energetici la cifra che viene data è il risultato tra riserve provate e
consumo attuale annuale (e non futuro).

Quinta osservazione: le note sulle grandi prospettive dei reattori
autofertilizzanti al plutonio sono fuori luogo, in un Paese che ha già
sopportato economicamente un terzo del più grande fallimento industriale
della storia, noto come Superphénix (reattore franco-italo-tedesco al
plutonio) chiuso nel 1999 dopo 54 mesi di funzionamento costellato da
incidenti, che con lo smantellamento sarà costato più di 10 miliardi di
euro attuali.

Per informazioni e interviste:
Ufficio stampa Greenpeace, 06 68136061 int. 203/222
Giuseppe Onufrio, direttore delle Campagne, 3406404056
Maria Carla Giugliano, assistente comunicazione, 3483988615

mercoledì 30 luglio 2008

acqua comune a Fidenza

Guardatevi il video carino e divertente su :


Dal blog di Boschini : http://www.marcoboschini.it/

E’ stata inaugurata venerdì scorso “Acqua Comune”, il punto di distribuzione di acqua potabile prelevata dall’acquedotto pubblico e trattata per essere normalmente consumata per l’alimentazione.

L’impianto distribuirà gratuitamente acqua naturale e gassata, entrambe raffrescate; ogni cittadino potrà, così, andare con le proprie bottiglie vuote a riempire liberamente e gratuitamente, contribuendo a ridurre la produzione di rifiuti di bottiglie di plastica.

Il progetto, finanziato dal Comune di Fidenza, assessorato all’Ambiente, e da San Donnino Multiservizi, in collaborazione con la parrocchia di San Giuseppe, si pone più obiettivi: è innanzi tutto uno strumento in più per combattere la produzione di rifiuti, permette di conoscere meglio ciò che beviamo e, infine, consente la riscoperta della funzione sociale della fontana pubblica.

“Acqua Comune” si trova nel Parco della Pace, in via Togliatti, in prossimità del parcheggio e della nuova pista ciclabile.

le ecomamme

INCHIESTA Riciclano. Educano al verde. Consumano solidale. Negli Usa cominciano a diventare quasi un movimento. Anche questa è politica? di Mara Accettura


Non c'è una parte della biosfera che non sìa minacciata ed è nostro dovere intervenire per lasciare un'eredità di salute e prosperità ambientale, economica e sociale. Altrimenti non ci saranno laghi per nuotare, neve per sciare, cascate per giocare, e acqua fresca da bere». Un messaggio dì Al Gore? No, è il blog di una mamma, anzi un'ecomamma single: Kimberly Danek Pinkson, 38 anni, ex danzatrice e webmaster del sito www. ecomomallìance. org «Una notte d'inverno allattavo mio figlio Corbìn. Fuori c'era una tempesta dì neve, avevo freddo e mi sentivo sola. Mentre piangevo di solitudine e stanchezza una serie dì immagini mi passava per la testa: una mamma in Africa nella sua capanna, una in un appartamento di Parigi e una in una giungla brasiliana. Con la maternità avevo scoperto una nuova e potente sorellanza». Oggi il suo sito raccoglie un'alleanza dì 9000 membri ma il suo
tam tam rimbalza dagli Usa all'Europa. Ecco www.greenandcleanmom.orge www.eco-chick.com, mentre in Francia c'è www.maman-bio.com e www.econo-ecolo.org, nel Regno Unito il Women En-vironmental Network (www.wen.org.uk) e in Italia blog come extramamma.blog-spot.com o forum, come quelli ospitati da www.promiseland.it - II punto di riferimento del vìvere etico-vegan. Ovunque le donne, le gorettes, come le chiamano in America, soprattutto quelle con bambini piccoli, sì interrogano con passione sul mondo che verrà. «Eco mamma è un termine che mi piace», scrive Eco Mamma su www.noimamme.it, «un termine usato da una madre che guarda al futuro e spera di lasciare un mondo pulito o, almeno, un mondo meno 20220, ai propri figli. Lo so, detta così sembra una pubblicità e neanche troppo bella, ma non lo è affatto, è solo coscienza umana o meglio coscienza di mamma». Cioè personale, emotiva. «Abbiamo tutti delle responsabilità nei confronti dell'ambiente», ìnterviene la trentenne del Connecticut Som-mer Poquette {www.greenandclean-mom.org), «ma le madri sono più sensìbili: pensiamo ai figli e a tutta la roba chimica che ingurgitano e che li fa ammalare, non è triste? Ma questa tristezza ci fa diventare più motivate, più determinate».
Con l'arma dei consigli
Le ecoguernere combattono a colpì di consigli. In Italia, su promiseland.it, rifiutano i pannolini di plastica e cuciono (ma dove lo trovano il tempo?) mutandine di pile (vedi mammafeli-ce), scambiano ricette vegan (France-sca G.), si interrogano sull'antizanzare per bambini (piperita 76). Sono vegetariane e contro i fast food (extramamma. blogspot.com) contro le vaccinazioni, la tv scriteriata e gli omogeneizzati (sole75). Per certi versi le loro abitudini frugali sono più simili a quelle dei nonni che hanno fatto la guerra che a quelle consumistiche dei genitori. Negli Usa sono sicuramente più visibili, più patinate (vedi Kìmberly Da-nek Pinkson) e più movimentiste: Eco Mom Allian-ce, per esempio, è diventato un punto di riferimento per l'ambientali-smo, un'organizzazione ombrello che aiuta a organizzare in tutti gli Stati Uniti eco partìes (cibo e bevande rigorosamente bìo), conferenze sul cambiamento climatico, eventi per raccogliere fondi. Alcune, come Sommer Poquette, dì greanandclean.mom.orgdiventano ecoimprenditrìci: sul suo sito si possono comprare tutti i prodotti Shaklee, marca impegnata sul fronte ambientalista.
Le pulci del Connecticut
«È importante procedere a pìccoli passi per non spaventarsi», dice Kimberly Jordan Allen, di eco-chick.com. «Per esempio, si può cominciare a guidare di meno o a cambiare le lem-padìne di casa o a comprare latte biologico. Nella mìa esperienza una cosa
si collega all'altra: chi compra latte biologico non vorrà le fragole col pesticida e nemmeno detersivi tossici. L'importante è fare il primo passo». È d'accordo anche Patrizia Violi, giornalista di Insieme e ideatrìce del sito eco www.milanoperbambini.it. «La gradualità è essenziale, ho visto troppe amiche prendere la tangente verde di petto e mollarla perché sì stanca. È un po' come voler perdere 7 chili in 7 giorni». La parola d'ordine? Ricordate le 3R: Ricicla, Riusa. Riduci. «Se puoi riusare o riciclare, fallo!», dice Poquette. «Se non hai bisogno di comprare lascia perdere!». Ogni mamma aggiunge così la sua sfumatura green ai consumi. Ma il fenomeno non sì ferma qui. C'è anche un altro aspetto: sensibilizzare i bambini. «Stiamo lasciando loro un fardello molto pesante per tutti i danni che abbiamo fatto», riflette Jordan Allen. «Avranno molte sfide da affrontare ma se indichiamo loro la strada probabilmente non faranno i nostri stessi errori». Vìa tv, Playstation, giocattoli dì plastica, pesticidi, sì a cibi e abiti bio. «I mìei ragazzi vìvono il più possibile all'aria aperta. In casa compriamo solo cibo locale e buttiamo il meno possìbile. Facciamo insieme la raccolta differenziata e anche il compost con i rifiuti organici. E vado con i bambini alla discarica locale per mostrare dove va la spazzatura e cosa si può recuperare: dalle posate, ai libri, ai mobili». Dimenticate la Campania, la discarica nel Connecticut dì Jordan sembra più simile al mercatino delle pulci. Mai nessun cedimento? «Quando ho fatto il trasloco ho buttato un bel po' dì roba nel cassonetto. Sì, pure libri dei bambini e vestiti, non avevo tempo di riciclare», confessa Violi. «È stato il momento peggiore del mio disimpegno: ho fatto schifo». Non è la sola, negli Usa: Danek Pinkson ha, orrore, un Suv parcheggiato nel viale di casa:
«Ma cerco di usare la vecchia Audi di mìa madre. Quando ho messo su il sito volevo sbarazzarmene e comprare un ibrido, ma non l'ho ancora fatto».
Che fine ha fatto Pecopapà
Dispiace non trovare nessun ecopapà blogger: dove siete? Non sarà un po' sessista sbolognare alle compagne lo shopping consapevole, il pannolino lavabile, l'aceto per sciogliere il calcare e, nel tempo libero, pure l'educazione ecologica dei bambini? A leggere e a parlare con queste donne sembra che dietro il fenomeno ci sia anche un tentativo dì combattere la depressione post parto e uscire dall'isolamento della maternità. Costruire una rete di amicizie che ruoti intorno a un interesse comune può essere "em-powering" per chi sì trova di botto a casa con un esserino urlante. Eppure, è solo una moda o questi piccoli passi salveranno davvero la Terra? Bill McKibben, autore di The End of Nature, è attento a discernere. «Credo che il trend del consumo consapevole sia utile perché mostra che la gente ha interiorizzato la minaccia ambientale. Ma se ci limitiamo a comprare roba più verde è, in ultima analisi, senza senso. Non possiamo fermare il riscaldamento globale spegnendo una lampadina alla volta». Quello verde è anche un business e le ecomamme sono le prime a rendersene conto. «Il marketing sì è impossessato del nostro messaggio», dice Jordan Allen, «Penso alla catena Gap, che pubblicizza gli abiti che vende sottolineando che vengono da fonti ecosostenibilì ecc. In ultima analisi, bisogna consumare dì meno». Negli Stati Uniti il momento è cruciale. La recessione sta avendo effetti devastanti e sta costringendo molte persone a ridimensionare il proprio stile dì vita.
Il prossimo passo? Far uscire l'attivismo dal giardinetto dì casa. «Passare dall'azione personale a quella politica», sostiene McKibben. «Molte delle 2000 manifestazioni che ci sono state negli Usa l'anno scorso erano organizzate da mamme nella propria comunità. Insieme hanno contribuito a cambiare la politica energetica dì Obama. Il nostro slogan era Screw in thè new lightbulb - but then screw in the new senator (Cambia la lampadina ma cambia anche il senatore)». Accadrà anche in Italia?

La repubblica delle donne, 26 LUGLIO 2008

Se la tecnica cancella la morte naturale

un articolo di Aldo Schiavone
Se la tecnica cancella la morte naturale
Repubblica — 28 luglio 2008 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA

Arriva il momento - a volte d' improvviso, come non vorremmo - in cui bisogna saper fare discorsi difficili, che avremmo preferito risparmiarci. La politica non c' entra: è in gioco qualcosa di più profondo, che brucia e fa male. I tempi che attraversiamo richiedono un esercizio straordinario di ragione e di realismo, per reggere il peso di una rivoluzione che sta sconvolgendo il rapporto cui eravamo abituati fra quel che ancora siamo e quel che stiamo per diventare: quando ogni nuovo giorno ci affida il peso di decisioni e di responsabilità che fino a ieri nemmeno pensavamo possibili.
Parliamo di cosa è, e cosa sarà sempre di più, lo stato terminale della vita - il tratto estremo del nostro passaggio umano - in società tecnologiche ad alta medicalizzazione (assistenza individualizzata, ospedali avanzati, protocolli terapeutici d' avanguardia). Non soltanto in casi limite come quelli che le ultime cronache italiane ci hanno dolorosamente proposto, ma per tutti noi: insomma, di quel che ci aspetta. E cerchiamo di affrontare la questione alla radice. è molto probabile che la generazione cui appartengo, e forse ancora quella dei suoi figli, saranno le ultime a fare i conti in modo diffuso - pur se accanto a eccezioni via via più consistenti - con l' esperienza della morte, nei termini in cui la nostra specie l' ha incontrata finora, e che sono stati culturalmente elaborati attraverso uno sforzo durato migliaia e migliaia di anni. Voglio dire la morte come un evento inevitabile, spontaneo e indeterminato, che si produce sempre in modo (relativamente) imprevisto e repentino - anche se a volte lungamente e tormentosamente preparato e atteso. La morte, insomma, come fatto "naturale" assoluto enigmaticamente simmetrico all' opposta "naturalità" del nascere del tutto sottratto al nostro controllo e al nostro potere di valutazione e di scelta. Oggi, questo decisivo piano di subordinazione umana alla natura per tutto quanto attiene all' entrata e all' uscita dalla vita sta sparendo. Che ci piaccia o no, si sta dissolvendo, e la tendenza è inarrestabile. La tecnica si è definitivamente installata nel cuore di questi due momenti cruciali, e ne sta spostando il dominio dall' orizzonte della necessità e della storia evolutiva, a quello della volontà e della cultura. Sta scomparendo per la nascita, di cui ormai riusciamo a riprodurre in laboratorio quando e come vogliamo tutta l' abbagliante sequenza originaria, a partire dalla disponibilità di alcuni mattoni biologici di base. E sta svanendo per la morte, alla cui radicalità "naturale" (un attimo prima di morire si è ancora vivi, come ricorda un motto celebre, e come scrivevano nei loro testi i giuristi romani, quando ripetevano che "momentum mortis vitae tribuitur", l' attimo della morte appartiene ancora alla vita), si sta provvisoriamente sostituendo con frequenza sempre maggiore, che ben presto diventerà la regola, una zona grigia, insondabilmente intermedia, in cui si può essere allo stesso tempo vivi e morti, al di qua e al di là del vecchio confine, uomini e macchine integrati insieme (voi capite), ancora mortali e già, in qualche modo, immortali. Stadi di confine, nei quali ben presto sarà possibile non solo mantenere indefinitamente i circuiti elementari della vita (sangue ossigenato che scorre nelle arterie), ma anche come accadrà in molti casi le funzioni superiori di un pensiero e di una personalità, grazie alla predisposizione di strutture artificiali parzialmente o totalmente extrabiologiche, che conserveranno ben poco del nostro piano anatomico originario, ma che consentiranno alla nostra mente di continuare a lavorare, non si può immaginare entro che limiti, e sia pure con costi economici e sociali altissimi, che si scaricheranno sul resto dei viventi quelli (per dirla in modo brutale) non dipendenti dalle macchine. E allora? Per decidere dove fermarsi, quando sarà il momento di dire basta quale sarà il tempo debito per ciascuno di noi potremo ancora tirare in ballo la natura? E quale natura, se l' intreccio sempre più incalzante fra bioingegneria e macchinismo elettronico (se posso esprimermi così), quella che alcuni definiscono "bioconvergenza", avrà creato sta già creando un intreccio dove la naturalità originaria della vita sarà percepibile solo in quanto continuamente trasformata dall' azione consapevole della nostra intelligenza?
A me pare che sia arrivato il momento di dirlo: dobbiamo prepararci a gestire la morte (finché avremo a che fare con essa), come l' esito di una scelta responsabile almeno per la maggior parte delle donne e degli uomini che abitano la parte tecnologicamente avanzata del pianeta rispetto a una prosecuzione della vita alle condizioni (relazionali, affettive, esistenziali) rese possibili dalla tecnologia di volta in volta disponibile, e non più come un evento scandito da una trama ineluttabile di consequenzialità fuori controllo. Se sfuggiamo a questa responsabilità enorme, certo, ma è questo l' umano innanzi a noi cui siamo obbligati dalla stessa potenza della tecnica che stiamo dispiegando, finiremo comunque invischiati in una rete di sotterfugi e di menzogne che non ci sarà di nessun aiuto, e ci consegnerà del tutto impreparati allo sconvolgente futuro che ci aspetta. Come quella di nascondere ancora le nostre scelte dietro il rispetto di una naturalità ormai ridotta al fantasma di se stessa, e di essere costretti, per esempio, a mascherare con il velo dell' interruzione del sostegno alimentare (per lasciare che "la natura faccia il suo corso" ma quale ipocrisia! ma quale natura! nemmeno con le piante si fa così!) la decisione del tutto giustificabile in quanto tale di lasciar cadere quel che resta di una vita senza più speranza. So bene che questo discorso implica un salto di qualità nel nostro diritto e nella nostra etica, fermi a un tempo in cui ci era concesso di vivere una vita e di accettare una morte ben diverse da quelle che oggi ci si schiudono dinanzi. Ma è proprio di questo che bisogna cominciare a discutere: di morte responsabile, eticamente e non naturalisticamente dedotta, e non più di "eutanasia" una vecchia parola che riflette un concetto ormai fuorviante. La Chiesa potrebbe essere di grande aiuto in questo frangente, spendendo la sua eccezionale capacità di magistero e di ascolto. Se decidesse di evangelizzare il nostro futuro, e non solo un presente che sta già svanendo, e se non invocasse più il nome di Dio a difesa di una soglia biologica e culturale ormai superata, come ha già fatto una volta per proteggere l' inutile immagine di una Terra al centro astronomico dell' universo. - ALDO SCHIAVONE

lunedì 28 luglio 2008

Non gettate quei cd rom

• Dare una nuova vita ai cd-rom usati è possibile grazie a un liquido ricco di alghe funghi e batter!. Ogni anno vengono gettati tra i rifiuti circa 4rnila tonnellate di Cd, dai quali invece si potrebbero ricavare materiali di alta qualità. Grazie a un'innovativa sostanza liquida composta da alghe, batteri e funghi è possibile separa re i diversi materiali attraverso un processo aerobico: basta immergervi per pochi minuti i ed rom e si ottengono inchiostro, allumino in polvere e, soprattutto, policarbonato puro. Quest'ultimo ha elevate proprietà ottiche che lo rendono adatto a essere riutilizzato per prodotti di ottica, antinfortunistica e lampadari. Da ogni cd si ottengono 14 grammi di policarbonato e 0,5 grammi di polvere di alluminio: ogni anno, rispettivamente 3.980 e 0,2 tonnellate per un valore di oltre i milione di euro,(cl.lu.)sole 24 ore nova 24 luglio 2008
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chi ha già organizzato una raccolta differenziata di questo tipo lasci un commento!
greg

design sistemico - industria sostenibile

DESIGN SISTEMICO
Come ripensare le produzioni
in modo che gli scarti della lavorazione
diventino materie per altri articoli
DI LUIGI BISTAGNINO
Ordinario di disegno industriale al Politecnico di Torino
II design nel tempo ha saputo interpretare i bisogni emergenti della società accompagnando le trasformazioni o anticipando i nuovi ambiti di sviluppo. Ha allargato i propri confini entrando sempre più a contatto con altri settori, è diventato un accreditato punto di riferimento per sviluppare innovazione. Tutto questo successo che si è concentrato nell'allargare i campi di sperimentazione e ha dato vita sempre a nuovi prodotti ha però relegato a un ambito tecnico/tecnologico tutte le problematiche inerenti l'utilizzo delle materie prime, dell'energia e dello smaltimento degli scarti di produzione.
Queste tematiche devono, invece, far parte integrante del processo progettuale in modo da sviluppare la conoscenza di produzioni che sappiano individuare le modalità corrette di utilizzo di risorse ed energia e non esserne poste all'esterno. Mentre sinora si è prestata attenzione alle quantità e qualità delle materie prime e alle loro caratteristiche, per il nostro futuro sarà altrettanto interessante ed essenziale focalizzareratten-zione non solo su quanto può entrare in un sistema ma soprattutto su quanto ne potrà uscire. Con questa visione nasce un progetto più allargato, molto interessante e complesso, che abbraccia tutta la filiera produttiva con le problematiche inerenti gli scarti di lavorazione poste sullo stesso livello degli approvvigionamenti e degli utilizzi delle materie prime.
Si dovranno principalmente approfondire le qualità degli output e non solo le quantità, perché è da quelle che ne potranno scaturire i reali futuri utilizzi. Vale a dire che si potranno mettere in rela-
zione diverse situazioni produttive in modo che le specifiche qualità degli output di una produzione possano diventare l'input di un'altra. In prospettiva diventa fondamentale e ineludibile l'elaborazione di una visione multidisciplina-re. L'approccio del mondo produttivo dovrà cambiare e non sarà più un agire lineare, ma un procedere per interconnessioni attingendo soluzioni da una nuova cultura veramente interdisciplinare, che interessa numerosi settori, dalla meccanica alla biomedicina, all'urbanistica e al design. «L'omologazione, richiesta dai processi lineari dell'industria seriale, è intervenuta anche in ambito agroalimentare - come dice Carlo Ferrini, presidente di Slow Food - che lineare non è mai stato, e ha così spogliato il cibo di. molti dei suoi valori più importanti. Il risultato è che non soltanto abbiamo una produzione alimentare a cui possiamo imputare il grosso delle emissioni sul pianeta, ma il cibo è meno buono, privo di cultura e non siamo neanche sicuri che ci faccia tanto bene».
Dalla sperimentazione del concetto di sistema aperto in ambito industriale si è potuto osservare che le attività produttive possono rispecchiare i principi di metabolizzazione della natura, una realtà che non produce scarti. Il design può assumere come proprio questo innovativo approccio di progetto dei flussi di materia e di energia indagando le trasformazioni positive nei processi produttivi e diventare design sistemico. Va da sé che in questo rinnovato e fluido "scorrere" della materia si genera un nuovo modello economico che valorizzando le risorse locali ridarà vita alle peculiarità culturali e identificative territoriali.
Per evitare di rimanere in ambito astratto a manipolare solo concetti, che possono sembrare solo utopici, pensiamo a progetti sperimentali sviluppati in questi ultimi anni e che coinvolgono diversi
ma significativi settori produttivi. Nellarneccanicac'èlo stabilimento di NN Euroball, i cui output di lavorazione delle sfere dei cuscinetti a sfera sono fanghi oleosi: ha attivato il ripensamento progettuale delle lavorazioni ponendo il focus dell'intervento sulla tensione superficiale dell'acqua, sul suo utilizzo economico a ricaduta e sulla immissione finale, depurata naturalmente, nell'ambiente. Nell'energia un buon esempio è Agrindustria che trova il materiale per ottenere l'energia per la propria produzione in un raggio massimo di 40 km, vende l'eccedenza e attiva una serie di ricadute economiche sfruttando al meglio gli output come input di altri sistemi produttivi.
Ancora Petrini: «Bisogna tornare a una scala produttiva il più possibile locale, a una rete di economie locali connesse tra loro, ma sostanzialmente indipendenti. Non sto parlando di autarchia, ma di sfruttamento non lineare e sostenibile delle risorse di un territorio. Questo vale per la produzione alimentare, ma anche per l'utilizzo delle energie e delle risorse umane. In un contesto di questo tipo c'è anche la possibilità di recuperare quelle conoscenze antiche che si sono dimenticate troppo in fretta, ma che in realtà costituivano un perfetto esempio di eco-design».
Un'altra importante occasione, che deriva dall'orientamento delineato, risulta essere il cambiamento di approccio sugli output dei sistemi produttivi. Le normative esistenti si fondano sul fatto che gli scarti dei processi industriali sono un qualcosa o di scarso valore, rispetto al prodotto, o fortemente inquinato tanto che i produttori considerano come un problema da risolvere nel modo più rapido e meno dispendioso possibile. Si capisce quindi la volontà del legislatore di tutelare sia l'ambiente sia le persone attraverso norme cogenti che intendono tracciare tutto il percorso compiuto dalle sostanze considerate noci-ve.Se invece gli output da problema diventassero risorsa, con interessante valore economico, nasce-rebbe l'interesse nel considerarli parte attiva di un processo.
".
www.systemsdesign.polito.it

da: ilsole24ore 24 luglio 2008

venerdì 25 luglio 2008

le mostre inutili

Il Sole 24 Ore - Domenica
06/07/2008
Pag. 43
Bando alle mostre inutili
L'International Council of Museums Italia chiede a istituzioni pubbliche e private di puntare solo su rassegne di qualità, di non affittare le opere e di non sprecare denaro nell'effimero

Le sei "raccomandazioni" pubblicate in questa pagina sono parte di un più ampio documento -sottoscritto da tutte le associazioni museali italiane (consulta-bile sul nostro sito www.icom-italia.org : pubblicato integralmente sul supplemento «Mostre del Giornale dell'Arte» li luglio - che ne motiva il senso nel quadro di una riflessione più generale sulle politiche, pubbliche e private, che concernono i musei e il patrimonio culturale nel nostro Paese.
La sua lettura spiega perché Icom Italia - il Comitato nazionale dell'International council of museums - abbia deciso di affidare al Presidente del Collegio dei probiviri, Alessandra Mottola Molfino, il compito di raccogliere i dubbi e il dissenso di tanti professionisti dei musei di fronte alle scelte (non solo di oggi) di quelle amministrazioni che continuano a privilegiare gli eventi rispetto alle istituzioni, la spettacolarità rispetto alla crescita della cultura, il successo immediato rispetto allo sviluppo durevole, in una situazione generale in cui a noi tutti sembra che sia a rischio la sostenibilità stessa del nostro patrimonio culturale e degli istituti della cultura: gli archivi, le biblioteche, i musei.
La decisione è stata presa di fronte alle notizie che venivano da Verona, dell'ingente costo della mostra del Louvre, del prezzo richiesto per il prestito delle opere, del rischio che a farne le spese fossero i musei e la vita culturale della città, investita dopo Treviso e Brescia da un progetto che lasciava tutti a dir poco perplessi.
Ci è subito sembrato, però, che il discor1 so dovesse necessariamente coinvolgere la questione, aperta da decenni, delle priorità nella spesa per la cultura e il patrimonio culturale, a cui abbiamo dedicato una riflessione, non a caso intitolata «Una difficile situazione».
All'elaborazione del documento hanno partecipato molti colleghi deU'Icom e delle altre associazioni museali, in un dibattito che è andato ben oltre la critica del caso specifico, affrontando non solo la questione delle mostre-spettacolo, ma anche quella dei musei- spettacolo, in un'ottica che non nega il confronto con il mercato, ma contesta la subordinazione ad esso e alle sue logiche di breve periodo e agli interessi particolari.
Perché siamo convinti che il patrimonio culturale sia una risorsa per lo sviluppo, ma proprio per questo crediamo ne vada innanzitutto rispettato il valore culturale, salvaguardata l'integrità in quanto bene comune, incrementata e diffusa la conoscenza, valorizzata la funzione per la comunità e per i suoi ospiti.
Da tempo lamentiamo che le risorse per la cultura e per il patrimonio culturale nel nostro Paese siano insufficienti, ma crediamo anche che siano mal spese e che i molti sprechi - in un momento difficile come questo - rappresentino oggi un rischio perla sopravvivenza stessa del nostro patrimonio se le scelte delle amministrazioni pubbliche, ma anche delle fondazioni ex bancarie, privilegiano i facili successi a una prospettiva di lunga durata.
Siamo anche convinti che sia nostro dovere richiamare tutti al rispetto di quei principi etici contenuti nel Codice deontologico per i musei che impedisce di usare i beni museali come fonte di guadagno. Con i presidenti di altri comitati europei, la Francia in primo luogo, stiamo concordando una presa di posizione comune perché, anche se non è andata a buon fine, la proposta del Louvre di "affittare" le sue opere ci sembra profondamente sbagliata.
Riteniamo infine che certe scelte espositive finiscano per essere diseducative nella loro banalità e non siano di aiuto rispetto alla crescita culturale del pubblico a cui si rivolgono, non importa se tanto e poco. Georges Henri Rivière, uno dei padri fondatori dell'Icom non si stancava di ripetere che non gli importava quante persone entrassero nei musei, ma quante ne uscissero cambiate. E pensiamo che questo più che i numeri debba e possa contare per tutti.
La forma è in qualche misura la sostanza e la scelta di proporre delle "raccomandazioni" anziché delle critiche o delle rivendicazioni esprime il nostro vivo desiderio che sulle raccomandazioni e sul documento si rifletta e si discuta in un confronto in cui le ragioni della cultura e quelle dell'economia, del rigore scientifico e della partecipazioni cerchino quella sintesi che, nell'attuale panorama delle politiche pubbliche e private, ci sembrano ancora lontane dall'incontrarsi felicemente. A tutto danno - crediamo - dell'intimo, profondo, duraturo valore del patri-. monio, di cui tutti dobbiamo sentirci custodi e portatori.

Il Documento
Raccomandazione n. 1
ICOM Italia chiede alle Pubbliche amministrazioni, alle Fondazioni ex-bancarie e ad altri sponsor/mecenati di distinguere i finanziamenti perle mostre-evento effimere e commerciali da quelli per le istituzioni culturali permanenti e di finanziare queste ultime con maggiore costanza e altrettanta generosità, visto il loro duraturo ruolo educativo e sociale verso i più diversi tipi di pubblico e il dovere di :onservare integri (anche rioralmente) i patrimoni dei musei jerle prossime generazioni. I ìnanziamenti agli eventi effimeri lon possono soverchiare e mnientare quelli alle istituzioni :ulturali permanenti; pena il rischio ii cancellare le indispensabili iiversità culturali. ICOM Italia accomanda che i direttori eil jersonale tecnico-scientifico dei nusei siano coinvolti nella programmazione delle atti vita espositive anche se realizzate in altre sedi, partecipino alla loro ideazione e progettazione anche quando esse siano organizzate da soggetti esterni; a tutela delia loro scientificità, della valorizzazione delle risorse locali, dei patrimoni del territorio e delle istituzioni culturali locali (musei, università, Associazioni, eccetera); evitando anche che esse siano qualitativamente deficitarie, ripeti tive.eteroprodotte e senza valore aggiunto culturale per la città e le sueistituzioni.
Raccomandazione n. 2
ICOM Italia chiede alle Pubbliche amministrazioni, alle Fondazioni ex-bancarie e ad altri sponsor/mecenati di finanziare le attività istituzionali, di ricerca, educative e sociali dei musei per i loro valori permanenti, evitando di porle in alcun modo in un'oggettiva competizione con eventi espositivi a carattere effimero; in modo tale da affermare sempre più i! valore di una cultura non consumistica e di una economia basata sulla
conoscenza e la creatività.
Raccomandazione n. 3
ICOM Italia chiede ai musei italiani privati e pubblici di non praticare le loan-feessw prestiti delle proprie opere a mostre, in modo da non mettere a rischio il valore immateriale e non commerciale dei beni cultura li, anche in ossequio al dettato delle recenti modifiche al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che vieta no di considerare!" beni culturali come mercé e per non essere costretti, in un momento di progressiva riduzione delle risorse pubbliche, a prendere decisioni motivate esclusivamente da un immediato benefìcio economico e non da considerazioni diopportunità culturali. ICOM Italia si impegna 3 porre questa questione in sede intemazionale al Comitato per la deontologia dell'ICOM, avviando sin d'ora i contatti con i Comitati ICOM nazionali e internazionali affinchè questoimpegno coinvolga! musei e i professionisti di tutti i paesi interessati.
Raccomandazione n. 4
ICOM Italia chiede alle Pubbliche amministrazioni, ai privati gestori dell'organizzazione delle mostre e alle Fondazioni ex-bancarie di rendere pubblici e trasparenti i bilanci delle mostre e di svolgere indagini prima e dopo le mostresul gradimento del pubblico e sull'impatto turistico, economico e culturale complessivo sul proprio territorio di tali eventi, anche ne! medio-lungo periodo. Ovvero di adottare metodi di indagine e indicatori di successo o insuccesso complessi, quali i Baia nced Scorecards(BSC), superando i limiti della contabilità economico finanziaria tradizionale.
Raccomandazione n. 5
ICOM Italia chiede alle Pubbliche amministrazioni e alle Fondazioni ex-bancarie di incrementare e, comunque, di non ridurrei finanziamenti destinati ai musei e alle loro attività primarie, evitando di finanziare solo eventi temporanei e di impegnarsi al fine di evitare che una "monocultura", come quella delle mostre-spettacolosi espanda distruggendo il differenziato patrimonio genetico dei territori culturali. ICOM-Italia chiede alle pubbliche amministrazioni di valutare lasostenibilità delle
politiche culturali nel loro complesso ponendo attenzione alla diversità delle culture locali, nello spirito del dettato
costituzionale dell'articolo 9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura [...]Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».
Raccomandazione n. 6
ICOM Italia richiama i musei pubblici e privati a porre attenzione, nello svolgimento delle proprie atti vita didattiche, culturali e di comunicazione con il pubblico, al ruolo/status del Museo come contenitoredi valori non mercantili, non scambiabili, necessari alla conoscenza della storia umana; a non creare opere-feticcio a scapito delle altre, con il rischio di arrivare a una omologazione monoculturale; e a spingere i musei a coltivare e incoraggiare i volontari, i donatori, i mecenati, i collezionisti, gli studiosi, i quali sono una parte di pubblico determinante per ilfuturo dei musei stessi.
Ufficio Stampa

da candidocandido

Savonarola ha detto...

Ehhh...arriverà anche per lui il momento in cui riceverà la visita della Signora con la Falce Vestita di Nero che lo apostroferà:-" E ADESSO FATTI PROCESSARE,BUFFONE!" E lui, ergendosi sui 7/8 centimetri dei suoi tacchi griderà istericamente:-"c'è qui un poliziotto?? prendete le generalità di questa tizia!"

bisogna ripartire da una constatazione: l'Italia è un paese che è rimasto sempre fascista. La democrazia ce l'hanno imposta con i carrarmati i paesi democratici "alleati" nel '45, fatta eccezione per una minoranza di Italiani (i partigiani e quanti erano sinceramente dalla parte della Resistenza). Ma la maggioranza di Italiani vede di buon occhio l'idea di avere un capo, anzi un boss a cui ubbidire. Per questo i meridionali votano in massa per i mafiosi e i setttentrionali in massa per gli amicissimi dei mafiosi. Ecco perchè la maggioranza degli italiani vede nella magistratura un problema, la giustizia è un concetto troppo evoluto e democratico per l'italiano medio.

dal blog http://candidocandido.blogspot.com

giovedì 24 luglio 2008

il nuovo libro di lester brown

da: il sole 24 ore 13 luglio 2008

Emergenze
Sull'ambiente ecco il piano B
di Sebastiano Maffettone
Lester Brown è uno studioso brillante e influente, che ha pubblicato una cinquantina di libri tradotti in più di quaranta lingue. Attualmente fondatore e presidente dell'Earth Policy Institute, aveva svolto la medesima funzione per la costituzione del Worldwatch Institute, con ogni probabilità il più autorevole istituto di ricerca del mondo sulle questioni ambientali.
Pubblicato da Edizioni Ambiente, Piano B 3.0 (sottotitolo drammatizzante: Mobilitarsi per salvare la civiltà) si avvale di un'eccellente presentazione di Gianfranco Bologna e di una superflua prefazione di Beppe Grillo e dice cose che tutti dovrebbero sapere.
Il tema di fondo è il possibile declino della nostra civiltà, e la parallela necessità di fare qualcosa per evitarlo. È affrontato attraverso tre prospettive principali: la popolazione; la povertà; la consumazione delle risorse naturali.
Nell'Antropocene, così come ha chiamato la nostra epoca il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, l'aumento della popolazione, lo sviluppo costante di redditi e consumi e la crescita della forbice tra ricchi e poveri mettono a rischio la stabilità planetaria. Se cinesi e indiani, continuando nel loro trend di sviluppo economico, si mettessero tra venti anni a consumare come americani ed europei, il nostro pianeta non avrebbe più speranze. La sola Cina, tanto per fare un esempio, consumerebbe tutte le foreste del mondo, e tra Cina e India ci sarebbero più di cinque miliardi di automobili. Le conseguenze astronomiche e geologiche sarebbero disastrose. A questi ritmi, i ghiacciai dell'Asia si squaglierebbero, prosciugando per esempio il Gange e il fiume Giallo, e i mari monderebbero regioni intere del pianeta, provocando esodi biblici di popolazioni. Ill ibro di Brown esibisce una messe impressionante di dati e di argomenti, capaci di convincere anche il più scettico tra noi che qualcosa bisogna fare per porre rimedio a questa crisi epocale. Già, ma che cosa e in che modo? Evidentemente, il mercato da solo non basta. E la politica non è in grado di smuovere forze che perseguano fini coerenti con - come diceva il club di Roma -«i limiti dello sviluppo». Siamo allora di fronte a un punto di non ritorno?
Ovviamente, Lester Brown non è di questo avviso, e il piano B, che da il nome al libro, costituisce la sua proposta per evitare queste calamità prossime venture. I suoi imperativi sono concettualmente semplici e praticamente diffìcilissimi: eliminare la povertà più grave, stabilizzare la popolazione, ripristinare nella misura del possibile gli ecosistemi terrestri. Esempio tipico delle intenzioni di Brown: riduzione delle emissioni di anidride carbonica dell'8o% entro il 2020. A questo punto, non è difficile neppure capire
qual è il punto debole della proposta. Mi riferisco al suo carattere utopico. Dopotutto, mercato e politica riflettono le scelte della gente. E se gli individui non vogliono, non si vede come gli obiettivi del Piano B siano realizzabili. La «grande mobilitazione», invocata nel testo, rischia di rimanere un sogno. L'unica speranza consiste nell’indurre un massiccio cambiamento delle preferenze in direzione della sostenibilità. Senza dubbio, questo libro offre valide ragioni in proposito.
O Lester R. Brown, «Piano B 3.0. Mobilitarsi per salvare la civiltà», Edizioni ambiente, Milano, pagg. 348, €18,00.

martedì 22 luglio 2008

dieci consigli per l’eco-vacanza

I dieci consigli per l’eco-vacanza
Roma, 14 luglio – Dieci consigli per il vacanziero “verde”, educato e sostenibile. Li propone Greenpeace.

Eccoli qua:
1. Scegli il turismo responsabile: non finanziare alberghi a elevato impatto ambientale, preferendo strutture ben integrate nel contesto naturale e in grado di favorire lo sviluppo reale delle popolazioni locali.
2. Utilizza le tue vacanze per andare a scoprire le ultime grandi foreste primarie del Pianeta: la foresta africana dei grandi primati, la foresta pluviale amazzonica, le foreste del Paradiso delle isole del Pacifico, le selve boreali del nord Europa, la Foresta delle Nevi in Siberia, la Foresta del Grande Orso in nord America, la giungla temperata del sud America.
3. Whalewatching: se vuoi ammirare le balene e gli altri cetacei rivolgiti a operatori che adottano misure per non arrecare eccessivo disturbo agli animali. Ricorda che Giappone, Norvegia e Islanda sono i paesi che continuano a uccidere le balene.
4. Non acquistare specie a rischio d’estinzione. Paesi africani e asiatici offrono purtroppo una vasta gamma di prodotti, cibo e medicine alternative ricavate da specie a rischio di estinzione: il corallo, gli elefanti, le tartarughe, i rinoceronti, gli orsi, le scimmie, le balene, alcuni uccelli tropicali. Il loro utilizzo è una grave minaccia alla biodiversità del pianeta.
5. Evita l’aereo se non strettamente indispensabile. Preferisci il treno e la nave. Si calcola che i voli a brevi distanze risultino, in proporzione, ancora più inquinanti perché la maggiore quantità di CO2 si libera nella fase iniziale e finale del volo. L’impatto sul clima dell’aereo è 10 volte quello di un viaggio in treno anche per l’emissione di vapore acqueo in quota, dove rimane a lungo.
Approfitta delle vacanze per andare di più a piedi o in bicicletta: ridurresti le tue emissioni di CO2, giocando un ruolo attivo nella lotta ai cambiamenti climatici. Se l’auto ti è indispensabile, organizzati per viaggiare con più persone.
6. Contribuisci a proteggere il mare acquistando con attenzione il pesce. Evita pesce spada, tonno e gamberoni. Non consumare pesce sottomisura illegale e informati sempre su dove e in quali condizioni è stato pescato prima di acquistarlo. Preferisci il pesce azzurro e quello locale.
7. Non usare pesticidi chimici. Preferisci le candele alla citronella che ti mettono al sicuro dalle zanzare e creano atmosfera. Non acquistare articoli da mare in Pvc: nel ciclo di produzione del Pvc viene emessa diossina, inoltre sostanze chimiche dannose possono essere liberate da questi prodotti anche durante il loro utilizzo.
8. Scegli viaggi enogastronomici “ogm free”. Preferisci negozi e ristoranti che utilizzano prodotti biologici. Evita gli organismi geneticamente modificati non solo per salvaguardare la tua salute, ma anche perché costituiscono una grave minaccia per l’ambiente.
9. Pratica l’escursionismo di basso impatto. A tutti piace passeggiare in un ambiente incontaminato, perché rimanga tale è necessario lasciare meno tracce possibili del nostro passaggio: riportare indietro tutto quanto non è rapidamente biodegradabile, non disturbare gli animali, non accendere il fuoco se c’è pericolo di incendi e assicurarsi di spegnerlo attentamente con terra o acqua prima di andare.
10. Anche in vacanza non dimenticare di differenziare sempre i tuoi rifiuti. Ove possibile, porta con te una borraccia e riempila nei bar o alle fontanelle evitando l’acqua minerale in bottiglie di plastica.

Pannolini lavabili: incentivi dalla Provincia di Torino

Pannolini lavabili: incentivi dalla Provincia di Torino
giovedì 10 luglio 2008

La Provincia di Torino ha presentato un progetto per la promozione dei pannolini lavabili e riutilizzabili. Previsto un incentivo che coprirà fino al 46% delle spese sostenute. Si calcola un risparmio di 650-1600 euro e un mancato conferimento di una tonnellata di rifiuti (in tre anni) per ogni bambino

Il 10% dei rifiuti non differenziati che confluiscono in discarica sul territorio provinciale è costituito da pannolini (sia per bambini che per adulti) e questa percentuale sale notevolmente nei Comuni in cui è maggiore la raccolta differenziata. Per ogni bambino, si produce quasi un chilo al giorno di pannolini usa-e-getta, a fronte di una produzione media di 1,4 chili di rifiuti urbani al giorno per abitante: ogni nuovo nato produce in tre anni circa una tonnellata di rifiuti solo in pannolini. In provincia di Torino i pannolini sono smaltiti esclusivamente in discarica, andando ad aggravare la già critica situazione degli impianti di smaltimento.
La diffusione di pannolini riutilizzabili fornirebbe un contributo significativo alla riduzione dei rifiuti.
I pannolini lavabili, sinora poco conosciuti, sono invece ecologicamente sostenibili, molto ben tollerati dai bambini e infine rappresentano per le famiglie un notevole risparmio economico, quantificabile in 650-1600 euro, a seconda delle marche, in tre anni di utilizzo; il risparmio diventa ancora più significativo se confrontato con il costo per l’utilizzo di pannolini usa-e-getta biodegradabili. .
Per far conoscere e diffondere l’uso di pannolini lavabili, la Provincia di Torino ha avviato un progetto sperimentale in collaborazione con la Novacoop, azienda da sempre sensibile ai temi dell’ecologia e della riduzione dei rifiuti, e con i Comuni di Beinasco e Chieri, entrambi caratterizzati da una congrua dimensione (18mila abitanti Beinasco e oltre 34mila Chieri, secondo l’Istat del 2006) che rende significativa la sperimentazione pur non avendo la complessità dei comuni metropolitani.
Il progetto, definito in un protocollo d’intesa che è stato presentato mercoledì 9 luglio, nella Sala Marmi di Palazzo Cisterna (via Maria Vittoria 12, Torino) con la partecipazione del Presidente della Provincia Antonio Saitta, dell’Assessore allo sviluppo sostenibile e alla pianificazione ambientale Angela Massaglia, l’Assessore all’ambiente di Chieri Riccardo Civera, l’assessore all’ambiente di Beinasco Erika Faienza, del direttore Soci e Consumatori della Novacoop Claudio Cucchiarati, prevede la distribuzione di buoni sconto da distribuire ai dipendenti e alle famiglie di Beinasco e Chieri che hanno figli nati fino al 2008 e che ne fanno richiesta, per l'acquisto di 4 kit. Il contributo destinato dalla Provincia di Torino copre fino al 46% del costo dei prodotti, a seconda del numero di kit acquistati.
I pannolini sono lavabili e riutilizzabili, con una forma simile a quella degli usa-e-getta. Sono costituiti da una mutandina esterna in tessuto tecnico, che assicura impermeabilità e traspirazione della pelle, da un pannolino vero e proprio completamente in cotone, e da un velo in materiale biodegradabile che può essere gettato nel wc. Sono lavabili in lavatrice ed hanno una durata che spesso supera il tempo di utilizzo di un solo bambino. Ogni kit è costituito da due mutandine, cinque pannolini e 100 veli.
Con la firma del protocollo d’intesa, la campagna promozionale per la diffusione di pannolini riutilizzabili ha preso il via: i kit di pannolini riutilizzabili sono posti in vendita negli scaffali degli ipermercati e supermercati Coop di:
• Torino – Ipercoop c/o Parco Commerciale Dora, via Livorno 51
• Beinasco – Ipercoop c/o Centro Commerciale Le Fornaci, strada Torino 34/36
• Chieri – Supermercato Coop, c/o Centro Commerciale Il Gialdo, via Montelera.

fonte: acquistiverdi.it

spegnere lo standby

Clic - L’Ue vuol spegnere lo standby
Roma, 21 luglio – I partner europei presenti alla riunione del Comitato di regolamentazione per la progettazione ecocompatibile hanno deciso. Appoggeranno la proposta di regolamento della Commissione di ridurre il consumo di energia elettrica delle apparecchiature domestiche, o di ufficio, in posizione di standby. La proposta di regolamento fissa prescrizioni di efficienza energetica per tutti i prodotti commercializzati in Europa, che si tradurranno in una riduzione del consumo di energia elettrica delle apparecchiature in posizione di standby a livello comunitario di quasi il 75% entro il 2020.
“Si tratta del primo provvedimento adottato ai sensi della direttiva per la progettazione ecocompatibile e comporterà una drastica riduzione del consumo di energia elettrica, contribuendo al conseguimento degli obiettivi comunitari in materia di efficienza energetica e protezione del clima”, spiega il Comitato. Il regolamento sullo standby si applicherà a tutte le apparecchiature elettriche utilizzate nelle abitazioni e negli uffici, come televisori, computer e forni a microonde, per esempio. A seconda della funzionalità del prodotto fissa un consumo massimo di energia consentito per lo standby di 1 o 2 watt per il 2010. A partire dal 2013, il livello di consumo energetico ammesso sarà ridotto a 0,5 watt o a 1 watt.
Il regolamento abbatterà l’attuale consumo di energia elettrica da parte delle apparecchiature in standby nell’Ue - pari a circa 50 TWh l’anno - del 73% entro il 2020. Un risparmio che equivale al consumo annuale di energia elettrica di un intero paese come la Danimarca, e dovrebbe portare a una riduzione delle emissioni di CO2 pari a 14 milioni di tonnellate all’anno.
Il regolamento sullo standby sarà ora sottoposto al Parlamento europeo. La sua adozione formale da parte della Commissione è prevista entro l’anno. E altri provvedimenti in materia di progettazione ecocompatibile relativi ad altri prodotti sono attesi nei prossimi mesi.
da www.e-gazette.it

Cancellato l’attestato di efficienza energetica nella vendita degli edifici

Marcia indietro - Cancellato l’attestato di efficienza energetica nella vendita degli edifici
Roma, 21 luglio – Via i laccioli burocratici che, per la vendita degli immobili, avrebbero comportato un notevole esborso di denaro. Il governo, con un emendamento approvato di notte, ha abrogato alcune norme relative all’obbligo di certificazione energetica di edifici. In particolare sono state cancellate le norme che prevedevano, in caso di vendita di interi immobili o di singole unità immobiliari, di allegare all’atto un attestato di certificazione energetica e che in caso contrario prevedeva la nullità dell’atto. Via anche la norma che prevedeva l’obbligo per i proprietari di immobili di consegnare copia di questo attestato ai propri affittuari.
“È un gravissimo errore che frenerà la spinta all’innovazione dell’industria italiana delle costruzioni e al risparmio energetico - attacca Edoardo Zanchini, responsabile Energia della Legambiente, - un assurdo passo indietro nella lotta al surriscaldamento del pianeta che ci allontanerà ancora di più dall’Europa e dagli obiettivi di riduzione delle nostre emissioni”.
Dura anche la reazione del Kyoto Club: “Senza l’attestato di certificazione energetica edilizia si affossa il risparmio energetico”, si legge in un comunicato dell’associazione. Secondo Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, “l’indebolimento della certificazione energetica degli edifici risulta tanto più incomprensibile in quanto si tratta di uno degli strumenti più efficaci per contrastare gli alti prezzi dell’energia”. “Considerando il numero delle compravendite annuali di alloggi - spiega Silvestrini - la riduzione dei consumi indotta dalla trasformazione del mercato legata alla certificazione si poteva stimare cautelativamente in 80 ktep/a, migliaia di tonnellate equivalenti di petrolio. E al 2020 il risparmio cumulativo sarebbe ammontato a 6 milioni di tep”.
da www-e-gazette.it

Saper rifiutare

Saper rifiutare. Se il saper negare è una grande abilità nella vita, maggiore sarà il sapersi rifiutare a se stessi, agli affari, ai vari personaggi.
Vi sono occupazioni che ci sono estranee e che divengono tarli del nostro tempo prezioso; è peggio occuparsi di cose che non ci riguardano che non far nulla.
Per essere saggi non basta non mostrarsi intriganti, ma è necessario far sì che gli altri non ci mettano di mezzo.
Non si deve appartenere agli altri tanto da non appartenere più a se stessi.
Né si ha da abusare degli amici, né prendere da essi più di quanto vogliono concedere.
Ogni eccesso è colpa, soprattutto nei rapporti di amicizia. Con una saggia prudenza ci si conserva meglio la buona accoglienza e la stima da parte di tutti, perché non si va ad urtare contro il preziosissimo decoro.
Si ricerchi dunque la libertà che conviene a un animo amante di ciò che è scelto, e non si pecchi giammai contro quel che accredita il buon gusto».
Baltasar Gracian (1601-1658), «Oracolo manuale e arte della prudenza», traduzione di Antonio Gasparetti, Tea, Milano 1991.

lunedì 21 luglio 2008

Benny Morris: Solo un attacco (riuscito) può fermare la guerra

Tanto per "tirarsi su il morale"....interessante leggersi questo articolo relativo alla situazione tra israele e l'iran......brrrrr....
greg
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Benny Morris: Solo un attacco (riuscito) può fermare la guerra
Da: corriere della sera 20 luglio 2008

Quasi certamente Israele sferrerà un attacco contro i siti nucleari iraniani nei prossimi quattro-sette mesi, e i governi di Teheran e Washington dovranno augurarsi ardentemente che l'attacco vada a segno, infliggendo per lo meno gravi ritardi alle scadenze di produzione del programma nucleare iraniano, qualora non dovesse annientarlo completamente. Perché se l'attacco fallisse, il Medio Oriente precipiterebbe quasi sicuramente in una guerra nucleare, o tramite un'azione nucleare preventiva da parte di Israele, oppure uno scontro nucleare non appena l'Iran si sarà dotato della bomba atomica.

Non è negli interessi dell' Iran né degli Stati Uniti (né certamente del resto del mondo) che l'Iran venga devastato da un attacco nucleare, né che Iran e Israele siano condannati a un così tragico destino. Risultato sicuro di un simile scenario sarebbe la destabilizzazione traumatica del Medio Oriente, con gravissime ripercussioni politiche e militari in tutto il globo, senza contare i danni ingentissimi ai rifornimenti di greggio dell'Occidente e l'inquinamento radioattivo dell'atmosfera terrestre, nonché di mari e fiumi.

Ma se l'attacco convenzionale di Israele non dovesse riuscire ad annientare o ritardare significativamente il programma iraniano — che tutte le agenzie di intelligence del mondo, nonostante le tante menzogne e i depistaggi del governo iraniano, considerano effettivamente mirato alla produzione di armi nucleari e non a pacifiche applicazioni dell'energia nucleare — allora nel giro di brevissimo tempo il conflitto israelo-iraniano si intensificherebbe fino a sfociare quasi certamente in una guerra nucleare.

Malgrado le voci di nuove sanzioni economiche, tutti sanno che tali provvedimenti finora non hanno portato a nulla e non sembrano destinati a essere implementati con il necessario rigore e raggio d'azione per ostacolare il progetto iraniano, sia per la continua riluttanza di Russia e Cina sia per i tentennamenti dell'Europa occidentale (e dell' America) in quanto a fatti concreti, aldilà delle rassicurazioni verbali. I sistemi di sicurezza occidentali sono convinti che l'Iran raggiungerà il «punto di non ritorno», ovvero la produzione della bomba nucleare, nell'arco dei prossimi uno-quattro anni.

E questo lascia al mondo una sola opzione, se intende davvero bloccare la nuclearizzazione dell'Iran, ovvero l'opzione militare, nel senso di un attacco aereo, da parte degli Stati Uniti o di Israele. Ovvio, gli americani hanno la capacità militare convenzionale di portare a termine la missione, che comporterebbe un attacco prolungato dall'aria contro i comandi, le difese aeree e i centri di controllo iraniani, per poi passare ai siti nucleari. Ma in seguito al pasticcio iracheno, e a quello che si sta rapidamente trasformando in un pasticcio afghano, l'opinione pubblica americana è restia all' idea di nuove guerre contro Paesi islamici, e questo impedisce alla Casa Bianca di sferrare un'altra grande campagna militare per raggiungere un obiettivo che non appare, agli occhi di molti, di interesse vitale per gli Stati Uniti.

Di conseguenza, resta in ballo solo Israele — il Paese quasi quotidianamente minacciato di imminente distruzione dai leader iraniani — con la sua aviazione, marina e forze speciali. Di qui, la recente fuga di notizie sui piani e preparativi israeliani per un attacco contro l'Iran (che per tutta una serie di motivi sarebbe previsto entro il periodo compreso tra il 5 novembre 2008 e il 19 gennaio 2009). Il guaio è che le capacità militari israeliane sono infinitamente inferiori a quelle americane e date le distanze, il gran numero e l'ubicazione dei siti iraniani, senza contare i siti sotterranei e le informazioni ancora incomplete raccolte dall'intelligence, sembra improbabile che le forze israeliane — anche ammesso che possano usufruire dello spazio aereo giordano e iracheno e forse di basi irachene per concessione americana — riusciranno ad annientare completamente o a ritardare il progetto nucleare iraniano.

Ma Israele, ben consapevole che la sua stessa esistenza è in gioco — e questa è la sensazione diffusa tra la cittadinanza e condivisa dai leader del Paese — non si tirerà affatto indietro e farà ricorso alle sue capacità convenzionali. I leader israeliani, dal premier Ehud Olmert in giù, hanno tutti dichiarato esplicitamente che la bomba iraniana significa la distruzione di Israele e pertanto all'Iran verrà impedito con tutti i mezzi di dotarsi di armi nucleari.

Esiste una possibilità che l'attacco convenzionale israeliano, qualunque sia la probabilità di successo — e nel regime totalitario degli ayatollah non sarà subito chiara la portata dei danni causati — convinca gli iraniani a interrompere il programma nucleare, oppure solleciti le potenze occidentali a fare maggiori pressioni diplomatiche ed economiche sull'Iran, se non a intervenire addirittura militarmente.

Lo scenario più probabile invece è che la comunità internazionale continuerà a evitare di adottare misure davvero efficaci e che l'Iran finirà anzi per accelerare i suoi sforzi per la produzione dell'atomica destinata ad annientare Israele. Quasi certamente gli iraniani risponderanno attaccando le città israeliane con missili balistici, aizzando i loro sostenitori sul posto, Hezbollah e Hamas, a puntare i loro arsenali contro il Nord e il Sud di Israele, attivando inoltre le reti terroristiche musulmane in tutto il mondo per colpire bersagli israeliani ed ebraici (nonché americani), come velivoli, edifici e ambasciate, costringendo così i leader israeliani a una scelta drammatica: consentire all'Iran di fabbricare la bomba atomica e sperare in una situazione di stallo nucleare, con la prospettiva di distruzione reciproca assicurata che potrebbe dissuadere gli iraniani dal servirsi dell'arma nucleare; oppure sfruttare il contrattacco iraniano, che potrebbe lanciare testate chimiche o biologiche, per giustificare una mossa preventiva, con gli unici mezzi di cui dispone Israele per distruggere i siti nucleari iraniani, e cioè attingendo al proprio arsenale nucleare.

Considerata però la mentalità fondamentalista dei mullah che governano l'Iran, che non esiterebbero a spingere la popolazione a immolarsi, il deterrente potrebbe anche non funzionare (come funzionò invece con i leader razionali che governavano il Cremlino e la Casa Bianca nei momenti di crisi della Guerra fredda). Certo, i leader israeliani non hanno nessuna certezza dell'efficacia del deterrente. Di qui, la probabile decisione di un attacco nucleare israeliano per impedire all'Iran di dotarsi della bomba atomica o per distruggere i siti nucleari iraniani, una volta accertata la produzione della bomba. Oppure, in assenza di un attacco preventivo israeliano, si può ipotizzare un attacco nucleare da parte dell'Iran contro Israele, sotto la spinta di motivi ideologici o per timore di una mossa preventiva israeliana, che sarebbe seguito, con altrettanta probabilità, da una risposta israeliana (o americana).

In un caso o nell' altro, il risultato inevitabile sarebbe l'olocausto nucleare del Medio Oriente.
Il governo iraniano farebbe meglio a riflettere sui rischi effettivi e a sospendere il suo programma nucleare. In caso contrario, dovrebbe augurarsi che l'attacco convenzionale israeliano dall'aria contro i siti nucleari raggiunga il bersaglio. Certo, il risultato di un simile attacco sarà migliaia di vittime iraniane e la condanna internazionale. Ma l'alternativa, assai peggiore, sarebbe un Iran ridotto a un deserto nucleare.

Alcuni iraniani sono forse convinti che valga la pena rischiare, e pagare un prezzo tanto elevato, se il risultato sarà la distruzione di Israele. Ma c'è da star sicuri che la maggioranza degli iraniani non la pensa affatto così.


(Traduzione di Rita Baldassarre)

domenica 20 luglio 2008

ecoenergie - il vento nel kit

ECOENERGIE/ IL VENTO NEL KIT
Largo all'energia eolica domestica: con il decreto legge 30/5/2008 l'installazione di pale eoliche dal diametro inferiore a un metro è assimilata a un intervento di manutenzione ordinaria, quindi non richiede autorizzazioni. Al punto che entro breve c'è chi le distribuirà in confezioni fai-da-te nei centri di bricolage. A prezzi intorno ai 4.500 euro, come Energy Bali 0,5, la prima mìnipala eolica che produce 500 kWh l'anno, brevettata da BluMiniPower (www.bluminipower.it, tra gli operatori italiani attivi nella "minicogenerazione da biomassa". Oltre a contribuire al fabbisogno energetico familiare, dal 2008 il rinnovabile godrà d'incentivi statali: dai 0,30 ai 0,32 euro per kWh prodotto. L'altra buona notizia è che le minipale sono silenziosissime. Donatella Pavan, repubblica delle donne, 18 luglio 2008

Il Robin Hood che prende ai poveri per dare ai ricchi

Le compassionevoli trovate di Giulio Tramonti, tipo la tessera per i poveri e la Robin Tax, non serviranno a combattere il drammatico ritorno alla povertà di centinaia di migliaia d'italiani. Nel caso della strombazzata Robin Tax si tratta forse della più colossale bufala politica di questi anni. In assenza di controlli, come ha chiarito l'Autorità dell'energia, la tassa sarà scaricata dalle imprese sui consumatori con un ulteriore aumento delle bollette. Nella nuova Sherwood, insomma, si ruba ai poveri per dare ai ricchi. Possiamo aggiungere che gli aumenti saranno anche superiori all'importo della tassa. O qualcuno ha già dimenticato come il precedente governo Berlu-sconi gestì il passaggio all'euro?
Gli annunci del superministro hanno piuttosto una forte valenza simbolica.
Tremonti non è un grande economista, ma un notevole ideologo, come si evince dai suoi libri. Queste iniziative estemporanee servono a smantellare l'idea stessa di Welfare. A spostare il problema della povertà dall'ambito dei diritti a quello della carità cristiana. Dov'era rimasto per secoli, prima, appunto, dell'invenzione dello Stato sociale.
Se i poveri aumentano non è per responsabilità di una politica che favorisce una distribuzione di ricchezza sempre più ingiusta. Se s'impoveriscono è per colpa loro, ed è quindi giusto che scontino i propri peccati, Certo, lo Stato caritatevole, in questo benedetto da santa madre Chiesa, è indulgente coi poveri peccatori e ogni tanto organizza una colletta fra i fedeli più abbienti. Oppure finge di organizzarla.
Nulla di nuovo sotto il sole. Il capitali-
smo compassionevole è un'invenzione di Reagan negli anni Ottanta, portata alle massime conseguenze dalla presidenza Bush. Con il risultato concreto, negli Stati Uniti, di un massiccio impoverimento dei ceti medi, depredati dei risparmi, della casa e dell'assistenza sanitaria. Ma in compenso, consolati da una serie infinita di prediche religiose e salmi biblici.
Il paradosso è che proprio i ceti medi, con il loro voto, si sono scavati la fossa. Per l'abilità degli ideologi della destra (ex) liberista, ma anche per l'ignavia della sinistra, ormai incapace prima di capire e poi di spiegare al popolo la principale differenza fra destra e sinistra, fra chi concentra le ricchezze e chi le ridistribuisce. Allo sceriffo è bastato infine travestirsi da Robin Hood per fare fessi gli abitanti di Nottingham.
curzio maltese, venerdi di repubblica, 18 luglio 2009

giovedì 17 luglio 2008

Guerre climatiche - Il cataclisma è anche sociale

Guerre climatiche
II cataclisma è anche sociale
di Alessandro Melazzini
nova24 il sole 24 ore 26 giugno 2008

Le catastrofi naturali accrescono i conflitti per il controllo delle risorse. Per questo, secondo Welzer, bisogna ripensare le fonti di alimentazione dell'umanità.


Tempeste, inondazioni, siccità, incendi e maremoti. Sono solo alcune tra le numerose catastrofi accadute sulla Terra negli ultimi dieci anni, a cui ora si aggiungono le sventure in Cina e Birmania. Ma l'uomo si dimentica presto dei disastri naturali di cui non ha avuto esperienza diretta, e persine una tragedia annunciata come l'inondazione di New Orleans si va perdendo nella nebulosa dei ricordi. È bene invece non dimenticare che numerosi di questi disastri dipendono dal cambiamento climatico subito dalla Terra per effetto dell'azione umana, come dimostra anche la climatologa Cynthia Rosenzweig in un recente saggio sulla rivista «Nature», dove ha esaminato 29.000 casi di mutazioni dell'ecosistema avvenute tra il 1970 e il 2005. Ma lungi dall'essere confinabile al mondo della natura, ogni catastrofe ambientale porta sempre con sé notevoli ripercussioni sociali. E, nella maggior parte dei casi, si tratta di conseguenze minacciose per l'uomo.
Ecco perché secondo Harald Welzer, professore di psicologia sociale all'Università di Witten/Herdecke.per capire il nostro futuro è ormai assolutamente necessario imparare a leggere i cambiamenti climatici soprattutto dal punto di vista sociale e culturale. Perché, come afferma nel suo ultimo libro pubblicato in Germania, prossimamente non si combatterà più solamente per motivi economici, ideologici o etnici, ma anche e soprattutto per fattori ambientali (Klimakriege. Wofìlr im 2i.Jahrhwdertgetotetwird,Guerre climatìche. Per cosa si ucciderà nel 2is secolo, Fischer 2008, Francoforte sul Meno, pagg. 336, € 19,90).
L'inaridimento del suolo e le estreme siccità africane, ad esempio, oltre a provocare esodi verso quelle società abbienti storicamente responsabili di buona parte delle emissioni ecologicamente nocive, con le conseguenti tensioni e derive xenofobe nei Paesi di arrivo che anche l'Italia sta sperimentando, favoriscono l'insorgere di conflitti locali per l'accaparramento e lo sfruttamento economico delle risorse sempre più limitate aumentano l'asimmetria tra paesi disastrati e Occidente benestante, e accrescono inoltre quel senso d'ingiustizia delle popolazioni svantaggiate da cui il fanatismo trae alimento. A sua volta il pericolo terrorista diventa la scusa per l'aumento indiscriminato delle misure di controllo e sorveglianza sul cittadino da parte dei governi di casa nostra.
I cambiamenti climatici e la corsa alle risorse non solo provocano nuove ragioni di tensione a livello internazionale - dello scorso agosto è la notizia di una spedizione polare russa per piantare una propria bandiera sui fondali dell'Artico - bensì producono negli Stati più deboli anche nuove forme di "guerra permanente". È il caso del Darfur, in cui le parti combattenti non hanno alcun interesse a cessare le ostilità a causa dei benefici economici ricavati dal commercio di armi, materie prime, ostaggi e aiuti internazionali.
Proprio il Sudan, una terra in cui il 70% della popolazione vive di agricoltura o allevamento, secondo lo studioso tedesco è il paradigma di come i cambiamenti climatici influiscano direttamente sull'origine dei conflitti. Nei primi anni Ottanta del Secolo scorso in quella zona del mondo una siccità devastante, oltre a causare migrazioni di profughi, inasprì i conflitti tra i contadini sedentari di etnia africana e le popolazioni arabe di allevatori nomadi, dando vita a una guerra civile percepita come etnica benché motivata soprattutto da ragioni climatiche.
La mancata percezione del fattore ecologico sugli equilibri sociali, e il conseguente disinteresse di molti cittadini in merito al problema, è spiegabile con lo sfasamento temporale in cui si trova chi dovrebbe agire ora per porre rimedio a un danno risalente ai decenni passati, la cui effettiva soluzione potrà forse avere luogo solamente dopo la nostra morte. A questo si aggiunge O fatto che molti giovani oggi sotto valutano il pericolo anche perché non hanno esperienza dei cambiamenti nell'ecosistema avvenuti prima della loro nascita, come illustra l'esempio di quei pescatori della California che, a differenza dei loro nonni, percepiscono l'attuale situazione di povertà ittica come normale anziché riconoscere in essa una grave conseguenza della sparizione di molti pesci per via dell'inquinamento. Ma una maggiore consapevolezza delle implicazioni sociali dei danni ambientali, benché necessaria, non è sufficiente. Senza un cambio radicale di mentalità che favorisca a vari gradi il coinvolgimento di Stati, comunità e singoli cittadini essa, anziché permettere di affrontare in modo risolutivo il problema dell'inquinamento, induce a continuare nelle nostre sconsiderate abitudini di sempre, tutt'al più gravati da cattiva coscienza. Quello che occorre davvero, secondo Welzer, è un profondo ripensamento riguardo alle fonti di alimentazione della nostra società. Chiedersi ad esempio se è meglio una centrale a carbone o una nucleare significa aggirarsi in un vicolo cieco: entrambe si basano sull'utilizzo di risorse inquinanti e limitate. Quando esse finiranno, ci saremo scavati una fossa talmente profonda da non poterne più uscire.
alessandro@imelazzini.corn

lunedì 7 luglio 2008

Le conseguenze del metano idrato

Trovata la soluzione per estrarre il gas dagli idrati, c’è un problema di sicurezza ambientale. E gli scienziati frenano.

DI STEFANO GULMANELLI

Nova, il sole 24 ore giovedì 26 giugno 2008

Notizia migliore per i giapponesi non poteva giungere in un momento in cui il prezzo del greggio schizza ai massimi storici. Seppure utilizzando infrastrutture di trivellazione ancora sperimentali, la Japan Oil, Gas and Metal National Corporation è riuscita a estrarre per più giorni consecutivi e su scala industriale gas da un giacimento di metano idrato nel permafrost artico.
È il coronamento di uno sforzo tecnologico avviato da Tokio da oltre un decennio per cercare di rendere sfruttabile l'unico combustibile fossile di cui il Paese del Sol Levante sembra essere ricchissimo, per l'appunto il metano idrato, detto in gergo anche "ghiacciobollente". La sostanza, formata da cristalli di ghiaccio che imprigionano molecole di metano (si veda il box), è infatti presente in enormi quantità lungo le coste del Giappone, al punto che il maggior giacimento mondiale conosciuto di metano idrato è considerato essere quello presente nella faglia oceanica detta «depressione di Nankai», 50 chilometri al largo di Honshu, l'isola principale dell'arcipelago giapponese.

Il "breakthrough" tecnologico è tale che potrebbe risolvere definitivamente quello che finora è stato un rebus: vale a dire come liberare e portare in superficie tutto quel metano intrappolato nelle profondità oceaniche e lì trattenuto da bassa temperatura (ghiaccio) e pressione. Dal punto di vista tecnico il recuperare del metano idrato non è infatti un'estrazione come un'altra: sia per la natura stessa del metano - un gas instabile e difficile da "maneggiare" -, sia perché il semplice contatto fisico con il giacimento, agendo sulla pressione cui è mantenuto il composto, ne determina una violenta "scomposizione" negli elementi costitutivi, con relativi problemi di controllo dell'ascesa del gas: un po' come accade con una bottiglia di bibita gasata aperta dopo che si è provveduto a scuoterla.
Ora tutto ciò sembrerebbe non più costituire un problema per i tecnici nipponici, che peraltro hanno scelto di liberare il metano dalla sua gabbia di ghiaccio usando un metodo diverso da quello finora impiegato in Canada nei giacimenti del delta del McKenzie River: vale a dire non innalzando la temperatura della "tasca" degli idrati iniettandovi acqua calda - processo dispendioso dal punto di vista energetico - bensì aspirando aria dal giacimento, così da abbassarne la pressione e permettere al gas di risolversi e risalire.
La tecnologia sviluppata dai giapponesi ha subito attratto l'attenzione di due altri colossi asiatici –Cina e lndia- alla ricerca di risorse energetiche più a portata di mano di un petrolio sempre più caro e localizzato in aree fortemente instabili del pianeta, ma anche meno inquinanti dell'oggi usatissimo carbone. Entrambi i Paesi sono infatti ricchissimi di metani idrati. Le prospezioni avviate da Pechino hanno trovato evidenze di grandi depositi vicino alle coste cinesi, in forma peraltro finora sconosciuta e particolarmente conveniente quanto a opzioni per l'estrazione: la porosità dei sedimenti al largo del Mar della Cina farebbe persine ipotizzare l'utilizzo di tecniche convenzionali.
Per parte loro, gli indiani hanno individuato uno fra gli strati di idrati più spessi al mondo nel Bacino di Khrisna-Godavri, e un altro enorme deposito, originato da eruzioni vulcaniche preistoriche, al largo delle Isole Andamane. Il successo tecnico nipponico accelera le prospettive di entrambi i Paesi di poter usare il metano ricavato dagli idrati per alimentare il proprio boom economico.
Aperta la strada alla soluzione del problema tecnico, resta invece ancora irrisolto l'altro grande quesito relativo allo sfruttamento dei metani idrati: le conseguenze ambientali della "liberazione" ed estrazione del gas sequestrato sotto le profondità oceaniche.

I pericoli al riguardo sono due. Il primo è di tipo "meccanico": se si svuotano gli strati in cui sono stivati i metani idrati, c'è il rischio di provocare frane e collassi del suolo marino, tali da creare instabilità geologica (di cui il Giappone ad esempio non ha certo bisogno) e, magari, tsunami disastrosi.
Ma è l'altro spettro che aleggia sull'estrazione di questa risorsa a spaventare scienziati, ecologisti e studiosi, vale a dire l'inevitabile dispersione aerea del gas.

L'agenzia Usa perla Protezione dell'ambiente (Epa) stima che nella catena di produzione del metano non meno del 4% vada nell'atmosfera: datala capacità del metano di intrappolare gli infrarossi venti volte più della famigerata CO2, gli effetti potrebbero essere insostenibili in termini di riscaldamento globale. Il quale peraltro determinerebbe un aumento della temperatura del mare, causando un'ulteriore dissociazione degli idrati e, quindi, un'aggiuntiva immissione di metano nell'atmosfera. Un circolo perverso con effetti catastrofici che, dicono molti studiosi, potrebbe essersi presentato già 55 milioni di anni fa, nel tardo Paleocene, quando le acque oceaniche subirono un forte aumento della temperatura (fra 4 e 8°). Per quella che potrebbe non essere stata una coincidenza, in quello stesso periodo, sulla Terra — rivelano le analisi dei sedimenti - c'erano enormi quantità di metano rilasciato da idrati.
La circostanza porta scienziati e ambientalisti a contenere l'entusiasmo per il successo estrattivo dei giapponesi e a guardare con qualche apprensione al piano del ministero dell'Economia, commercio e industria di Tokio, che vuoi vedere la produzione commerciale di metano da idrati iniziare entro il 2016.

http://pubs.usgs.gov/of/1996/of96-272/
La mappa dei depositi dell'Us Geologica! Su rvey


Giacimenti oceanici
« II metano idrato è una sostanza chimica in cui le molecole d'acqua formano sotto l'impulso di temperatura e pressione una sorta di "gabbia solida" che racchiude, senza alcun legame chimico, le molecole dì metano. Fino all'inizio del secolo scorso si pensava che fosse una sostanza rara; invece ricerche mirate hanno mostrato che il metano idrato sulla Terra c'è eccome e si presenta in due configurazioni specifiche: o come«materiale di riempimento» in sedimenti a bassa profondità nel permafrost artico o come accumulo in immensi giacimenti a profondità oceaniche in prossimità delle piattaforme continentali. Una volta in superficie, la quantità di metano è molto alta: un metro cubo di idrato "libera" circa 170 mc di gas. Seppure le stime siano provvisorie, gli scienziati concordano che si tratta di una risorsa energetica di importanza decisiva, se solo si troverà il modo di estrarla in modo sicuro per gli uomini e per l'ambiente. (st.g.)

Veline e Stefano Nosei

Raccomandazioni di veline ecc? Il bravissimo Stefano Nosei ha già raccontato il tutto l'anno scorso....Il filmato su youtube:

http://it.youtube.com/watch?v=5SjBv0rcGAw&feature=related

le conseguenze del taglio dell'ICI

Ero perplesso sul taglio dell'ICI anche quando era stato proposto dal centro sinistra: mi sembrava il frutto dell'inseguimento della promessa elettorale di Berlusconi, annunciata durante il confronto con Prodi. I soldi da sborsare per la prima casa, in fondo, erano misera cosa, stanti le detrazioni.
Adesso il magico Tremonti ha fatto divenire legge: a che prezzo?
quelle elencate sono solo alcune voci, molte altre c'erano su un articolo del sole 24 ore che sto cercando.
greg
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Il primo decreto fiscale della nuova era Tremonti è oramai divenuto realtà con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale il 28.05.08 del D.L. 27.05.08 n.93: vale 3 miliardi e prevede il taglio della tassa sulla prima casa, lo sgravio fiscale degli straordinari (ma solo per alcune categorie di lavoratori) e un altro aiutino ad Alitalia, sul quale per altro l’Europa si è già espressa in senso negativo. Plaude il Governo e molte famiglie italiane tirano un sospiro di sollievo ma a che prezzo?

Certo i soldi necessari per simile manovra non sono piovuti dal cielo nelle tasche del Ministro dell’Economia, ma sono stati ricavati dal taglio di numerosi fondi già stanziati, ritenuti però poco attraenti da un punto di vista mediatico e quindi superflui.

Anzitutto il Fondo Contro la Violenza Contro le Donne: 20 milioni che, sebbene non siano una gran somma, rappresentano una importante risorsa per quegli oltre 100 centri che offrono aiuto e protezione alle donne vittime di maltrattamenti. Bisogna infatti ricordare che in Italia le vittime di violenza sono ben 14 milioni - di cui ben 3 milioni tra le mura domestiche - e che a questo dato devono aggiungersi tutti quei casi che non vengono denunciati, e che purtroppo sono ancora assai numerosi.
Molto più consistente è il taglio che Tremonti attua a danno delle regioni Sicilia e Calabria, in particolare per quanto riguarda strade e ferrovie: il decreto fiscale si appropria di 1.432 milioni di euro già stanziati per il completamento della strada Ionica (350 milioni), per la metro leggera di Palermo (240 milioni), per la ferrovia circum-etnea (250 milioni), per la piattaforma logistica in Sicilia (247 milioni) e per la superstrada Agrigento-Caltanissetta (180 milioni). È così che Berlusconi pensa di rilanciare il Sud? A quanto pare il Ponte sullo Stretto è ben più urgente ed indispensabile rispetto ad una efficiente e funzionante rete stradale e ferroviaria, ma dove troverà il Governo i 4,7 miliardi di euro necessari?

Dal bilancio nazionale spariscono poi 721 milioni destinati a rafforzare il Trasporto Locale, pubblico e su ferrovia, previsti al fine di limitare l’uso dei mezzi privati, aiutare i pendolari e diminuire il numero di camion circolanti sulle nostre strade.

Viene ugualmente spazzato via ogni sostegno all’Ambiente, con il taglio al fondo per la promozione del trasporto pubblico locale (353 milioni) ed il fondo per il finanziamento del trasporto verde nei centri storici (1,2 milioni);

spariscono i 30 milioni per il recupero dei centri storici, i 60 milioni per le isole minori e i 45 milioni per il Fondo per la demolizione degli ecomostri nonché per l’ammodernamento della rete idrica nazionale e per la forestazione e riforestazione (220 milioni).

Da ultimo, il neo Ministro ha ben pensato di eliminare i 75 milioni di euro stanziati a favore del Fondo ordinario delle Università e della Formazione Artistica e Culturale; stessa sorte tocca ai 95 milioni per la promozione dello Sport e al fondo per i Campionati Mondiali di Pallavolo del 2010 e per quelli di Ciclismo.
Infine, preme evidenziare la preoccupante cancellazione del Fondo per l’Inclusione Sociale degli Immigrati (50 milioni).
Silvana Ferrari

Da: pensare democratico – castegnato – n. 1 giugno 2008

la card di Tremonti e i contanti di Prodi

lettere a Corrado Augias
Repubblica — 03 luglio 2008 pagina 32

Gentile dott. Augias, il Ministro Tremonti annuncia con squilli di tromba la famosa «Card prepagata» per i pensionati in difficoltà. Valore di 400 euro l' anno da utilizzare come sconti sui prodotti alimentari e sulle bollette della luce, per una platea di 1,2 milioni di persone. Una cifra analoga (389 euro), in contanti e da utilizzare come e quando si vuole, sarà pagata dall' Inps, sulla base dell' ultima Finanziaria del governo Prodi (come ha ricordato Repubblica ieri), insieme alla pensione di luglio a una platea di 2,3 milioni di individui, quindi quasi doppia. Sono rimasto per l' ennesima volta stupefatto dalla incredibile, diciamo così, mancanza di professionalità dei politici di sinistra e centro-sinistra per il vuoto informativo di una notizia così importante sul piano della comunicazione sociale, specie se contrapposta a quella più incisiva e professionale del centro-destra. Su ' Milano Finanza' (giornale certo non vicino a posizioni marxiste-leniniste) un giornalista ha commentato: «Il punto più disastroso del provvedimento del precedente governo è sul fronte comunicativo. La Prodi-Card tra qualche giorno sarà nel portafoglio dei pensionati. Peccato che siano in pochi a saperlo». Come elettore di centro-sinistra prego i nostri dirigenti politici di frequentare qualche corso di comunicazione, magari in una scuola di proprietà dell' attuale Presidente del Consiglio. Aldo Biagini Roma a.biagini@libero. it

La risposta di Augias:
Ogni giorno ricevo qualche lettera di contenuto analogo a quella del signor Biagini. Prodi ha annunciato il suo ritiro dalla politica ma già prima che lo dicesse era praticamente sparito. Sappiamo anche perché. La sua immagine era diventata controproducente dal punto di vista elettorale. Una sua oggettiva difficoltà a comunicare era stata sfruttata dall' opposizione guidata da un uomo che è il suo opposto: tutto comunicazione e sotto niente. Prodi è uscito di scena al modo in cui lo si fa nei paesi con un costume politico migliore del nostro. Ma non solo la cattiva comunicazione ha giocato a danno di Prodi. L' altra ragione è di sostanza. Il professore voleva prima di tutto mettere a posto i conti disastrati del paese, poi pensare al resto. Pensava di avere davanti 5 anni, ne ha avuti meno di 2. Nonostante questo la montagna del debito che ci tiriamo dietro dagli anni Ottanta era calata di 2 punti e mezzo. L' avanzo primario, ridotto a zero dal quinquennio berlusconiano, era tornato a crescere così come le entrate del fisco. Appena finita la campagna elettorale, i nuovi governanti si sono accorti che ridurre le tasse era una promessa impossibile. Intanto buttavano via 2 miliardi di Ici e cancellavano la ' tracciabilità' dei compensi professionali; messaggio chiaro per chi pensa di risparmiare sulle tasse. Povero Prodi, non aveva calcolato che l' Italia non è l' Inghilterra e che la severità da noi piace poco. Molto meglio un capo di governo che promette mari e monti, truccato come al varietà, che canta con la chitarra in mano e, soprattutto, bada molto ai fatti propri.

Quel censimento etnico di settanta anni fa

di Gad Lerner
da: Repubblica — 05 luglio 2008 pagina 1

Cominciò con un inaspettato censimento etnico, nel mezzo dell' estate di settant' anni fa, la vergognosa storia delle leggi razziali italiane. Alle prefetture fu diramata una circolare, in data 11 agosto 1938, disponendo una «esatta rilevazione degli ebrei residenti nelle provincie del regno», da compiersi «con celerità, precisione e massimo riserbo». La schedatura fu completata in una decina di giorni.
Furono 47.825 gli ebrei censiti sul territorio del regno, di cui 8.713 stranieri (nei confronti dei quali fu immediatamente decretata l' espulsione). Per la verità si trattava di cifre già note al Viminale. «Il censimento quindi fu destinato più a sottomettere che a conoscere, più a dimostrare che a valutare», scrive la storica francese Marie-Anne Matard-Bonucci ne L' Italia fascista e la persecuzione degli ebrei (il Mulino).
Naturalmente, di fronte alle proteste dei malcapitati cittadini fatti oggetto di quella schedature etnica fu risposto che essa non aveva carattere persecutorio, anzi, sarebbe servita a proteggerli.
Nelle diversissime condizioni storiche, politiche e sociali di oggi, torna questo argomento beffardo e peloso: la rilevazione delle impronte ai bambini rom? Ma è una misura disposta nel loro interesse, contro la piaga dello sfruttamento minorile! Si tratta di un artifizio retorico adoperato più volte nella storia da parte dei fautori di misure discriminatorie: «Lo facciamo per il loro bene».
A sostenere la raccolta delle impronte sono gli stessi che inneggiano allo sgombero delle baracche anche là dove si lasciano in mezzo alla strada donne incinte e bambini. Ma che importa, se il popolo è con noi? Lo so che proporre un' analogia fra l' Italia 1938 e l' Italia 2008 non solo è arduo, ma stride con la sensibilità dei più. L' esperienza sollecita a distinguere fra l' innocenza degli ebrei e la colpevolezza dei rom. La percentuale di devianza riscontrabile fra gli zingari non è paragonabile allo stile di vita dei cittadini israeliti, settant' anni fa. Eppure dovrebbero suonare familiari alle nostre orecchie contemporanee certi argomenti escogitati allora dalla propaganda razzista, circa le "tendenze del carattere ebraico". Li elenco così come riportati nel libro già citato: nomadismo e «repulsione congenita dell' idea di Stato»; assenza di scrupoli e avidità; intellettualismo esasperato; grande capacità ad adattarsi per mimetismo; sensualismo e immoralità; concezione tragica della vita e quindi aspirazioni rivoluzionarie, diffidenza, vittimismo, spirito polemico e così via. Guarda caso, per primo veniva sempre il nomadismo. Seguito da quella che Gianfranco Fini, in un impeto lombrosiano, ha stigmatizzato come «non integrabilità» di «certe etnie»; propense - per natura? per cultura? per commercio? - al ratto dei bambini. Il che ci impone di ricordare per l' ennesima volta che negli ultimi vent' anni non è stato mai dimostrato il sequestro di un bambino ad opera degli zingari.
Un' opinione pubblica aizzata a temere i rom più della camorra, si trova così desensibilizzata di fronte al sopruso e all' ingiustizia quando essi si abbattono su una minoranza in cui si registrano percentuali di devianza superiori alla media. Tale è l' abitudine a considerare gli zingari nel loro insieme come popolo criminale, da giustificare ben più che la nomina di "Commissari per l' emergenza nomadi", incaricati del nuovo censimento etnico.
Un giornalista come Magdi Allam è giunto a mostrare stupore per la facilità con cui si è concesso il passaporto italiano a settantamila rom. Ignorando forse che si tratta di comunità residenti nella penisola da oltre cinquecento anni: troppo pochi per concedere loro la cittadinanza? Eppure sono cristiani come lui.
Il censimento etnico del 1938, «destinato più a sottomettere che a conoscere, più a dimostrare che a valutare», come ci ricorda Marie-Anne Matard-Bonucci, in ciò non è molto dissimile dal censimento dei non meglio precisati "campi nomadi" del 2008. In conversazioni private lo confidano gli stessi funzionari prefettizi incaricati di eseguirlo: quasi dappertutto le schedature necessarie erano già state effettuate da tempo. L' iniziativa in corso riveste dunque un carattere dimostrativo. E i responsabili delle forze dell' ordine procedono senza fretta, disobbedendo il più possibile alla richiesta di prendere le impronte digitali anche ai minori non punibili, nella speranza di dilazionare così le misure che in teoria dovrebbero immediatamente conseguirne: evacuazione totale dei campi abusivi e di quelli autorizzati ma fuori norma; espulsione immediata dei nomadi extracomunitari e, dopo un soggiorno di tre mesi, anche dei nomadi comunitari.
Si tratta di promesse elettorali che per essere rispettate implicherebbero un salto di qualità organizzativo e politico difficilmente sostenibile. Dove mandare gli abitanti delle baraccopoli italiane - pochissime delle quali "in regola" - se venissero davvero smantellate tutte in pochi mesi? Chi lo predica può anche ipocritamente menare scandalo per il fatto che tanta povera gente, non tutti rom, non tutti stranieri, vivano fra i topi e l' immondizia. Ma sa benissimo di alludere a una "eliminazione del problema" che in altri tempi storici è sfociata nella deportazione e nello sterminio. Un' insinuazione offensiva, la mia? Lo riconosco. Nessun leader politico italiano si dice favorevole alla "soluzione finale". Ma la deroga governativa al principio universalistico dei diritti di cittadinanza, sostenuta da giornali che esibiscono un linguaggio degno de "La Difesa della razza", aprono un varco all' inciviltà futura. Negli anni scorsi fu purtroppo facile preconizzare la deriva razzista in atto. Per questo sarebbe miope illudersi di posticipare la denuncia, magari nell' attesa che si plachi l' allarmismo e venga ridimensionata la piaga della microcriminalità.
Gli operatori sociali ci spiegano che sarebbe sbagliato manifestare indulgenza nei confronti dell' illegalità e dei comportamenti brutali contro le donne e i bambini, diffusi nelle comunità rom. Ma altrettanto pericoloso sarebbe manifestare indulgenza riguardo alla codificazione di norme palesemente discriminatorie, che incoraggiano l' odio e la guerra fra poveri. Non si può sommare abuso ad abuso di fronte ai maltrattamenti subiti dai bambini rom. Quando i figli degli italiani poveri venivano venduti per fare i mendicanti nelle strade di Londra, l' esule Giuseppe Mazzini si dedicò alla loro istruzione, non a raccogliere le loro impronte digitali. L' ipocrisia di schedarli "per il loro bene" serve solo a rivendicare come prassi sistematica, e non eccezionale, la revoca della patria potestà. Dopo le impronte, è la prossima tappa simbolica della "linea dura". Siccome i rom non sono come noi, l' unico modo di salvare i loro figli è portarglieli via: così si ragiona nel paese che liquida l' "integrazione" come utopia buonista. A proposito del sempre più diffuso impiego dispregiativo della parola "buonismo", vale infine la pena di evocare un' altra reminescenza dell' estate 1938. Chi ebbe il coraggio di criticare le leggi razziali fu allora tacciato di "pietismo". Con questa accusa furono espulsi circa mille tesserati dal Partito nazionale fascista. E allora viva il buonismo, viva il pietismo. - GAD LERNER

mercoledì 2 luglio 2008

immunità parlamentare: la destra nel 93....

Sull' immunità destra in testacoda nel ' 93 fulmini da Fini e Bossi

Repubblica — 28 giugno 2008 pagina 2 sezione: POLITICA INTERNA
ROMA - «Fanatico - sentenziava Churchill - è colui che non può cambiare idea e non intende cambiare argomento».
Ma sull' annosa questione delle immunità per i politici, osservando le piroette di molti degli attuali garantisti, forse persino il primo ministro britannico oggi rinuncerebbe al suo aforisma. Basta tornare indietro alla stagione delle manette, quella su cui si costruirono le fortune della Lega e del Msi. Intanto un dato storico. Se nel 1993 fu abolita l' immunità parlamentare (versione estesa, se si vuole, dell' attuale lodo Schifani) l' ordine non partì dalle "toghe rosse".
A chiedere la cancellazione dello scudo anti-pm, all' indomani del rigetto delle autorizzazioni a procedere per Craxi, furono due mozioni: una firmata da Bossi, Maroni e Castelli, l' altra da Fini, Gasparri e La Russa.
Per l' allora segretario del Msi, che reclamava a gran voce (e con lui Bossi) il voto anticipato, l' immunità parlamentare era «un privilegio medievale, che va abolito». E la protezione per le alte cariche dello Stato? «Se il ministro De Lorenzo - sentenziò Fini - fosse stato un cittadino qualsiasi, oggi sarebbe in galera».
I tre missini nella loro mozione argomentavano quindi che «l' uso dell' immunità» era visto dai cittadini «come uno strumento per sottrarsi al corso necessario della giustizia». Appunto. Altri tempi. Oggi Fini forse non riscriverebbe più quella lettera indignata a Francesco Saverio Borrelli, per protestare contro il no della Camera all' autorizzazione a procedere per Bettino: «Lo sdegno e l' amarezza che pervadono la Nazione di fronte allo scandaloso verdetto di autoassoluzione che il regime si è confezionato sono da noi interamente condivisi». Superando «l' inammissibile scudo dell' immunità parlamentare», aggiungeva Fini, i giudici andavano messi nelle condizioni di «svolgere sino in fondo la loro funzione». (Ansa, 30 aprile 1993).
Non che i leghisti ci andassero più leggeri, anzi. L' ex Guardasigilli Castelli oggi sostiene che occorre andare oltre il Lodo Schifani ed estendere l' immunità a tutti, perché «bisogna occuparsi anche dei poveri ministri, come me, che oggi sono sotto minaccia dell' autorità giudiziaria».
Nel '93 tuttavia il principio non valse per Craxi e gli altri «poveri ministri» della prima Repubblica. Salutando l' abolizione dell' immunità parlamentare, la Lega Nord si augurava che ai pm venisse consentita anche «la possibilità di sostanziare le proprie indagini attraverso quei riscontri ottenibili solamente mediante perquisizioni domiciliari e intercettazioni telefoniche». E quindi, concludeva il comunicato di via Bellerio, «auspichiamo una maggiore decisione nell' abolizione di privilegi che non trovano oggigiorno altra giustificazione se non un corporativo interesse di casta». (Ansa, 29 ottobre 1993). è la dura legge dell' archivio, che ti ripresenta davanti allo specchio un te stesso che non riconosci più e magari non vorresti più vedere. Vale anche per il portavoce di Forza Italia, Daniele Capezzone, che nella precedente vita da leader radicale stigmatizzava il fatto che Berlusconi, invece di appoggiare i referendum sulla giustizia, avesse proceduto con leggi «che molto probabilmente verranno dichiarate incostituzionali». Cosa che, con il lodo Schifani, puntualmente accadde. - FRANCESCO BEI

Il ritorno della lentezza

Il ritorno della lentezza
così la vita ha più gusto
di CARLOTTA MISMETTI CAPUA


Per imparare a vivere con lentezza basta un'ora. Quella in cui ci si sveglia prima per preparare la colazione con calma, e farsi la barba con calma, ascoltando la musica che ci piace, con calma. Ma basta anche un minuto, per vivere con lentezza. Eppure, in un'epoca in cui la massima più famosa del pianeta è "il tempo è denaro" capita, invece, che la frase che sentiamo ripetere più spesso sia "scusa, non ho tempo".

E niente minuti, niente musica, niente lentezza: anzi, una fretta terribile, come quella del coniglio bianco che ad Alice, perduta nel Paese nelle Meraviglie, diceva sempre: "È tardi, è tardi!", e scappava via, col suo orologio da panciotto. Questa idea della lentezza la professa a modo suo Bruno Contigiani, ex manager della Telecom, inventore della giornata mondiale della Lentezza e ora animatore di una serie di piccoli gesti, che sembrano quasi delle azioni eversive, in giro per il mondo, ad insegnare come si fa lentezza. Il suo sito www. vivereconlentezza. it ha centomila contatti al giorno, e centomila persone scrivono cose come "anche io ci provo".

E raccontano come ci provano. Chi si è rimesso a fare il ragù la domenica, chi la sera spegne la televisione a tavola, chi la mattina ai giardinetti sotto casa segue un maestro cinese che insegna l'arte marziale del Tai Chi, chi ha scelto il part-time verticale, chi si è messo a pulire le foglie del suo ficus, e dice: "è stato come pregare". Sul sito ha postato la sua storia anche un barista: "Le persone entrano e dicono solo: caffè. Pensavo che era diventato il mio nome: signor Caffè. Che tristezza" scrive il barista. Che sogna che invece di una parola gliene dicano sei: "Buongiono, Mario. Vorrei un caffè. Grazie". Bruno Contigiani dalle storie arrivate sul sito, e dai suoi giri, ha tratto un libro: "Vivere con lentezza", pubblicato dalla casa editrice Orme.

Nel libro ci sono tanti piccoli consigli, alcuni molto semplici: come dire buongiorno al barista, o andare a casa a piedi per vedere il tramonto. O come evitare di fare due cose insieme, come rispondere al telefono e scrivere una mail. Perché il multi-tasking è nemico della lentezza. E con un secondo di lentezza nella mente, potete invece forwardare una mail che non vi interessa a qualcuno cui interessa. Contigiani spiega e predica cose semplici davvero, ma la semplicità è la virtù dei grandi, come la calma dei forti. Nel libro si racconta anche di quando Bruno Contigiani si è messo ad Union Square, insieme ad un gruppo di suoi ex colleghi intossicati di punti Mille-Miglia, a fermare i newyorkesi.

Proponendo loro di evitare di arrabbiarsi in coda al check-in o in banca, e mettersi invece a parlare con quelli che sono in coda con te. O spiegandogli che la saggezza sta nel rinunciare a 3 giorni di ferie, per leggere un libro sul posto che si sta per visitare (1 giorno), e tenere i due giorni restanti per disfare le valigie, raccontarsi le cose viste, decomprimersi insomma. E a dire le medesime piccole maieutiche cose sono stati anche a San Babila, a Milano, dove Contigiani ci confessa che li hanno ignorati o trattati male più che a New York. Per cui Contigiani ne ha dedotto che, nonostante quel che si dice di NY, sono meno stressati che a Milano. O più curiosi.

Ora, a settembre, va a proporre questi suoi piccoli rimedi omeopatici per rallentare un po', nella più grande metropolitana di Tokyo, dove transitano due milioni di persone al mondo. Che vanno molto di fretta.


(1 luglio 2008) La repubblica