mercoledì 31 marzo 2010

I pagliacci del nucleare

La farsa del nucleare voluto da un governo senza alcuna strategia sul cruciale problema energetico.

Immaginerò di essere un inviato francese in Italia per le elezioni regionali. Il fatto è che durante una sua trasferta in Francia, qualche tempo fa, Berlusconi fece delle spese. Comprò delle piccole sculture in bronzo, dei cosmetici, se non sbaglio, e quattro centrali nucleari.

In Italia sarebbe stato macchinoso, e per di più c’era stato il referendum del 1987, e l’80 per cento di No. Poi perfezionò quel suo acquisto privato firmando a Roma un contratto con Sarkozy. In Italia l’ostilità di principio al nucleare era naturalmente diminuita rispetto ai giorni di Chernobyl, ma le obiezioni di merito erano caso mai rincarate. Una spesa colossale – caricata, chiacchiere a parte, sul denaro pubblico; tempi lunghissimi per una quota molto bassa – chiacchiere a parte, il 4,5% dei consumi finali di energia; militarizzazione dei siti e pacchia di ecomafie; preoccupazioni insuperate sulla sicurezza e soprattutto la certezza di non sapere che cosa fare delle scorie, comprese quelle del nucleare già dismesso.

Una spesa simile sarebbe andata a scapito delle energie rinnovabili. Ma un’obiezione di fatto soverchiava le altre: dove sarebbero state piazzate le centrali? Potete scommettere che neanche l´amministratore delegato dell’Enel – cioè la persona più affezionata al balzo in Borsa garantito dal programma nucleare – accetterebbe una centrale nel proprio giardino, nemmeno sotto tortura. Infatti, in una trasmissione televisiva del dicembre scorso, l’amministratore delegato, che dev’essere un umorista e un tecnico della trasparenza, dichiarò di sapere dove sarebbero state situate le centrali, ma non lo avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura. La tortura da noi non esiste, non ai piani alti, e così il governo tacque a sua volta sul sito delle centrali a venire. In verità, per fare le cose in regola, votò in agosto una legge che rinviava di sei mesi la comunicazione dei siti designati: solo che i sei mesi scadevano alla fine di febbraio, e le elezioni regionali, mannaggia, erano alla fine di marzo. Dunque: acqua in bocca.

Nel frattempo, come succede per i nostri segreti di Pulcinella, l’elenco dei siti era stato reso pubblico da fonti benemerite. Bene: l’inviato francese che deve riferire in patria dello stato dell’affare ha preso nota. Una centrale a Chioggia? «Sì al nucleare, ma niente centrali in Veneto», ha proclamato il candidato Zaia. A Fossano e Trino? «Il nucleare è la soluzione –ha detto il leghista Cota – ma mai in Piemonte». Formigoni ha chiarito di essere per il nucleare, ma non in Lombardia, e «non in questo momento». Magari a Palma di Montechiaro, in Sicilia? «Ci batteremo a costo di barricarci per impedirlo», ha avvisato Lombardo. A Oristano? «In Sardegna non c’è posto per le centrali», ha tagliato corto il governatore Pdl Cappellacci. Latina, Montalto? «Nel Lazio non ce n’è bisogno», ha assicurato la Polverini. Forse a Mola di Bari, Nardò, Manduria? «Sono favorevole al ritorno al nucleare», ha detto il candidato Pdl Palese. Ah, ecco. «Però non in Puglia!» Ah, appunto. L’abruzzese Chiodi è stato laconico: «Sono favorevole, ma non in Abruzzo». Ci mancherebbe altro. Non cito i governatori e i candidati del centrosinistra perché grazie al cielo non uno di loro è favorevole al ritorno al nucleare. Che cosa scriverà dunque l’inviato francese? Il quale peraltro non avrà mancato lo spettacolo del coro dei candidati in piazza San Giovanni, nel quale si giurava fedeltà al patto di governo, che contiene il ritorno al nucleare. Potrebbe pensare allora che governatori e candidati tirano l’acqua al proprio mulino, ma Berlusconi tiene dritta la barra.

Ma ecco che Berlusconi, passando dalla Puglia, ha detto anche lui che il nucleare è bello, ma in Puglia no, e l´avrebbe detto in qualunque regione si fosse trovato a passare, così come è pronto a dire in Israele il contrario di quello che dirà a Ramallah fra mezz’ora, e Dio non voglia che passi da Teheran. In un tale imbarazzo, e volendo magari andare incontro alle aspettative dell’Edf, che ha venduto a Berlusconi le centrali in cambio della fontana di Trevi, l’inviato francese potrà riferire enigmaticamente che l’Italia è pronta per il nucleare, con l’eccezione delle sue regioni. Guardate che ci siamo arrivati davvero, visto che si è proposto di costruire le centrali nucleari italiane in Albania.

Questa incredibile pagliacciata avrebbe meritato di coprire ed esaurire un’intera campagna elettorale. Neanche tanto sul sì o il no al nucleare, quanto sui farseschi sotterfugi di una politica che compra le centrali come fossero popcorn, le tiene chiuse nel sacchetto, e poi si ingegna a farle ingoiare ai cittadini, a partire da lunedì pomeriggio. In tutto l’Occidente sono in costruzione due soli impianti nucleari, uno in Francia e uno in Finlandia, con la tecnologia francese scelta dall’Enel e dal governo italiano. L’impianto finlandese avrebbe dovuto essere consegnato un anno fa, si parla ora del 2012 e i costi sono già aumentati del 60 per cento. I sistemi di questi impianti sono stati messi in mora dalle agenzie per la sicurezza nucleare francese, britannica e finlandese.

Nel 2008 per la prima volta gli investimenti privati negli impianti di energia rinnovabile nel mondo hanno superato quelli per tecnologie a combustibili fossili. Da noi, Verdi, Democratici, Radicali, Sinistra, hanno elaborato programmi importanti, e valorizzato le esperienze di riconversione ecologica dell’economia italiana e di conversione dei consumi e delle aspirazioni. «Con la sua piccola e media impresa, con il patrimonio storico di saperi e di tradizioni artigianali, con la varietà produttiva mai completamente domata dagli imperativi della grande industria, il nostro è un Paese d’elezione della green economy». Ma il governo italiano è l’unico che non si sia proposto di affrontare la crisi puntando sull´economia verde. Ermete Realacci, responsabile per il Pd della green-economy, cita la sentenza di Berlusconi all´inizio della crisi: «Occuparsi di ambiente in un momento di crisi è come fare la messa in piega quando si ha la polmonite». Ognuno parla di quello che sa: economia di parrucchieri.

domenica 28 marzo 2010

parlare in treno

tempo fa ho lanciato una campagna contro i cellulari in treno.
Oggi riporto un articolo da "la repubblica delle donne"

PARLARE IN TRENO
Sbalorditivo.. . . Una signora inizia a raccontare, E i cellulari tacciono.


E corre corre corre la locomotiva del Freccia Rossa Roma-Milano che risale la Penisola con la sua caratteristica mezz'oretta di ritardo.
I passeggeri hanno estratto libri e giornali, acceso portatili, telefonini e iPod, e all'altezza di Sette-bagni sono già lì che telefonano, chattano e mandano sms rendendo lampante una verità incontrovertibile: saremo irreperibili solo da morti.
Nel vagone il vociare è insìstente, ma manca qualcosa, qualcosa è scomparso, ed è difficile capire cos'è. Poi, improvvisa, arriva l'illuminazione. Sono tutte parole nel vuoto. Sono tutti discorsi a una voce. Mi alzo, percorro vagoni, attraverso carrozze tra due catene ininterrotte di posti, e nessuno ancora ha iniziato a parlare con il passeggero di fronte. E pensare che siamo già a Orvieto.
Chi in treno attacca bottone sfrutta l'impossibilità di fuga dell'altro. Rimane vero, però, che il declino della chiacchiera è il segno di una trasformazione profonda. Come lumache trasportiamo il mondo sulla schiena, alimentando al telefono i cordoni ombelicali che ci legano a mogli, amanti, amici e colleghi. Comunichiamo ininterrottamente, ma soltanto con la porzione di umanità che già conosciamo.
Le nuove tecnologie rimpiccioliscono il mondo perché lo restringono al gruppo e rendono l'esistenza degli altri un concetto astratto ed evanescente.
Il treno transita dalle parti di Sinalunga, e io passo in rassegna i compagni di viaggio, pensando che ormai soltanto gli anziani hanno voglia di attaccare discorso, quando al di là del corridoio una signora sui settant'anni chiude il numero di Chi, alza la testa cotonata e interpella il vicino: «lo sono di Roma, e lei da dove viene?». «Da Lodi, signora». «E quanti abitanti fa Lodi?».
In pochi minuti la conversazione tracima, coinvolgendo un pubblico sempre più vasto.
Valichiamo l'Appennino, e la signora annuncia che il parco di Villa Borghese sorge su un'area di novanta ettari e che i sotterranei della capitale sono visitabili, superiamo Bologna e racconta di quella sera in cui ha costretto l'ex governatore della Regione Lazio Piero Marrazzo a raccogliere la cacca del
cane, dalle parti di Piacenza rivela che i frati fanno voto di castità, mentre i preti di celibato - «qualcuno sa dirmi la differenza?», a Lodi spiega che il papà telefonista «fu assunto in Vaticano nel 1928 perché quell'anno furono inaugurate le prime linee telefoniche», perciò «non fu richiamato in guerra», anzi, era tra i pochi che avevano da mangiare, «anche il pane bianco», così lui lo portava alle donne con i mariti al fronte e in cambio..., ride, «mia mamma l'ha scoperto solo da vedova quanto era birichino».
Quando il convoglio fa il suo ingresso nella stazione Centrale di Milano, ascoltano tutti, anche quelli seduti dì dietro e davanti.
E nessuno ha più toccato il telefono. O, se trilla, mette giù in fretta. Siamo tutti un po' sorpresi che l'umanità sia un posto più grande della rubrica del telefonino o dei contatti su Facebook.
«Signora Rita, ma lei lo sa che parla tantissimo?». «Sì, ma cosa vuole, in fondo, siamo tutti sullo stesso treno».
Le parole sono il primo spazio pubblico e scambiarle è il primo modo di preservarlo. Durante la dittatura cilena, quando anche i muri avevano orecchi, il cantautore Arturo Ixtebarrìa diceva: «Prima delle leggi, prima della stampa, la democrazia è la parola che puoi scambiare con uno sconosciuto».
Si racconta che Ixtebarrìa fu arrestato e fatto sparire dalla polizia politica il giorno in cui si presentò a un comizio del generale Pinochet con le labbra cucite con ago e filo in segno di protesta.

Cose che non vanno più di moda di GIACOMO PAPI
La repubblica delle Donne, 20 MARZO 2010

ricette di cucina

C'è chi di notte non riesce a dormire ed apre il frigo.
Io invece ho pensato di fare un giro nei siti di ricette...in attesa della colazione.
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www.mangiarebene.com

curato da Marina Malvezzi. C’è anche una sezione per celiaci (vedi “salute benessere”)

www.cavolettodibruxelles.it a cura di Sigrid Verbert, cuoca e fotografa, si definisce “blog neo femminista e indignato”.
E’ un ricettario di viaggio, spesso è scritto anche in francese e inglese.

www.untoccodizenzero.it a cura della torinese Sandra Salerno. Molto raffinato, porzioni omeopatiche…

www.lacuocapetulante.blogspot.com a cura di Chiara quaglia, sono ricette di cucina macrobiotica (dice che non è noiosa o cibo per pennuti…). C’è anche una ricca sezione di link, per continuare a navigare

www.lacucinaitaliana.it
classico sito della rivista che compie 80 anni, ci sono anche le ricette filmate.
Per accedere bisogna registrarsi.

in caso di avvelenamento....

tratto da un vecchio numero de "il salvagente":

• Portare con sé quando si telefona al Centro antiveleni o quando si va al pronto soccorso con un intossicato la confezione del prodotto che ha presumibilmente provocato l'incidente: solo così il medico può individuare la sostanza tossica e la terapia più adatta e la necessità o meno di praticare una lavanda gastrica.
• Evitare terapie casalinghe senza aver sentito un medico. In caso di impossibilità a contattarlo immediatamente ricordare:
bere latte in caso di ingestione di acido muriatico solforico e cloridrico, candeggina, preparati a base di acido ossalico per pulire marmi, metalli o macchie di ruggine (in questi casi non provocare vomito, né fare lavanda gastrica), detersivi, disinfettanti, detergenti contenuti in insetticidi e topicidi o in preparati antiruggine.
• Somministrare olio di oliva o di vasellina: in casi di ingestione di petroli e derivati (combustibili, solventi, liquidi per medici); ammoniaca (dopo aver bevuto succo di arancia o di limone); creolina e derivati del fenolo (creasolo, creasoto, lisolo).
• Provocare il vomito: in caso di ingestione di acetone, acido borico, detersivi vari, insetticidi; cosmetici a base di tallio (creme depilatorie o deodoranti), polveri insetticide e ratticide, antiparassitari, organofosforici.
• Lavare accuratamente l'intossicato ma evitare di sporcarsi in caso di intossicazione da: antiparassitari e insetticidi a base di esteri fosforici (fitofos, fosfox, paration, pestox, tetrafid ecc.); ammoniaca; fosfati (fosforo giallo dei prodotti di derattizzazione, fosforo rosso delle capocchie dei fiammiferi).


I centri antiveleni (attenzione: verificare il numero di telefono)
Bologna: Ospedale Maggiore - Pronto soccorso
Tel. 051/333333 - int. 1123
Catania: Ospedale Garibaldi
Centro Rianimazione Tel. 095/325686
Cesena: Ospedale civile - Centro Antiveleni Tel. 0547/352612
Chieti: Ospedale S. Annunziata
Centro Rianimazione Tel. 0871/65291
Genova: Ospedale San Martino Tel. 010/352808
La Spezia: Ospedale Civile - Centro Antiveleni Tel. 0187/533296
Milano: Ospedale Maggiore Tel. 02/6428556
Napoli: Istituto Farmacologia 1a Facoltà di Medicina
Tel. 081/216683
Ospedali Riuniti Tel. 061/462601
Roma: Policlinico Umberto I
Università degli Studi Tel. 06/490663
Policlinico Gemelli - Università cattolica Tel. 06/335656
Torino: Ospedale Molinette Tel. 011/637637
Nota: tutti questi centri sono in funzione 24 ore su 24

sabato 27 marzo 2010

coda - Centro Operativo per la Difesa dell'Ambiente


Il C.O.D.A. Onlus
Centro Operativo per la Difesa dell'Ambiente

Picture
Il CODA è un gruppo volontario nato nel 1978 con la finalità del recupero e salvaguardia delle colline dell'Oltremella. Componente della Protezione Civile Provinciale e Regionale si è occupato della tracciatura dei sentieri del Parco delle Colline e della loro manutenzione stagionale.

Ha partecipato allo spegnimento di decine di incendi boschivi ed ha organizzato corsi di formazione per operatori volontari antincendio in sei Comuni della Provincia di Brescia.

Promuove iniziative atte a suscitare interesse per la conoscenza naturalistica e storica del territorio collinare e stimolarne la fruizione pubblica. A tal fine ha organizzato, nel 2002, un corso per aspiranti guide-accompagnatori nel Parco delle Colline, qualificando 15 partecipanti.

Collabora fattivamente con il Settore Parco delle Colline delle Cave e Sicurezza Ambienti, proponendo interventi migliorativi per la cura e la manutenzione del territorio boschivo.

Nel 1981 e nel 2004 è stato conferito dalla Civica Amministrazione un riconoscimento, nell'ambito del Premio Bulloni, per evidenziare l'impegno dell'Associazione a favore della Comunità bresciana.

vedi il sito: www.codaonlus.org/



puoi dare anche il 5 per mille

venerdì 26 marzo 2010

Nucleare, un mito basato su troppe bugie

Non è in espansione nel mondo. Non ci garantisce l'indipendenza energetica.
Non è un efficace strumento nella battaglia contro i gas serra.

di Vincenzo Balzani
Le argomentazioni portate a favore del ritorno dell'Italia al nucleare a prima vista possono apparire fondate, ma in realtà sono facilmente confutabili sulla base di dati ampiamente disponibili nella letteratura scientifica ed economica internazionale.

Innanzitutto: il nucleare produce soltanto energia elettrica.
La potenza elettrica installata in Italia (97 GW) è già oggi molto superiore alle esigenze del Paese (57 GW è il picco dei consumi, per poche ore all'anno), come certificato dall'Autorità per l'energia elettrica ed il gas?.Quindi, anche a causa della forte caduta dei consumi (-6,3% nel 2009), non si vede proprio la necessità di costruire centrali nucleari.
Vediamo poi le altre affermazioni dei sostenitori del nucleare. E gli argomenti che le smentiscono.

L'energia nucleare è in forte espansione in tutto il mondo?
È un'informazione smentita dai fatti. Da vent'anni il numero di centrali nel mondo è di circa 440 unità e nei prossimi anni le centrali nucleari che saranno spente per ragioni tecniche od economiche sono in numero maggiore di quelle che entreranno in funzione.
In Europa la potenza elettrica delle centrali nucleari è scesa dal 24% nel 1995 al 16% nel 2008. L'energia elettrica prodotta col nucleare nel mondo è diminuita di 60 TWh dal 2006 al 2008. Il nucleare quindi è in declino, semplicemente perché non è economicamente conveniente in un regime di libero mercato. Se lo Stato non si fa carico dei costi nascosti del nucleare (sistemazione delle scorie, dismissione degli impianti, assicurazioni) oppure non garantisce ai produttori consumi e prezzi alti, nessuna impresa privata è disposta ainvestire in progetti che presentano rischi finanziari di varia natura, a cominciare dalla incertezza sui tempi di realizzazione.
Infatti, si costruiscono nuove centrali principalmente nei Paesi ad economia pianificata come Cina, Russia ed India, dove lo Stato si accolla gran parte dei costi. Negli Stati Uniti, dove non si costruiscono centrali nucleari dal 1978, il presidente Obama, nel suo discorso di insediamento, ha detto: «Utilizzeremo l'energia del sole, del vento e della terra per alimentare le nostre automobili e per far funzionare le nostre industrie». La recente decisione del governo americano di offrire 8,3 miliardi di dollari come prestito garantito ad un'impresa che intenderebbe costruire due reattori nucleari non modifica sostanzialmente la situazione. Obama è evidentemente pressato dalla fortissima lobby nucleare americana, capeggiata dalla Westinghouse che, volendo vendere all'estero i suoi reattori, deve costruirne almeno qualcuno in casa. La Commissione di sicurezza ha riscontrato difetti nei progetti della Westinghouse e non ha dato il suo benestare alla costruzione dei reattori, mentre l'Ufficio del bilancio del Congresso ha mostrato preoccupazione perché c'è un'alta probabilità che il progetto fallisca e vadano così perduti gli 8,3 miliardi di dollari dei contribuenti.
Lo sviluppo dell'energia nucleare è un passo verso l'indipendenza energetica del nostro Paese?
Ma l'Italia non ha uranio. Quindi, nella misura in cui il settore elettrico si volesse liberare dalla dipendenza dei combustibili fossili utilizzando energia nucleare, finirebbe per entrare in un'altra dipendenza, quella dall'uranio, anch'esso da importare e anch'esso in via di esaurimento.
Con l'uso dell'energia nucleare si salva il clima perchè non si producono gas serra?
In realtà le centrali nucleari, per essere costruite, alimentate con uranio, liberate dalle scorie che producono e, infine, smantellate, richiedono un forte investimento energetico, in gran parte basato sui combustibili fossili. In ogni caso, le centrali nucleari non entreranno in funzione prima del 2020 e quindi non potranno contribuire a farci rispettare i parametri dettati dall'Unione Europea (riduzione della produzione di C02 del 17% per il 2020)...' (1, continua)
da: Panda, WWF, marzo 2010

VUOI UN FUTURO NUCLEARE? LO DECIDI TU ALLE ELEZIONI REGIONALI!


Il momento di scegliere il futuro della tua Regione è arrivato. Domenica 28 e lunedì 29 ci saranno le elezioni regionali. Se non vuoi ritrovarti con una centrale sotto casa, è importante votare tenendo in considerazione la posizione sul nucleare dei differenti candidati. Bisogna stare attenti ai candidati nucleari, quelli che appoggiano o non si sono opposti con chiarezza ai piani nucleari del governo.

Contro un Governo che vuole imporre il nucleare, le Regioni e i loro futuri governatori avranno, infatti, un ruolo determinante. "Forza Regioni contro il nucleare" è il messaggio che questa mattina i nostri attivisti hanno aperto sulla facciata dell’edificio della Regione Puglia, mentre dalla Rainbow Warrior sono partiti due gommoni con lo striscione “Nuclear Emergency”.

Abbiamo scelto simbolicamente la Puglia perché - rifiutando il nucleare con una legge regionale - ha dimostrato di avere una visione illuminata del suo futuro energetico. Tutte le Regioni devono seguire questo percorso.

Nei giorni scorsi sono state consegnate le 75.000 firme contro il nucleare. Ci restano poche ore soltanto per aumentare la nostra pressione. Firma anche tu il nostro appello sul sito www.nuclearlifestyle.it. Informa amici e parenti sui candidati nucleari! Perché queste elezioni regionali rischiano davvero di cambiare il nostro stile di vita!

Continua a seguirci e a presto!

Andrea Lepore
Responsabile Campagna Nucleare Greenpeace Italia

quei sardi a Itri così simili agli immigrati di Rosarno

lettera a Michele Serra, il venerdi di repubblica, 26 marzo 2010

CARO SERRA, nel 1911 circa 500 uomini provenienti dalla Sardegna accettarono di andare a Itri, cittadina tra Formia e Gaeta, a costruire la ferrovia Roma-Napoli, struttali e sottopagati. Vivevano in baracche o all'aperto, malvisti dagli italiani «puri».
Il responsabile della cancelleria sabauda, Joseph De Maistre, aveva scritto: «I Sardi sono più selvaggi dei selvaggi, razza refrattaria a tutti i sentimenti, a tutti i gusti e a tutti i talenti che onorano l'umanità».
La camorra chiese il pizzo anche dallo sfruttamento dei sardi, ma non aveva fatto i conti con la loro dignità.
Non incassò neppure un soldo da questi operai che accettavano condizioni di lavoro durissime ma non cedevano alla malavita, al contrario degli abitanti di Itri che pagavano regolarmente il pizzo alla criminalità.
La camorra alimentò l'odio contro gli isolani e fu la tragedia: alcune centinaia di itriani si scagliarono armati contro questi lavoratori «diversi» e li assalirono al grido di «morte ai sardignoli».
Ammazzarono una decina di operai e più di 60 furono i feriti che, con i sopravvissuti, furono arrestati e rispediti in Sardegna. Per la stampa dell'epoca gli assassini ammazzarono per «legittima difesa dalla folla di operai sardi».
Paolo Salina IBosa (Oristano)

caccia: sparare dagli autoveicoli

Nel marasma delle tante proposte di "deregulation" della caccia (argomento oggi alla ribalta, col dibattito
imminente alla Camera dei Deputati sulla possibilità per le Regioni di dilatare
la stagione venatoria) era sinora sfuggita una perla.
Due parlamentari chiedono di depenalizzare il reato effettuato
sparando da autoveicoli. Si tratta del reato previsto dall’art. 30, primo
comma-lettera i) della legge 157/92, che prevede il tribunale penale per
questa forma di bracconaggio e la punisce con l’arresto fino a tre mesi o
l’ammenda penale sino a 2065 euro,
con sospensione della licenza per un periodo da 1 a tre anni.
Un senatore del PDL, Valerio Carrara, e un deputato IDV , Gabriele Cimadoro
hanno prodotto una singolare convergenza bipartizan: entrambi i
parlamentari bergamaschi chiedono
di trasformare la pena prevista per chi, magari di notte e con l’uso di fari,
prende a fucilate cervi o caprioli sparando da bordo della propria vettura
su strada, con rischio per la pubblica incolumità.
Non più reato penale ma infrazione amministrativa, da saldare con un
versamento all’ufficio postale.
La proposta di legge del sen. del PDL Valerio Carrara (anche lui eletto nel
bergamasco) prevede all’art. 33 di depenalizzare lo sparo da autoveicoli
o aeromobili (sic !), così come i reati di caccia di frodo in parchi e giardini
urbani o nei terreni adibiti ad attività sportive.
Per le fucilate dal finestrino Carrara propone una sanzione amministrativa
da 600 a 1000 euro, ovvero 333 euro visto che nel nostro ordinamento
la sanzione pagata entro 60 giorni è pari ad un terzo del massimo.

da: http://www.abolizionecaccia.it

Capito cosa intendeva Viviana Beccalossi quando nell'intervista televisiva di un paio di giorni fa a teletutto, dedicata ai cacciatori invitati a votare per il pdl, quando proponeva le depenalizzazioni per reati venatori?

mercoledì 24 marzo 2010

i contenitori per differenziare

Nelle scuole, doverosamente, si fanno corsi per insegnare come fare la raccolta differenziata.
Peccato che nella repubblica delle banane votata al cosiddetto "federalismo" ognuno fa quello che gli pare....vedi articolo a:
http://canali.kataweb.it/kataweb-consumi/cassonetti-multicolor-a-ciascuno-il-suo/?ref=rephpsp2

Che si debba partire da qui per mettere d'accordo gli italiani? mah!

greg

martedì 23 marzo 2010

Celibato - perché entra in crisi il vincolo dei sacerdoti



di Vito Mancuso in “la Repubblica” del 18 marzo 2010
«Non è bene che l'uomo sia solo», dice Dio di fronte al primo uomo. Per rimediare crea gli animali, ma l'uomo non è soddisfatto. Allora gli toglie una costola, plasma la donna e gliela presenta. A questo punto l'uomo non ha più dubbi: «Questa è osso delle mie ossa e carne della mia carne.
La si chiamerà išà (donna) perché da iš (uomo) è stata tolta». Una voce fuori campo commenta: «Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola» (Genesi 2,23-24).
Questa scena mitica, mai avvenuta in un punto preciso del tempo perché avviene ogni giorno, insegna che la relazione uomo-donna è scritta dentro di noi e che, ben prima dei genitali, riguarda la carne e le ossa.
La Sacra Scrittura esprime così nel modo più intenso che noi siamo relazione in cerca di relazione, che viviamo con l'obiettivo di formare "una carne sola" e di compiere l'uomo perfetto, quello pensato da subito nella mente divina come maschio+femmina, secondo quanto insegna Genesi 1,27: «Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò».
La vera immagine di Dio, che è comunione d'amore personale, non è né il monaco né il prete celibe e neppure il papa, ma è la coppia umana che vive di un amore reciproco così intenso da essere "una carne sola". Per questo, secondo un detto rabbinico, «il celibe diminuisce l'immagine di Dio». Lo stesso si deve dire della paternità e della maternità. Se Dio è padre che eternamente genera il Figlio e che temporalmente genera gli uomini come figli nel Figlio, la sua immagine più completa sulla terra sono gli uomini e le donne che a loro volta generano figli e spendono una vita di lavoro per farli crescere. Per questo la Bibbia ebraica considera la scelta celibataria di non avere figli qualcosa di innaturale che trasgredisce il primo comando dato agli uomini cioè "crescete e moltiplicatevi".
Naturalmente tutti sanno che Gesù era celibe, e così anche san Paolo. Ma mentre Gesù conservava una visione positiva del matrimonio, san Paolo giunge a ribaltare quanto dichiarato da Dio al principio dei tempi («non è bene che l'uomo sia solo») scrivendo al contrario che «è cosa buona per l'uomo non toccare donna» (1Cor 7,1). Per lui il matrimonio è spiritualmente giustificabile solo «a motivo dei casi di immoralità», nulla più cioè che un remedium concupiscentiae per i deboli di spirito che non sanno controllare le passioni della carne. L'apostolo non poteva essere più esplicito: «Se non sanno dominarsi, si sposino: è meglio sposarsi che ardere» (1Cor 7,9).
Da qui sorge la visione che domina la tradizione occidentale che assegna una schiacciante superiorità morale e spirituale al celibato e solo un valore secondario al matrimonio. Da qui la chiesa latina del secondo millennio sarà portata a legare obbligatoriamente il sacerdozio alla condizione celibataria.
Ma su che cosa si fondava l'idea di Paolo? Qualcuno parla di sessuofobia, ma a mio avviso il motivo è un altro e si chiama escatologia: ovvero la sua ferma convinzione che «il tempo ormai si è fatto breve» (1Cor 7,29), che «passa la scena di questo mondo» (1Cor 7,31), che quanto prima cioè giungerà la fine del mondo con il ritorno di Cristo.
La Prima Corinzi, lo scritto decisivo in ordine alla fondazione del celibato ecclesiastico, è dominata dall'attesa dell'imminente parusia (vedi 15,51- 53): se Cristo tornerà a momenti, «al suono dell'ultima tromba», a che serve sposarsi e mettere al mondo figli? Il mancato ritorno di Cristo al suono dell'ultima tromba ha portato naturalmente a moderare l'impostazione già nelle lettere deuteropaoline, tra cui in particolare quella agli Efesini i cui passi si leggono spesso durante le cerimonie nuziali, ma questo avrà solo l'effetto di giustificare il matrimonio in quanto sacramento, non di ritenerlo spiritualmente degno almeno quanto il celibato. Anzi, la tradizione ascetica e mistica dei padri della chiesa e della scolastica è unanime nell'affermare la superiorità indiscussa del celibato rispetto al matrimonio.
Tommaso d'Aquino la sintetizza col dire che «indubitabilmente la verginità deve essere preferita alla vita coniugale» (Summa theologiae II-II, q. 152, a. 4), e il decreto del Concilio di Trento del 1563 arriva persino a scomunicare chi osi dire che «non è cosa migliore e più felice rimanere nella verginità e nel celibato che unirsi in matrimonio» (DH 1810). Una scomunica che, a ben vedere, colpisce lo stesso Dio Padre per quella sua frase imprudente all'inizio della Bibbia!
Oggi assistiamo alla fine abbastanza ingloriosa del modello di vita sacerdotale sancito dal Concilio di Trento, e in genere portato avanti nel secondo millennio cristiano, con il legare obbligatoriamente alla vita sacerdotale la scelta celibataria. I crimini legati al clero pedofilo (che la gerarchia conosceva e copriva per anni) stanno scavando la fossa, anzi hanno già scavato la fossa, alla falsa idea della superiorità morale e spirituale del celibato. Naturalmente non intendo per nulla cadere nell'eccesso opposto di chi ritiene la vita celibataria alienante e disumana a priori. Conosco preti celibi straordinari, modelli integerrimi di vita serena, pura, felicemente realizzata.
Voglio piuttosto esprimere la mia ferma convinzione che ciò che conta per un uomo di Dio (perché nulla di meno il prete è chiamato a essere) sia avere l'anima piena della luce e della gioia del vangelo, e che a questo scopo la condizione migliore sarà per uno vivere nel celibato e per un altro metter su famiglia, a seconda del temperamento e dell'attitudine personali. Il che è esattamente quello che avveniva tra gli apostoli, come ci fa sapere san Paolo quando scrive che, a differenza di lui, «gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa» vivevano con una donna (1Cor 9,5).
I capi della Chiesa non avevano ancora dimenticato che «non è bene che l'uomo sia solo».

Vito mancuso, repubblica 18 marzo 2010-03-23

Se un maestro Abreu ci fosse anche in Italia

Una esperienza come quella del maestro Antonio Àbreu in Venezuela (un'orchestra per ogni città) non farebbe altro che bene in Italia. Non crediamo che l'educazione musicale sia solo un vivaio di possibili star della musica, ma faccia parte dell'esperienza formativa della persona e non dovrebbe essere solo finalizzata a creare musicisti di professione .

Come del resto non si insegna l'italiano per creare poeti o arte per creare artisti. In Europa le persone "educate" musicalmente sono in numero ben maggiore che in Italia (Austria, Germania, Francia, Olanda, Regno unito e Spagna). In Italia basterebbe far insegnare i docenti dei conservatori 3 giorni alla settimana invece che 2 e avremmo il 50% di potenzialità di insegnamento in più. Tutta la musica, non solo quella definita "classica" o peggio ancora "colta". Molti giovani a 25 anni non sono mai stati ad un concerto dal vivo e credono che la musica sia quella dei cd, un surrogato dell'esperienza musicale diretta.

A. Grazzi e A. Bernardini
Musicisti, Roma
lettera ad Augias, Repubblica del 8 marzo 2010

L'arte di strisciare

Scriveva un grande filosofo e politico del Settecento che il dispotismo di un uomo solo esiste soltanto nell'immaginazione degli ingenui.
Il dispotismo ha bisogno di un certo numero di persone che siano per libera volontà o costrizione disposti a mettersi al servizio completo, giorno e notte, anima e corpo, del despota. Senza di che non ci può essere dispotismo alcuno.

E' normale che in una democrazia il capo del governo ordini ad un'autorità di garanzia la chiusura preventiva di programmi tv? E possibile che tratti come un suo dipendente il direttore generale dei servizio pubblico radiotelevisivo? E accettabile che un presidente del Consiglio - invece di governare - spenda così tanto tempo al telefono con l'unico obbiettivo di far tacere le poche voci dissenzienti che ancora vanno in onda in un circuito mediatico addomesticato?

NESSUNO degli interessati, ovviamente, risponderà né chiederà scusa per i suoi comportamenti.

Scriveva un grande filosofo e politico del Settecento che il dispotismo di un uomo solo esiste soltanto nell'immaginazione degli ingenui.
Il dispotismo ha bisogno di un certo numero di persone che siano per libera volontà o costrizione disposti a mettersi al servizio completo, giorno e notte, anima e corpo, del despota. Senza di che non ci può essere dispotismo alcuno.
Le vicende di questi giorni, quelle che mostrano l'uso padronale che il presidente del Consiglio fa di tutte le nostre istituzioni e di tutti gli strumenti a cui può avere accesso è una dimostrazione da manuale di questa verità sulla natura del potere dispotico. E ci impone di guardare oltre l'atteggiamento padronale di chi siede a Palazzo Chigi per prestare attenzione a quella classe di persone che stanno al suo fianco e lavorano alacremente con tutti i mezzi a e a tutte le ore per attuare i suoi piani.

A leggere le intercettazioni di questi giorni si resta allibiti dalla mancanza totale di dignità di uomini che, adulti e spesso anziani, si fanno come bambini o servitori per accontentare i desideri del capo: dicono sempre si e temono di essere redarguiti. Eppure, questi signori, onorevoli, ministri, avvocati, e anche magistrati, dirigenti, questi signori pretendono dal cittadini giustamente, dato il loro ruolo pubblico rispetto e dignità.
E quindi la loro condizione è negativa sotto tutti gli aspetti: verso se stessi e verso le istituzioni che rappresentano. Verso se stessi prima di tutto, poiché è deprimente e moralmente avvilente una vita spesa dall'ora della colazione all'ora di cena a rispondere alle esigenze del potente protettore: certo, ci sono vantaggi di status e materiali in cambio, eppure è improbabile che almeno una volta questi vantaggi non siano apparsi come insufficienti a colmare la fatica psicologica di essere sempre al servizio. Ma la loro condizione è ancora più negativa per le istituzioni che rappresentano, istituzioni che erano prima di loro e vivranno dopo di loro (su questo occorre essere sicuri e convinti) e che il loro atteggiamento servile umilia e infanga.

Un altro grande filosofo francese, il Barone d'olbach scrisse tra le altre cose un saggio impareggiabile, pubblicato postumo, sull'arte di strisciare. Ecco che cosa scriveva: I filosofi, che spesso sono di cattivo umore, considerano in verità il mestiere del cortigiano come vile, infame, pari a quello di un avvelenatore.
I popoli ingrati non percepiscono la reale portata degli obblighi propri di questi uomini generosi che, pur di garantire il buonumore dei Sovrano, si votano alla noia, si sacrificano per i suoi capricci, immolano in suo nome onore, onestà, amor proprio, pudore e rimorsi; ma come fanno quegli ottusi a non rendersi conto del costo di tanti sacrifici? Non pensano al prezzo da pagare per essere un buon cortigiano? Qualunque sia la forzad'animo di cui si è dotati, per quanto la coscienza possa esserci corazzata con l'abitudine a disprezzare la virtù e calpestare l'onestà, per gli uomini ordinari resta comunque penoso soffocare nel cuore il grido della ragione. Soltanto il cortigiano riesce a tacitare questa voce inopportuna; lui solo è capace di un così nobile sforzo .

A noi che subiamo ancora il fascino della Rivoluzione francese per aver spazzato via (o averci provato) cortigiani e cicisbei, le parole del Barone d'olbach commuovono poiché siamo egualitari, attribuiamo grande valore agli individui e vorremmo che tutti potessero vivere a schiena diritta, fieri della loro personale dignità. Non perché siamo moralisti ma perché teniamo moltissimo alla nostra personale dignità che le istituzioni democratiche ci garantiscono. Difendere la dignità di queste istituzioni - e quindi la nostra personale - significa prendere le distanze da tutti coloro che praticano l'arte di strisciare.

di Urbinati Nadia Repubblica di giovedì 18 marzo 2010, pagina 1

lunedì 22 marzo 2010

JACKSON BROWNE AL 13° ACOUSTIC GUITAR MEETING DI SARZANA

JACKSON BROWNE AL 13° ACOUSTIC GUITAR MEETING DI SARZANA
ALL’ARTISTA CALIFORNIANO IL PREMIO CORDE & VOCI PER DIALOGO & DIRITTI
FORMAZIONE, CONCERTI, MOSTRA-MERCATO E SOLIDARIETÀ CON I MUSICISTI AQUILANI
NEL RICCO PROGRAMMA DELL’APPUNTAMENTO ANNUALE CON IL MONDO DELLA CHITARRA ACUSTICA

«A Jackson Browne, musicista, cantautore, pianista e soprattutto chitarrista tra i più noti e apprezzati al mondo, per il suo impegno e attivismo sociale, politico e civile. Perché da quarant’anni, con le sue corde e la sua voce, esalta la vita: denunciandone le miserie e coltivando la speranza di un domani migliore».
È con questa motivazione che sabato 22 maggio il grande artista californiano, icona della musica della west coast, riceverà sul palco dell’ACOUSTIC GUITAR MEETING il Premio Città di Sarzana-Regione Liguria 2010 Corde & Voci per Dialogo & Diritti 2a edizione, riconoscimento che vuole essere “celebrazione della canzone popolare, come rilevante strumento di impegno sociale, e dei suoi interpreti per eccellenza: la voce e la chitarra acustica” assegnato lo scorso anno alla memoria di Woody Guthrie.

La presenza di Jackson Browne all’ACOUSTIC GUITAR MEETING 2010 conferma l’importanza e il rilievo internazionale di un evento che, ormai da oltre un decennio, richiama da tutto il mondo maestri liutai, aziende costruttrici ed importatrici, chitarristi esordienti e di grande fama e notorietà, curiosi e appassionati della chitarra acustica.

In calendario dal 19 al 23 maggio, nella splendida cornice della storica Fortezza Firmafede di Sarzana (SP), la 13ma edizione dell’ACOUSTIC GUITAR MEETING si presenta ricca di proposte e novità: 50 ore di corsi di formazione di Liuteria e Didattica per chitarra acustica; un concorso per chitarristi emergenti Premio Carisch 2010; oltre 30 concerti di chitarristi di fama internazionale; un premio alla canzone di impegno sociale CORDE & VOCI PER DIALOGO & DIRITTI 2a edizione; decine di incontri e seminari; il nuovo Ukulele village, area dedicata allo strumento hawaiiano; oltre 100 espositori di liuteria, import, vintage, accessori per chitarra acustica con tutte le migliori aziende del mercato. E poi seminari, workshop, dimostrazioni e presentazioni di tutte le novità del settore. E ancora: l’iniziativa UNO STRUMENTO PER L’AQUILA, costruzione di due chitarre e raccolta di strumenti e accessori da inviare ai musicisti aquilani.

Oltre ai più stimati maestri liutai italiani ed internazionali, la panoramica dei marchi di chitarra acustica presenti all’esposizione di Sarzana è ormai al completo: Martin, Eko, Lowden, Taylor, Larrivèe, Godin, Breedlove, National, Seagull, Tanglewood, Ramirez, Simon & Patrick, La Patrie, Maton, Cole Clark, Santa Cruz, il meglio della produzione mondiale espone fra gli stand della imponente Fortezza Firmafede, con la presenza anche dell’usato vintage e di una speciale sezione dedicata all’editoria ai CD, DVD e collezionismo.

Confermando una formula di successo ben sperimentata e consolidata, la kermesse aprirà con i corsi di formazione di Liuteria e Didattica per chitarra acustica (19-20-21) dedicati a chi vuole imparare o migliorare le tecniche di costruzione dello strumento e affinare le abilità esecutive.

La sezione Didattica per chitarra sarà affidata a tre maestri d'eccezione: DAVIDE MASTRANGELO (ITA), fondatore e direttore del Centro Studi Fingerstyle, che sarà anche il coordinatore didattico, MASSIMO VARINI (ITA), concertista e autore di vari metodi didattici, ALEX DE GRASSI (USA), concertista e maestro riconosciuto in campo internazionale che lavorerà sulla composizione ed esecuzione di un brano chitarristico.
Al grande bassista MICHAEL MANRING (USA) sarà invece affidato un seminario sul rapporto tra chitarra acustica e basso elettrico.









Il corso di Liuteria sarà condotto da: BRYAN GALLOUP (USA), maestro liutaio esperto di restauro di strumenti vintage e proveniente dall’esperienza Stewart-MacDonald; FRANCO DI FILIPPO (ITA) e LEO PETRUCCI (ITA) che, con l’esperienza della loro Fusion School e l’assistenza dei partecipanti al seminario, realizzeranno, durante il corso, due chitarre acustiche stile OM. A fine manifestazione i due strumenti saranno consegnati all’Associazione musicale Suonoimmagine dell’Aquila (www.suonoimmagine.it). Un gesto di solidarietà e vicinanza con i colleghi della città duramente colpita dal terremoto dello scorso anno, che gli organizzatori del Meeting estendono ai liutai ed espositori invitandoli a offrire quanto più possibile in strumenti musicali e accessori. (Informazioni e modalità di iscrizione sui siti www.armadilloclub.org/formazione10.html e www.acousticguitarmeeting.net/formazione10.html )

Com’è consuetudine, il Meeting entrerà nel vivo con i concerti musicali: si comincia giovedì 20 con i giovani esordienti partecipanti al NEW SOUNDS OF ACOUSTIC MUSIC- Premio CARISCH 2010. Due le novità di quest’anno: l’intitolazione del premio In memoria di Stefano Rosso, lo scomparso cantautore/chitarrista romano; l’allargamento della competizione alle giovani promesse che usano voce & chitarra per comporre ed eseguire brani musicali. (informazioni e modalità di partecipazione sul nostro sito). L’evento è realizzato in partnership con Carisch spa e la rivista Chitarre.

Il programma proseguirà (venerdì 21 e sabato 22) con gli ormai rinomati concerti serali, animati dai migliori interpreti di chitarra acustica nel mondo, e la consegna (sabato 22) del Premio Città di Sarzana-Regione Liguria CORDE & VOCI PER DIALOGO & DIRITTI a Jackson Browne.
Il Premio, un’opera del grande scultore Luigi Mainolfi, sarà consegnato dal Sindaco di Sarzana.
MARTIN GUITARS partner dell’evento.

Concluderanno la sezione musicale del Meeting i numerosi artisti internazionali che si alterneranno sul palco della Fortezza nel lungo concerto pomeridiano di chiusura (domenica 23; ingresso libero).


Altra novità di quest’anno sarà l’allestimento dell’UKULELE VILLAGE, spazio dedicato allo strumento hawaiano che ospiterà espositori, concerti, incontri, lezioni, eventi. Al suo interno funzionerà il KIDS GUITAR CORNER, angolo didattico-ricreativo per i bambini.
Si ripeterà inoltre il seminario teorico-esperienzale ESSERE SUONO, sulla meditazione e la consapevolezza dell’essere attraverso la musica e la chitarra.

Completa il quadro di questa straordinaria vetrina sul mondo della chitarra acustica la grande mostra-mercato (venerdì 21-sabato 22-domenica 23), con novità e rarità da collezione: liuteria, import, vintage, accessori, editoria per chitarra acustica, CD, vinili, chitarre usate per privati. L’esposizione sarà animata da concerti e dimostrazioni (ADGPA. italiana, CentroStudiFingerstyle di Arezzo, Lizard di Firenze, Fingerpicking.net, Accordo.it avranno i loro spazi per seminari ed eventi).

Seminari, workshop, eventi caratterizzeranno la Fortezza Firmafede ed il centro storico di Sarzana per tutta la durata della manifestazione, con la novità di un palco acustico giovani nella Piazza centrale.

Sono previste convenzioni a prezzi molto convenienti con alberghi, ristoranti ed altre strutture di ricettività per la permanenza degli espositori e dei visitatori. L’elenco delle strutture convenzionate è presente sui nostri siti agli indirizzi: www.armadilloclub.org/alberghi.html
www.acousticguitarmeeting.net/alberghi.html




Sul sito www.acousticguitarmeeting.net e su www.armadilloclub.org è possibile trovare tutte le notizie e la storia dell’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana, le informazioni per gli espositori, il programma (in costante aggiornamento), un elenco delle aziende e degli artisti presenti nelle passate edizioni e le informazioni necessarie per i visitatori.























-CATALOGO ACOUSTIC GUITAR MEETING
In occasione del Meeting sarà stampata dalla redazione di Dismamusica Magazine una pubblicazione dedicata al mondo della chitarra e del basso acustici. Sarà il catalogo ufficiale della manifestazione, con annessi piantina ed elenco degli espositori, e verrà distribuito agli ingressi della Fortezza Firmafede con il prezioso follow-up della diffusione postale alla mailing list di Dismamusica Magazine. Si supereranno le 12.000 copie di tiratura.
Chi fosse interessato all’acquisizione di spazi pubblicitari e redazionali contatti il Sig. Gianni Cameroni alla S & G Partners. Tel. 0362 583672 gianni.cameroni@sgstudio.it



PARTNER E SPONSOR 13a EDIZIONE 2010:
Città di Sarzana, Assessorati alla Cultura e al Turismo - Regione Liguria - Provincia della Spezia
Ministero dei Beni Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio della Liguria
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Direzione per la Liguria, CSA La Spezia
Fondazione CARISPE, La Spezia - Associazione Valdimagra Formazione
Consorzio Sviluppo Sistema Sarzana
Università di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Cinema Musica Teatro
Università del Turismo di Lucca, Fondazione Campus Studi del Mediterraneo
Università dell’Età Libera, Sarzana
Heineken Italia spa - Partesa Tirreno - CONAD Tirreno
Eko Music Group - Martin Guitars –Fishman Acoustic Amplification
Carisch spa - Godin, Ramirez, Giannini, Norman Guitars
S.R. Technology P.A. Systems, Official Sound
Reference Laboratory, sponsor tecnico cavi e microfoni
Taylor Guitars
Lowden Guitars
Gold Music distr. Breedlove, Tanglewood, Seagull, Simon & Patrick, La Patrie Guitars
Bose Italia spa
B-Band Pickup Systems
John Pearse Strings
portale Fingerpicking.net, A.D.G.P.A. of Italy, CentroStudiFingerstyle, Accademia di Chitarra “LIZARD”
MEI Meeting degli Indipendenti
riviste: “CHITARRE”, "DISMAMUSICA MAGAZINE", “STRUMENTI MUSICALI”, “INSOUND”, "SUONARE NEWS", "SEICORDE", "PAGINE MUSICA", "BUSCADERO"
Media partner: Accordo.it







ACOUSTIC GUITAR MEETING 13° edizione
Programma concerti

Giovedì 20 maggio h.19: “New Sounds of Acoustic Music” Premio Carisch 2010
in memoria di Stefano Rosso

Giovedì 20 maggio h.21:

FRANCIS KUIPERS (NL)
MASSIMO VARINI (Ita)
PEPPINO D'AGOSTINO (Usa)
DEMANIA TRIO (Usa) featuring: ALEX DE GRASSI (chitarra acustica), MICHAEL MANRING (basso elettrico), CHRIS GARCIA (tabla, percussioni)

Venerdì 21 maggio h.21:

GIUA & ARMANDO CORSI (Ita)
ALEX DE GRASSI (Usa)
DEMANIA TRIO (Usa)
JOHN GORKA (Usa) featuring Michael Manring
SONS OF THE DESERT (D)

Sabato 22 maggio h.21:

Premio "Corde & Voci per Dialogo & Diritti"
special guest JACKSON BROWNE (Usa)
VICTORIA VOX (Usa)
EILEEN ROSE & RICH GILBERT (Usa)
MAURIZIO GERI & RICCARDO TESI (Ita)
CHIARA CIVELLO TRIO (Ita)
MASSIMO BUBOLA & ENRICO MANTOVANI (Ita)
consegna del Premio a JACKSON BROWNE da parte del Sindaco di Sarzana
Martin Guitars partner dell’evento

Domenica 23 maggio dalle h. 12 alle 19:

ERIC VENTRICE (Ita)
DANIELE BAZZANI (Ita)
RODOLFO MALTESE & MASSIMO ALVITI (Ita)
MAURIZIO FALCONE & SILVANO MANCO (Ita)
CLAUS BOESSER FERRARI (D)
ANTONIO LOMBARDI (Ita)
GIOVANNI BAGLIONI (Ita)
MAX PRANDI (Ita)
SONS OF THE DESERT (D)
BERMUDA ACOUSTIC TRIO (Ita)






Associazione Culturale ARMADILLO CLUB
Via Dei Molini, 68 – 19038 SARZANA (SP) ITALY Tel./fax +39 0187 626993
acguitar@armadilloclub.org www.armadilloclub.org www.acousticguitarmeeting.net

Jonathan Safran Foer - Dalla parte delle mucche

INTERVISTA ALLO SCRITTORE AMERICANO
Un libro tra inchiesta e riflessione filosofica "Vi racconto cosa vuol dire mangiare gli animali"

Stavolta non si tratta di un romanzo, ma di un ibrido capace di comprendere il racconto autobiografico e l’inchiesta giornalistica, la riflessione filosofica e la testimonianza. Ed è un ibrido che parla a ciascuno di noi, invitandoci a interrogarci sulle nostre scelte alimentari. A partire dal sottotitolo: Perché mangiamo gli animali?

Mr. Foer, che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
«Credo che molti di noi non si pongano il problema di ciò che arriva in tavola. Non che non gliene importi. Preferiscono non farlo. Io ho capito di volerlo fare dopo la nascita di mio figlio. E più approfondivo le mie ricerche, più mi rendevo conto che ciò che stavo scrivendo aveva sì a che fare col dolore e la sofferenza degli animali, ma anche con altre cose: la qualità dell’acqua che beviamo e dell’aria che respiriamo, gli antibiotici che assumiamo senza saperlo, il riscaldamento globale, la fame nel mondo. Mangiare animali significa toccare tutte queste questioni. Che riguardano ciascuno di noi, e il futuro dei nostri figli».

Dopo aver letto il suo libro, l’attrice Natalie Portman, vegetariana da vent’anni, è diventata un’attivista vegana, rifiutando anche uova e latte. Lei invece è stato criticato per non averlo fatto. Se l’aspettava?
«Io e la mia famiglia facciamo la spesa biologica nei mercati dei contadini e sappiamo da dove proviene ciò che mangiamo, ma diventare vegetariani è una decisione molto complicata. Posso capire che qualcuno sia rimasto deluso perché non ho fatto una scelta ancora più radicale, ma non credo serva a qualcosa dire: noi vegani siamo dalla parte della ragione, tutti gli altri no. Penso invece sia utile far riflettere la gente sul fatto che occorre ridurre i consumi. Sia per tutelare la nostra salute, sia per i danni che il nostro stile di vita arreca alla biosfera, e nel caso della carne anche per via delle sofferenze che arrechiamo agli animali. Ma non è una questione di identità. Si tratta delle scelte che facciamo ogni giorno. Noi abbiamo la possibilità di scegliere ogni volta che entriamo in un supermercato o al ristorante. Il problema a monte è che non sappiamo che cosa avviene nell’industria zootecnica».

Lei si è introdotto nottetempo negli allevamenti e ha visto che cosa sono oggi le fattorie americane. Ha denunciato non solo le terribili condizioni in cui vengono allevati gli animali e la crudeltà con cui li si uccide, ma anche il pericolo che deriva alla nostra salute a causa dei farmaci somministrati e delle spaventose condizioni igieniche. Quali sono state le reazioni dell’industria zootecnica del suo Paese?
«La cosa interessante è che non c’è stata alcuna reazione. Io mi aspettavo che dicessero: ehi, un momento, le cose non stanno come le hai raccontate. Oppure: guarda che ti sei sbagliato, dovevi informarti meglio. Invece, niente. Questo mi fa pensare che non abbiano argomenti, oppure che proprio non vogliano aprire un dibattito, perché farlo porterebbe la gente a non mangiare più carne».

Ha incontrato anche imprenditori nel settore dell’allevamento intensivo e semplici lavoratori. Qualcuno le ha detto che l’industria ha capito che per fare profitto gli animali malati sono più redditizi. Altri, che tornando alle fattorie rurali non si potrà mai sfamare un mondo con 10 miliardi di persone.
«Dal suo punto di vista, l’industria ha ragione. Ma non prende in considerazione che si possa mangiare meno carne, oppure qualcos’altro. Gli americani mangiano il doppio di proteine rispetto agli europei. Negli ultimi decenni il consumo di polli è aumentato del 150%. Ribadisco: noi consumiamo troppo».

Lei cita Derrida, che riguardo alla violenza su scala mondiale esercitata sugli animali dice: «Gli uomini fanno tutto ciò che possono per nascondere questa crudeltà». E ricorda Henry Ford, che imparò a montare le auto vedendo come nei mattatoi si smontavano le mucche.
«La questione centrale è che un animale non è un’auto: noi non mangiamo auto, e non le facciamo mangiare ai nostri figli. E la tragedia è che si pensa all’industria alimentare come se fosse una qualsiasi altra impresa capitalista. Invece non è così. Basti pensare a quanto precocemente oggi le ragazzine arrivano alla pubertà: con la carne assumono ormoni. Una delle persone che ho intervistato mi ha detto: “Usiamo i nostri figli come cavie”. È vero».

Lei cita anche Orwell, «Tutti gli animali sono eguali, ma alcuni sono più eguali degli altri», e pone una domanda scomoda: che scusa possiamo avere per risparmiare i cani e mangiare gli altri animali?
«In realtà non c’è alcuna vera ragione per risparmiare i cani e mangiare le mucche, o viceversa, se pensiamo a quanto accade altrove. Si tratta di decisioni arbitrarie. Tra un cane e un maiale non c’è molta differenza. I maiali sono affettuosi, giocherelloni e molto intelligenti».

Nel libro un’attivista per i diritti degli animali dice che entrando in un capannone di quelli dove sono stipati a strati decine di migliaia di polli si è vergognata di essere una persona. Le è capitato, mentre scriveva questo libro?
«Da parte mia non penso di poter dire a nessuno: ehi, tu, devi vergognarti. Ma ho scelto di essere me stesso, e di non dare i miei soldi a chi pratica l’allevamento intensivo. Un giorno potrò raccontarlo a mio figlio. Tutti noi abbiamo questa possibilità: scegliere di raccontare certe storie ai nostri figli anziché altre. I libri per bambini sono pieni di animali, e i bambini prima o poi chiedono sempre ai genitori: perché li mangiamo?».

"Se niente importa"
Jonathan Safran Foer è nato a Washington nel 1977 e vive a Brooklyn con la moglie (la scrittrice Nicole Krauss) e il figlio Sasha.
Si è rivelato nel 2002 con il romanzo Ogni cosa è illuminata, seguito tre anni dopo da Molto forte, incredibilmente vicino. Il suo saggio Se niente importa (Guanda) esce il 25 febbraio. L’autore lo presenterà a Roma il 3 marzo (Auditorium, ore 21, con Irene Bignardi) e a Milano il 4 marzo (Libreria Feltrinelli di Piazza Piemonte, ore 18,30, con Wlodek Goldkorn e Ranieri Polese).


GIUSEPPE CULICCHIA 19/2/2010 - lastampa.it

venerdì 19 marzo 2010

La lotta alla prostituzione (di strada)


La lotta alla prostituzione (di strada)

tratta dal blog www.alain.it, questa allegra poesia

Il commento più sintetico di un lettore:

"Finalmente un governo di tecnici".Ultima ora: adesso ci si mette anche la Santanchè....

A lato una immagine del ministro, prima della "cura" che oggi le dà l'immagine della suorina...



E’ arrivata la Carfagna
e finisce la cuccagna
di cercare per la strada
la battona che ti aggrada:
è social e grave allarme
e potrà qualche gendarme
arrestar te e la battona,
la Carfagna non perdona.
Anche il solo avvicinarti
la galera può costarti,
poiché la prigione arriva
pure per la trattativa.
Ma se, invece, in un alloggio
di virilità fai sfoggio,
puoi scopar senza paura.”
Questa legge ci assicura
che in un bell’appartamento
non esiste sfruttamento,
non c’è l’ombra di minaccia
di lenoni e di magnaccia.
Soprattutto non si vede
e per gli uomini di fede
non veder che la dan via
è una vera garanzia
di rigor e austerità.
In Italia, ben si sa,
si può sol fare i guardoni:
tutte le televisioni
mostran chiappe, culi, tette.
Le veline e le soubrette
il cul muovono con smania.
Miss Italia e Miss Padania
son mercati di pulzelle,
molto spesso neanche belle,
con le madri pronte a tutto
purché qualche farabutto
le indirizzi alla carriera
di velina o ereditiera,
di valletta o letterina,
primo passo sulla china
di chi poi la darà via.
“Guarda qui la figlia mia!”
E poi parlano di orrore
per l’amor col contatore,
di social allarme se
la prostituzione c’è.
“Io che son donna illibata
e ministra assai impegnata
odio la prostituzione,
non capisco le battone
che la danno per quattrini!”,
dice quella che in bikini,
e per nulla castigato,
col suo corpo ha commerciato
tempo fa in fotografia.
Questo ha un nome: ipocrisia.
E che differenza c’è
fra scopare in un coupé
o nel chiuso di una stanza,
come vuol la maggioranza?
Fra scopare in un boschetto
o con due puttane a letto
nella suite dell’Hotel Flora,
con la coca che lavora?
Fra concederla per via
o scopar con frenesia
su un sofà alla Farnesina,
come quella birichina
che, passando per la Rai,
diventata è ricca assai?
Ed infin facciam due conti:
se corrette son le fonti,
i clienti sporcaccioni
son più o men nove milioni,
metà a casa, metà in strada,
come media par che vada.
Li processan tutti quanti?
In prigion coi lestofanti
vanno tutti i puttanieri?
Ma ci sono i carcerieri,
le prigioni, i magistrati,
i caramba e gli avvocati
per più o men cinque milioni
di battone e sporcaccioni?
Non per tutti esiste un lodo
per il qual restano ammodo
pur se scopan per la strada…
Finirà che la masnada
ai domiciliari andrà.
E Carfagna che farà?
Gli apporrà sui genitali
gli elettronici bracciali.

Carlo Cornaglia
14 settembre 2008

berlusconi mafioso - la padania

Se si va sul sito de "la Padania" da molto tempo non si trova nulla, solo la scritta " tra pochissimi giorni saremo on line".
Continuo ad essere curioso di vedere se rimetteranno in archivio anche il numero del 10 luglio 1998....

"Berlusconi mafioso? 11 domande al Cavaliere", titolava in prima pagina "La Padania" il 10 luglio 1998.
vedi i documenti originali su http://www.alain.it/2009/04/15/berlusconi-sei-un-mafioso-rispondi-la-padania-1998/



Marco Travaglio si domandava su "l'espresso" del 18 giugno 2009:

Dopo le elezioni europee è forse il caso di ripulire il vocabolario della lingua italiana da alcune espressioni intraducibili e gravemente nocive per la salute della nostra democrazia.
La sconfitta del Pdl, il raddoppio di Di Pietro e il recupero in extremis del Pd sugli ultimi deprimenti sondaggi insegnano che il cosiddetto "antiberlusconismo" paga, quando è ancorato a problemi seri e reali: solo che non si chiama antiberlusconismo, ma "opposizione".
L'idea, curiosamente comune a Berlusconi e a Franceschini, che la "demonizzazione" mediatica del Cavaliere sugli scandali Noemi e Villa Certosa l'avrebbe favorito, s'è rivelata una fesseria. Anche perché non di "demonizzazione" si tratta, ma di "informazione".
Porre domande e pretendere risposte sulle bugie del premier è un'attività molto diffusa nella stampa del resto del mondo.
In anni non lontani, quando il Truman Show berlusconiano non aveva ancora inghiottito l'intero Paese, al Cavaliere faceva domande persino "La Padania", organo della Lega Nord, che poi ha tentato invano di cancellarne le tracce dall'archivio informatico.
L'ha ricordato Stefano Corradino sul sito di Articolo 21, riportando
gli 11 quesiti lanciati nel 1998 dall'house organ bossiano, che fanno impallidire quelli di "Repubblica" sul caso Noemi.
"Berlusconi mafioso? 11 domande al Cavaliere", titolava in prima pagina "La Padania" il 10 luglio di undici anni fa. Roba che nemmeno l'"Economist" o "El Pais". Roba che servì a Roberto Calderoli, allora antiberlusconiano sfegatato, per presentare una raffica di interrogazioni parlamentari.
«Basta», tuonava Max Parisi, «con la manfrina sulle vicende giudiziarie, specialmente palermitane, di Silvio Berlusconi. È arrivata l'ora delle certezze definitive. Di seguito presento al signor Berlusconi una serie di domande invitandolo a rispondere nel merito con cristallina chiarezza, affinché una volta per tutte dimostrare - se ne è capace - che con Cosa Nostra non ha e non ha mai avuto nulla a che fare...
Le domande non prendono spunto dalle parole dei pentiti. Si basano su personali indagini e documenti amministrativi che in ogni momento - se lo riterrà - potrò inviarle perché si sinceri della loro autenticità... Punto per punto, nome per nome. È un'occasione d'oro per farla finita una volta per tutte. D'ora in poi il silenzio non le è più consentito né come imprenditore, né come politico, né come uomo».
E giù botte da orbi su proprietà, affari e malaffari, conflitti d'interessi, rapporti con mafiosi. Lo sventurato non rispose, anzi querelò.
Poi ritirò la denuncia due anni dopo, quando ricucì con Bossi.
Ora, siccome si attende entro l'estate la sentenza d'appello del processo all'on. Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado a 9 anni per mafia, qualche esponente dell'opposizione potrebbe rilanciare le 11 domande padane.
Ed eventualmente aggiungerne una dodicesima per gli onorevoli leghisti: perché avete smesso di porle? Un calo di curiosità?


lunedì 15 marzo 2010

Un grillo per amico

Un piccolo giardino,dove si portano a spasso gli uccelli e si discorre della bravura di un usignolo


Poche cose, come odori e rumori, portano lontano.
I piccoli giochi dei taxisti cinesi, ad esempio, fanno viaggiare oltre le strade che dalle città conducono nei villaggi di campagna.
Sempre più spesso succede che gli autisti, emigrati da regioni lontane, tengano con sé un amico trovato in qualche fosso dell'infanzia. Nell'auto ti accoglie il grido di un bel grillo canterino, felice di trascorrere ore di pace nel profumo intenso di una testa d'aglio messa ad arrostire.

Il viaggiatore inesperto della Cina pensa che il richiamo del grillo provenga dalla radio, trasmesso per ricordarci che l'Oriente resta un mondo di poeti bambini.
Basta un impercettibile segnale d'interesse e l'autista si distende al sorriso. Infila la mano sotto la giacca, scava sotto maglia e camìcia, estrae infine con orgoglio una piccola scatola di zucca secca, in tartaruga, in avorio e perfino cesellata in una giada grigia. Il suo grillo è lì, verde, nero, color noce o trasparente, e immediatamente tace.
La sua casa da viaggio sorge sotto l'ascella destra del padrone, che così lo riscalda e lo bagna anche quando dalla Mongolia soffia un vento secco carico di sabbia.
Fino a qualche anno fa, il primo freddo dell'inverno falciava i grilli come il tempo confonde il bisogno di sentire un amore.
La vecchia abitudine di vivere con un grillo ha sviluppato infine l'arte di far passare loro le stagioni. Da ottobre a maggio i grilli di città sono albergati dentro scatole ricoperte di seta e imbottite di velluto. Le stoffe sono tinte con colori delicati, così che l'animale possa riposare e sentire l'affetto di chi lo cura.
Solitamente viene costruito un lettino, e in un angolo si colloca una ciotolina di porcellana con il tè tiepido per un bagno. Al centro è posta una bottiglia riempita di acqua calda, che funziona come una stufa.
Il grillo si appoggia, sonnecchia, canta e può sognare un'estate tra le erbe vaporose di una prateria. Solo quando il padrone lo porta a spasso, o al lavoro nei taxi, entra felice nella custodia plasmata per nascondersi comodamente sotto un'ascella.
L'arte più raffinata consente di godere della voce dei grilli anche sotto i fiocchi di neve, travolti da una pioggia torrenziale, o mentre si consuma uno spiedo nel gelo di un marciapiede.
Nella buona stagione un grillo costa pochi yuan. Al mercato degli animali di Pechino ne offrono a migliaia, visitabili dentro gusci verdi di giunco. Nella capitale sono tornati anche i venditori. Pedalano tra gli ultimi hutong a ridosso della Città Proibita e vederli dà la felicità incomprensibile di uno stormo di rondini.
Nei mesi cattivi i grilli sono invece un tesoro riservato agli spiriti più raffinati e possono costare come una gracula capace di recitare i versi di un poema Manciù.
Per i cinesi, i grilli sono la reincarnazione degli eroi imperiali, o delle persone più amate del focolare. Per trattarli con devozione non serve che siano gladiatori, generali o marescialli reduci da battaglie stimolate con la carezza di un baffo di topo.
Chi ferma un taxi e s'accorge che l'autista appartiene alla casta degli allevatori, o degli artisti che cesellano scatoline per ascella, dimentica di essere perduto tra grattacieli gonfi di rimpianto, come missili puntati contro una stella. Basta un grillo a portarti via dal traffico, in un cortile silenzioso, sotto un melograno.
Qui anche ì vecchi cedono ai loro piccoli giochi, profumano i cani, vestono i gatti, e pensano con stupore al tempo in cui la grazia dell'Asia era considerata un cedimento borghese.
Qualche giorno fa un guidatore, che usava una lunga unghia del mignolo attorcigliata come una conchiglia per servire al suo grillo giallo qualche scheggia di carota, ha chiesto il permesso di mostrarmi il suo posto prediletto. È un piccolo giardino, ingentilito da piante di pere, riparato dalla Torre del Tamburo. Qui i pechinesi portano a spasso i loro uccelli e mentre questi si rafforzano le zampe dondolando nelle gabbie appese ai rami, si concedono il piacere di una barba sotto il sole.
I barbieri passano il rasoio e intanto sì discorre delle qualità di un usignolo, di passeri e colombe da concerto, del colore inaspettato dei giacinti esplosi da tre bulbi appena interrati. Non è questa la Cina che s'appresta a governare il mondo, gremita di persone a cui rimproveriamo le nostre tristi ossessioni. Ma qui si sente il senso di una sua estrema superiorità e si capisce che cosa è il rispetto per un piccolo gioco. Come un grillo che, sotto un lino, ci accarezza la pelle.

Giampaolo Visetti, La Repubblica delle Donne, 13 marzo 2010

domenica 14 marzo 2010

L'Italia che rimuove e scherza su «Faccetta nera»

Oggi si rabbrividisce per l'orrore delle foibe, tomba di migliaia di italiani innocenti, omettendo di dire che senza il fascismo, l'invasione della Slovenia, le atrocità contro i civili, le foibe non ci sarebbe mai state: furono un orribile rappresaglia contro un orribile invasione con obiettivi, dichiarati, di supremazia etnica. Chi semina guerra, raccoglie guerra.


GENTILE SERRA, sono appena ritornato da Francoforte. La conoscevo bene ma questa volta il confronto con l'Italia mi è sembrato ancora più stridente.
Poco più grande di Bologna o Firenze, Francoforte ha ventitré linee di metropolitana tra sotterranea e di superficie, dieci linee di tram, non si sa quanti autobus, parcheggi sotterranei ad ogni angolo, un aeroporto da sessanta milioni di passeggeri, una rete autostradale gratis che collega tutto l'hinterland passando tra foreste verdissime. E poi i grattacieli più alti d'Europa, ristoranti e locali di ogni tipo, parchi, giardini, pulizia, ordine, ricchezza, modernità.
A casa di un amico ho cenato tra persone normalissime ognuna delle quali guadagnava il triplo di me, aveva il doppio del mio tempo libero, molti parlavano anche italiano oltre un inglese ottimo; una coppia di omosessuali si era appena «sposata», fatto scontato per tutti gli altri.
Foto di Francoforte dopo la guerra: completamente rasa al suolo dai bombardamenti, non c'era rimasto più niente.
Non si può rinascere senza prima morire e i tedeschi erano morti materialmente e moralmente, così hanno potuto rimettersi in discussione e ricostruire un Paese nuovo e migliore. Noi in Italia non siamo capaci né di morire, né di vivere. Sappiamo solo sopravvivere, paraculandoci giorno per giorno, senza un progetto, senza un futuro. A volte mi auguro veramente che B uccida definitivamente questa Italia, così inutile a se stessa ed agli altri, per poter finalmente rinascere ad una nuova vita. Auguri.
Roberto Bencini | email

CARO BENCINI, ho ripescato la sua amarissima lettera, scritta quasi due mesi fa, dal mare magnum della posta inevasa. L'ho fatto dopo avere visto l'implacabile documentario Dittatura (ritrasmesso da RaiTre per riempire il buco di Ballarò silenziato), che del fascismo racconta soprattutto, documenti alla mano, la politica di invasione e sterminio in Etiopia, Slovenia, Grecia. Mi è tornata in mente la sua lettera: specialmente laddove paragona 0 suicidio e la resurrezione della Germania alla nostra incapacità «di morire e dunque di vivere».
Che è speculare alla nostra capacità di rimuovere, glissare, evitare di fare i conti.
Troppo paraculi per la tragedia, anche quando la tragedia ebbe 0 volto turpe della dittatura, delle leggi razziali, dell'imperialismo straccione e razzista del Duce.
Cinquantamila italiani ebrei consegnati a Hitler. Centinaia di migliaia di soldati italiani mandati a crepare per i campi d'Europa.
Decine di migliaia di sloveni, etiopi, greci ammazzati in casa loro perché lo squilibrato di Predappio voleva far rinascere Roma imperiale. Oppositori in galera, oppure braccati e uccisi. Una spia dell'Ovra quasi in ogni caseggiato.
Una putrida, ridicola retorica di regime, voci maschie e stentoree per magnificare un Impero di cartapesta. E ogni luogo comune sugli «italiani brava gente» impronunciabile da allora, eppure pronunciato continuamente, come se nulla fosse accaduto. (È questa, checché ne dica il revisionismo da hit-parade, il rimosso sul quale poggia il nostro presente: il fascismo). Da ragazzo non avevo dubbi: quello era il passato, il conto era chiuso, l'Italia cambiata.
Oggi non ho più questa convinzione. Oggi le suonerie di molti telefonini intonano allegramente Faccetta nera (l'ultima l'ho sentita l'altro giorno: era di un allegro idraulico), la vulgata vincente dice che il fascismo fu solo una pseudo-dittatura, e il premier dichiara che il Duce mandava gli oppositori «in vacanza».
Oggi si rabbrividisce per l'orrore delle foibe, tomba di migliaia di italiani innocenti, omettendo di dire che senza il fascismo, l'invasione della Slovenia, le atrocità contro i civili, le foibe non ci sarebbe mai state: furono un orribile rappresaglia contro un orribile invasione con obiettivi, dichiarati, di supremazia etnica. Chi semina guerra, raccoglie guerra.
La sua tesi è molto radicale, ma mi trova in malinconica sintonia. I conti con il fascismo ci siamo illusi di averli fatti nel '43, passando disinvoltamente dalla parte delle democrazie vincitrici.
La ventata civile della Resistenza, della Costituzione, del patto antifascista, è durata poco. Niente di ciò che è risoluto, definitivo, impegnativo può appartenerci a lungo. Lei si augura che B finisca di uccidere questo Paese, così da permettere a tutti di ricominciare davvero.
Dubito che il Paese si faccia uccidere da B. Gli sopravviverà. Quando scoprirà che non gli serve più lo scaricherà. Che cosa vuole che importi di B, del fascismo, dell'antifascismo, della Costituzione, del Risorgimento al barbiere milanese che, dopo avere borbottato che in Italia tutti rubano, mi ha fatto la ricevuta fiscale solo dopo mie insistenze.
Anche se lui non lo sa, la nostra catastrofe poggia sulle sue spalle, non su quelle di B. Mi rendo conto che questo è un lungo sfogo. Dopo esserci sfogati, torneremo ognuno a fare del suo meglio, o del suo meno peggio. Ma basterà? Servirà?

Michele Serra - Venerdi di Repubblica - 12 marzo 2010

Perché la nostra Repubblica è fondata sul lavoro

lettera di Renato Brunetta al direttore del "Venerdi di repubblica" e risposta di Gustavo Zagrebelsky.

Renato Brunetta:
CARO DIRETTORE, interrogato sulla mia proposta di riscrivere l'articolo 1 della nostra Costituzione, Gustavo Zagrebelsky ha risposto sul numero 1139 del vostro settimanale che «sostituire il "lavoro" con "merito" o "competizione" significa volersi esporre a quell'ideologia terribile che è il darwinismo sociale». Mi dispiace dirlo, ma Zagrebelsky sbaglia. È infatti quantomeno dubbio che il riferimento al lavoro nell'articolo 1 abbia un significato così decisivo e fondamentale da determinare, se modificato, uno stravolgimento della carta. La formula «Repubblica fondata sul lavoro» nacque in assemblea Costituente come soluzione di compromesso. Per soli 12 voti fu bocciata la proposta di Togliatti di inserire la formula «repubblica dei lavoratori», di chiaro stampo classista e social-comunista. La formulazione approvata fu il frutto della mediazione di Fanfani tra comunisti e liberali. E, come si addice alle soluzioni di compromesso, ognuno ci vide quello che voleva vederci. Tanto precisato, mi preoccupa, piuttosto, l'impostazione culturale che emerge dalle parole di Zagrebelsky. Secondo cui merito e concorrenza sarebbero, di per sé, sinonimi di darwinismo sociale. Dispiace che la società del merito sia vista come una minaccia da demonizzare e non invece come l'unico orizzonte nel quale «outsiders» ed «esclusi» di ogni genere possono riscattarsi. Soprattutto in una società come quella italiana, nella quale la mobilità sociale è bassissima, la morsa delle oligarchie e delle caste stringente, l'intermediazione pubblica così tentacolare. Dispiace che non si colga il significato morale del merito e della competizione. Per chi ha solo le proprie forze e la propria determinazione, l'offerta di qualche elemosina di Stato o di un po' di assistenzialismo ipocrita non serve a nulla se la gara è truccata e arrivano primi gli amici degli amici, o i loro figli. È vero: il lavoro è un aspetto essenziale della dignità umana, ma anche la possibilità di far valere il proprio talento lo è. Per questo rilancio la mia proposta: cambiamo l'articolo 1 e al posto del riferimento alla «parte» (il lavoro) mettiamo un riferimento al «tutto»: la dignità umana, comprensiva del lavoro, dei meriti, della libertà e delle opportunità.
Renato Brunetta Ministro per la Pubblica amministrazione e l'innovazione

risponde Gustavo Zagrebelsky:
L'articolo 1 della Costituzione viene da un processo di affinamento e di avvicinamento di posizioni diverse, presentì all'Assemblea costituente.
Trattandosi di una norma fondamentale, è naturale che sia stato così, per trovare un terreno d'incontro il più ampio possibile.
La natura delle norme costituzionali è proprio questa: essere il prodotto di convergenza e non imposizione di una parte sulle altre.
Tra le posizioni di partenza, c'era quella sostenuta dai socialisti e dai comunisti che si esprimeva nella formula: «repubblica di (o dei) lavoratori». Fu respinta per la possibilità ch'essa offriva di una interpretazione classista. Fu respinta: dunque, la formula attuale è cosa diversa. Viene da un altro versante politico-culturale, il cattolico sociale. Fu Fanfani, anche a nome di altri eminenti costituenti (Moro, Tosato, Grassi..), a proporre la formula che troviamo nella Costituzione vigente. La sua motivazione - i giuristi dicono: la sua ratio - fu così espressa: «dicendo che la repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio [...], sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e dì contribuire al bene della comunità nazionale» (Fanfani, nella seduta pomeridiana del 22 marzo 1947).
Possiamo dire che queste ragioni sono superate e provinciali, perché relative a una situazione politica e sociale del nostro Paese che non c'è più? Mi sembra anzi che siano più attuali che mai, in un tempo di scandalose speculazioni finanziarie che, per l'appunto, in ultima analisi, si fondano sulla fatica altrui; in un tempo in cui la disoccupazione è crescente e il lavoro diventa bene sempre più raro di cui si appropriano i privilegiati, i forti, i figli dei ricchi, a danno di coloro che sono privi di protezioni legali o corporative e di raccomandazioni personali.
E ministro Brunetta, nella sua cortese polemica con una mia sintetica affermazione contenuta in un'intervista di qualche tempo fa, ripropone le ragioni della sua battaglia a favore dei meritevoli contro i fannulloni, dei competenti contro gl'incompetenti, dei più bravi nella competizione sociale, ecc. Chi gli potrebbe dare torto? Solo che questo intento, in assenza di una politica sociale per il lavoro - una politica che la Costituzione richiede - si risolverebbe in una gara falsata, vinta necessariamente dai più forti. Sarebbe, come dice il Ministro, «macelleria sociale».
L'articolo 1 della Costituzione non protegge affatto i parassiti sociali Al contrario! Ma vuole che tutti i cittadini abbiano la possibilità di accesso al lavoro e nel lavoro possano far valere ciò che valgono, in un'uguaglianza di opportunità dove il merito, e non il sindacalismo deteriore, o l'appartenenza a giri di potere, abbiano la meglio.

Dal pane alle polpette, così l'uomo inventò i cibi.

Il titolo lì per lì lascia perplessi: Il riposo della polpetta (Laterza). Che vorrà mai dire? Poi si comincia a leggere e se ne capisce il senso, anzi si vede che il titolo è garbatamente ironico.

Scrive l'autore Massimo Montanari (Storia dell'Alimentazione, Bologna) che le polpette sono come le idee: devono sedimentare, amalgamarsi poiché «Il riposo delle polpette è come il riposo dei pensieri, dopo un po' vengono meglio». Con questa arguzia Montanari ci introduce al suo godibilissimo excursus sulla storia del cibo raccontata dal punto di vista del cervello più che delle viscere. Faccio subito un esempio molto significativo: il pane. Questo alimento fondamentale, anche se un po' trascurato nelle culture del benessere, rappresenta una vera «invenzione». Pensateci: tra la spiga di grano nel campo e il panino sulla tavola c'è un lungo, ingegnoso cammino, un vero salto logico superato solo grazie a una formidabile intuizione. Scrive l'autore: «Per questo le antiche civiltà mediterranee rappresentano il pane come simbolo di civiltà e dell'identità stessa dell'uomo».
L'uomo infatti, a differenza di ogni altro animale, sa «costruire» i propri alimenti. Gesù, l'ebreo che fondò il cristianesimo, fece un passo ulteriore, sacralizzò addirittura il pane proclamandolo carne, cibo della salvezza. Ricchi di curiosità sono i capitoli dedicati a lenticchie, patate, salsicce ma ovviamente, in quanto italiani, risultano di particolare interesse le pagine dedicate alla pasta.
«La pasta sembra fatta apposta per significare, in metafora, l'unità e la varietà degli stili alimentari italiani». Unità e varietà: tutti gli italiani mangiano pasta, ognuno a suo modo («la pasta è una ma si declina in centinaia di forme»).
Anche notevoli le osservazioni sulla minestra, piatto definito «democratico» in quanto si può solo «condividere» e nessuno potrà averne la «parte migliore» come avviene invece per la carne: «Nel Medio Evo la minestra distribuita ai monaci segnalava anche l'assenza di gerarchie nella comunità».
Un'ultima curiosa citazione è quella del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach: «L'uomo è ciò che mangia». Il che ci porta a pensare che vedendo tutto il «junk food» (cibo spazzatura) in circolazione, il povero Feuerbach scuoterebbe sconsolato la testa.
Massimo Montanari
Il riposo della polpetta
Laterza, pag. 208, 15 euro

la libertà va sempre conquistata

sabato 13 marzo 2010

lo schifoso TG1 di Minzolini

Per contrastare lo schifoso TG1 di Minzolini, non è opportuno non pagare il canone Rai. A mio parere è meglio colpirlo dove ci sono i suoi interessi: gli inserzionisti.
Il boicottaggio silenzioso non serve, bisogna intervenire subito ed esplicitamente sulle aziende, come fanno le associazioni dei consumatori.

Ho spedito questo breve messaggio agli inserzionisti di cui ho trovato email o form da compilare per contatti.
Sono curioso di vedere che risposta ci sarà.
Comunque, sarebbe bello a mio parere fare passare la voce, se si è in tanti forse si potrebbero preoccupare....chissà.



Ho notato che la vostra azienda è inserzionista del TG1 diretto da Augusto Minzolini, che ritengo una fonte di informazione inattendibile.
Vi informo che non acquisterò nessuno dei vostri prodotti o aderirò a vostre iniziative finchè sarete inserzionisti di quella testata.
Aspetto da voi email con comunicazione della cessazione del vostro stato di inserzionisti.
Distinti saluti.
Cognome Nome Città


inserzionisti 11 marzo 2010

www.intesasanpaolo.com (ha risposto e inoltrato ad ufficio competente)

www.ferrero.it
san pellegrino, non trovo l'email

nintendo: no email

conad: compilare form sul sito

infostrada: non ho trovato email per contattarli

Elsa Morante

Circola da qualche settimana in rete questo scritto di Elsa Morante.
Lo riproduciamo per chi se lo fosse perso:

"Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua
carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero
meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo.
Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una
parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e
tornaconto personale.
La maggioranza si rendeva naturalmente conto
delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte
piuttosto che al giusto.
Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il
dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie
sempre il tornaconto.
Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile
effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un
popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto
seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi
atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon
senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico.
In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.
Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico
senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon
padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si
circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori;mimo abile,
e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo,
senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che
vuole rappresentare."

Qualunque cosa abbiate pensato, il testo, del 1945, si riferisce a
B. Mussolini...

mercoledì 10 marzo 2010

Maria, donna dello stupore

Il vescovo Ambrogio definì la Vergine «tempio di Dio», invitando i credenti a non dimenticare il suo ruolo di Madre e a non cadere nelle deviazioni devozionali
di Gianfranco Ravasi

Ebbe 1153 edizioni (sì, avete letto bene: millecentocinquantatré!) da quando apparve per la prima volta nel 1879. Si trattava della Novena dell'impetrazione alla Vergine del Rosario composta da Bartolo Longo, l'avvocato pugliese che fece erigere il celebre santuario mariano di Pompei, uno dei pochi a non essere legato nella sua fondazione ad apparizioni o a un miracolo specifico della Madre di Cristo. Questo – che è uno dei mille e mille dati, temi, simboli, soggetti che compongono le 128 voci dovute a 103 autori del recentissimo dizionario di Mariologia edito dalla San Paolo – testimonia la straordinaria presenza della figura di Maria nella storia della cristianità, una donna che Dante in modo lapidario nel celebre canto XXXIII del Paradiso, reso popolare ai nostri giorni dall'appassionata ripresa di Benigni, proclamava come dotata di «quantunque in creatura è di bontate» (v. 21).
L'iconografia mariana, che in questo dizionario ha una trattazione specifica, forse riesce a superare persino quella cristologica, anche se una corretta teologia deve sempre non solo subordinare, ma finalizzare Maria a suo figlio, («Maria è il tempio di Dio, non il Dio del tempio», ammoniva già sant'Ambrogio).È per questo che anche oggisi deve essere molto sorvegliati nell'impedire ogni degenerazione e ogni deviazione devozionale (Medjugorje insegna...). Questo strumento di alta qualità ci guida nel microcosmo mariano avviandoci, certo, su tutti i percorsi delle pianure della pietà popolare, a partire dal fenomeno delle apparizioni (dal 1900 al 1988 ne sono state registrate 336!), ma si inerpica anche sui sentieri d'altura della teologia. Questo accade per la maggior parte delle voci, senza però ignorare alcune ramificazioni secondarie, ma suggestive, come i lemmi dedicati alle "donne teologhe", al "pensiero debole" (la "kénosi"), alla "psiche" e ai suoi archetipi, alla "sociologia" e così via. Si è veramente davanti a un arcobaleno dalle mille iridescenze che non cessa di stupire, dimostrando la verità dell'asserto De Maria numquam satis , evocato per la prima volta (ma sulla scia di altri "santi" non nominati) da san Luigi Maria Grignion de Montfort nel suo Trattato della vera devozione a Maria, scritto attorno al 1712 e riedito almeno 400 volte. Non bisogna, però, dimenticare che l'idea era già stata anticipata da altri teologi, tra i quali un inatteso Lutero che nei suoi Discorsi a tavola non esitava a dichiarare che «la creatura Maria non può essere mai abbastanza lodata ». Tante sono, quindi, le pagine che si leggeranno con gusto e sorpresa in questa monumentale sintesi mariologica.
Considerando una delle mie attuali funzioni – quella di Presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, che sulla base del Concordato con lo Stato italiano ha tra i suoi compiti la tutela e la gestione delle circa 120 catacombe cristiane d'Italia – mi permetto solo di accennare a un suggestivo dato iconografico. La prima immagine di Maria a noi giunta è nella catacomba romana di Priscilla sulla Salaria. È un affresco di poco anteriore alla metà del III secolo che mette in scena Maria seduta col Bambino in braccio, mentre accanto a lei un personaggio virile con tunica e pallio (un profeta? Isaia?)punta l'indice della destra verso l'alto indicando una stella. L'ammiccamento è piuttosto sofisticato: si rimanda, infatti, a un passo anticotestamentario ove un "profeta" pagano, Balaam, emette un oracolo il cui contenuto già dalla stessa tradizione giudaica era riletto in chiave messianica. Ecco le sue parole: «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Numeri 24,17). La probabile allusione davidica poteva facilmente essere trasformata in annuncio messianico, che approderà anche nel Nuovo Testamento ove il Cristo dell'Apocalisse si autoproclama come «la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino » (22,16).
Pochi mesi prima del dizionario della San Paolo, una coedizione tra la Facoltà Teologica romana "Marianum" e l'editrice Città Nuova iniziava la pubblicazione di una Storia della mariologia , dall'impianto ovviamente diacronico. Il progetto comprende tre tomi articolati secondo "modelli" o tipologie di sviluppo tematico, destinati a concludersi con la recensione della fisionomia mariana africana. Nel primo volume attualmente a disposizione si procede dalle Scritture bibliche, a partire dall'unica, generica menzione paolina («nato da donna» di Galati 4,4), per giungere alle soglie del Rinascimento. Un itinerario all'interno di orizzonti immensi: si pensi solo alla patristica, alla liturgia, ai concili, alla teologia e alla pietà medievale, ma anche a vivaci paradigmi settoriali come la spiritualità orientale (Efrem siro o la letteratura copta o le sontuose liturgie dell'Oriente cristiano) o come la piccola foresta lussureggiante delle narrazioni apocrife (il Protovangelo di Giacomo , ad esempio). Anche percorrendo queste pagine, dovute a specialisti di chiara fama, si ripete l'esperienza di un pellegrinaggio in un mondo di meraviglie ove s'intrecciano arte e spiritualità, riflessione teologica e anelito devozionale, canto e implorazione, analisi e fantasia, ermeneutica e folclore, per cui non sono retoriche le immagini usate nell'introduzione a questo primo volume, quando si parla di «affresco storico-culturale», di «poliedricità », di «caleidoscopio». E, non ultimo, si dovrebbe anche introdurre il paradigma dell'Islam (presente con una voce propria nel dizionario Mariologia ) che nel Corano dedica a Maria un'intera sura,la XIX,proclamandola «sopra le altre donne dell'universo », l'unica donna degna di essere chiamata per nome in quel testo sacro, perché «Dio ti ha prescelta, ti ha purificata e ti ha eletta sopra tutte le donne del creato» (III, 42).

Il Sole-24 Ore
sezione: RELIGIONE data: 2010-02-07 - pag: 35

1 A cura di Stefano De Fiores, Valeria Ferrari Schiefer, Salvatore M. Perrella, «Mariologia», San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), pagg. 1.340,
Á 150,00;
1 A cura di Enrico Dal Covolo e Aristide Serra, «Storia della mariologia», vol. I «Dal modello biblico al modello letterario», Città Nuova Marianum , Roma, pagg. 1.032, Á 98,00.
Lourdes. Elina Löwensohn è Cécile nel film «Lourdes» di Jessica Hausner, presentato a Venezia lo scorso settembre e in uscita nelle sale italiane giovedì prossimo. È la storia del viaggio della speranza di Christine, costretta sulla sedia a rotelle dalla sclerosi multipla, che si affida alla Madonna

Quando sognavamo Giustizia e Libertà

Perché morì il Partito d´Azione? Ce lo si è chiesto molte volte. Dedicò all´interrogativo le sue riflessioni Palmiro Togliatti. Forse abbiamo una spiegazione. Che potrebbe interessare l´antropologo. Morì perché terribilmente astratto. Composto da intellettuali, aveva l´intellettualistica convinzione che gli uomini fossero fatti di sola razionalità. E che quindi bastasse fare appello alla loro ragione per convincerli a votare. Gli uomini (tutti gli uomini e tutte le donne: anche noi, non solo “gli altri”) sono fatti anche di miti, di pulsioni profonde e inconfessabili, di ambizioni, di interessi.



Quando sognavamo Giustizia e Libertà di Beniamino Placido
Carissima Barbara, ho voglia di raccontarti tantissime cose (due o tre almeno) ma non so da che parte incominciare. Comincerò allora con un fatto antico, antichissimo, quasi un episodio d´infanzia: che potrebbe, dovrebbe (vorrebbe?) commuoverti.
Nei primissimi anni del dopoguerra c´era in Italia una cosa bellissima: il Partito d´Azione. In Lucania l´aveva fondato zio Valentino, con altri giovani antifascisti. Altri antifascisti – giovani o meno giovani – l´avevano fondato in tutta Italia. Il Partito d´Azione veniva fuori da una tradizione degnissima. Dal gruppo di “Giustizia e Libertà”; che era stato fondato da Carlo e Nello Rosselli, due meravigliosi antifascisti fiorentini, che il Fascismo aveva fatto uccidere: esuli in Francia. Il Partito d´Azione è stato l´unico gruppo politico organizzato a fare del vero attivo antifascismo, durante il ventennio, accanto al Pci. I suoi rappresentati avevano fondato il Non Mollare, quando tutti mollavano. Poi andarono, uno dopo l´altro, in galera e ci rimasero per un bel po´. Ernesto Rossi, l´economista ( autore di Abolire la miseria; I padroni del vapore, Settimo non rubare) anche per tredici anni di fila.
Chi ha fatto la resistenza? Due gruppi politici: i comunisti e gli “azionisti” (che venivano anche chiamati sprezzantemente “visipallidi” perché non avevano la faccia contenta e biscottata alla Berlusconi). In che cosa gli “azionisti” erano diversi dai comunisti? In questo: volevano la Giustizia, ma volevano anche la Libertà.
Benedetto Croce diceva che non era possibile. Che se tu vuoi proprio la Giustizia, l´Uguaglianza, finirai fatalmente col rinunciare alla libertà. Farai la fine della Russia di Stalin. Gli “azionisti” erano fermamente avversi alla Russia di Stalin. Mai, neppure per un momento, cedettero alle fiabesche sciocchezze che sulla Russia comunista i comunisti italiani allora dicevano. E che si sono dimostrate sanguinosamente false.
Questo li rendeva invisi a Dio ed ai nimici sui. Ai conservatori come ai comunisti ortodossi (con i quali conservarono però sempre un rapporto di affettuosa, rissosa familiarità). Nel Partito d´Azione militavano tutti (o quasi tutti) gli intellettuali italiani di quegli anni. Quelli grandi, di cui non ti faccio i nomi perché non ti direbbero nulla (De Ruggiero, Omodeo, Arturo Carlo Jemolo, Calamandrei, Codignola) e tanti altri più piccoli. Anche per questo, anche per questo prestigio, il Partito d´Azione ebbe subito fortuna, in tutto il Paese. Che aveva contribuito a liberare dai fascisti e dai nazisti.
Pensa che a Rionero, paesino di dodicimila abitanti, la sezione fondata da zio Valentino contava seicento iscritti. Poi cosa accadde? Accadde che questi intellettuali si misero a litigare fra di loro. Arrivò la scissione, consumata in un dolorosissimo, drammaticissimo congresso a Roma, al Teatro Italia (che si trova intorno a Piazza Bologna).
Il Partito d´Azione si sciolse. I suoi rappresentati più bravi si distribuirono tra i vari partiti della sinistra italiana. E vi hanno fatto le cose migliori. Cosa sarebbe stato il Partito Repubblicano italiano senza Ugo La Malfa? Cosa sarebbe stato il Partito Socialista italiano (quello di Nenni, non quello attuale di Craxi) senza Riccardo Lombardi? E questi nomi forse ancora dicono qualcosa (spero) a quelli della tua generazione.
Il Partito d´Azione si sciolse, ma non si dissolsero nel nulla i suoi componenti: anche quelli più piccoli, in ogni senso. Continuarono ad operare nella società civile, dentro e fuori i partiti, dentro e fuori le Università, dentro e fuori i sindacati. Mai rassegnandosi all´ondata di restaurazione che intanto era arrivata. La prima delle tante ondate di restaurazione che di tanto in tanto affliggono il nostro Paese. Ondata di restaurazione propiziata da un enorme imperdonabile errore del Partito comunista di allora: presentandosi come paladino della Russia di Stalin – che aveva impiccato abbondantemente, che continuava ad impiccare allegramente – i comunisti resero più agevole l´inondazione democristiana del 18 aprile 1948. Inondazione che perdura; dalla quale cerchiamo faticosamente di riemergere.
Fra quegli “azionisti” c´era anche il tuo papà: piccolo, piccolissimo allora; piccolo, piccolissimo sempre. E che non ha mai dimenticato quel giorno lontano. Quando la notizia ufficiale dello scioglimento arrivò. Quando la sezione del Partito d´Azione di Rionero fu chiusa. Quando quelle bandiere gloriose, ardimentose (le bandiere del Partito d´Azione erano rosse, con lo stemma di G. iustizia e L. ibertà) nel mezzo: gli azionisti si chiamavano “compagni”) si ammonticchiarono nel cortile della nonna: dove erano state portate amorosamente da zio Valentino. E poi furono mandate al macero. Mai dimenticato.
Perché morì il Partito d´Azione? Ce lo si è chiesto molte volte. Dedicò all´interrogativo le sue riflessioni Palmiro Togliatti. Forse abbiamo una spiegazione. Che potrebbe interessare l´antropologo. Morì perché terribilmente astratto. Composto da intellettuali, aveva l´intellettualistica convinzione che gli uomini fossero fatti di sola razionalità. E che quindi bastasse fare appello alla loro ragione per convincerli a votare. Gli uomini (tutti gli uomini e tutte le donne: anche noi, non solo “gli altri”) sono fatti anche di miti, di pulsioni profonde e inconfessabili, di ambizioni, di interessi. In una cosa invece il Partito d´Azione aveva ragione. Così come «non si fa la poesia con i sentimenti, ma con le parole» (l´ha detto Paul Valery) non si costruisce la società giusta con i sentimenti, siano pure i più nobili, ma con le articolazioni istituzionali.
Ed è questo che avrei voluto dire agli studenti dell´Università di Roma; è questo che vorrei dire a tutti coloro che stanno dentro a questo dibattito sulla nuova sinistra da costruire: a quelli del no, a quelli del sì, a quelli del forse. Lo avrei detto – tanto per cambiare – nella forma di un raccontino. Che si riferisce anch´esso – tanto per non cambiare – alla mia “infanzia” lucana. Il racconto ha una premessa. La seguente. Non è che sia venuta meno in noi la voglia di volare. Negli “azionisti” non viene mai meno. E adesso tu sai che tuo padre è un “azionista”: non nel senso finanziario del termine, fortunatamente. No, la voglia di volare alto, di non strisciare per terra, di non vegetare, è sempre quella. Ma come si fa a volare? Quand´eravamo ragazzi, a Potenza, ci pensavamo sempre, talvolta ne parlavamo. Una volta, passeggiando passeggiando, ci trovammo sul ponte di Montereale, che è altissimo e maestoso. Uno di noi, che si chiamava Brucoli – e quindi era della dinastia dei gelatai di Potenza, e quindi apparteneva alla buona società potentina – ad un certo punto si affacciò dalla spalletta del ponte, guardò in giù (cinque metri di altezza). Poi prese il suo bastone – si poteva permettere di andare in giro con un bel bastone liberty fra le mani – e lo buttò. Poi chiese a noi – che con lui ci eravamo affacciati a guardare nella valle sottostante – ha volato il mio bastone? Si è fatto forse male? E allora volerò anch´io. Si buttò giù, e si ruppe tutte e due le gambe.
La voglia di volare – generosa e legittima – che animava i comunisti classici, che anima oggi alcuni gruppi di studenti, rassomiglia a questa. Non porta da nessuna parte. Solo ai disastri, personali o collettivi. Abbiamo imparato poi a volare. Ma rispettando le leggi di gravità, non violandole. Ma rassegnandoci ad essere – paradossalmente – più pesanti dell´aria, senza illuderci di poter mai diventare più leggeri. Ma costruendoci dei dispositivi artificiali e complessi: estremamente artificiali, estremamente complessi. Che non ci danno la soddisfazione del volo umano, ma ci fanno andare per aria, a rispettabile velocità.
E non è questa la civiltà, non è questo il progresso? La civiltà è una continua costruzione di protesi, un assiduo artigianato ortopedico. Per correggere l´inuguaglianza di partenza nel senso dell´uguaglianza; per correggere le ingiustizie di base nel senso della giustizia. Non ci si può aspettare che la libertà di stampa arrivi solo perché da qualche parte qualcuno si illude di aver costruito, o trovato, o inventato l´”uomo nuovo”. Solo perché è stato eliminato il capitalismo. Come pensavano i comunisti dell´altro ieri. Come pensavano quegli studenti di ieri. Questo vale a maggior ragione per la libertà di stampa: che si costruisce – e si custodisce – non con gli esorcismi verbali all´indirizzo del capitalismo, ma con un artigianale lavoro di revisione delle leggi. Tenendo conto di resistenze, inerzie, interessi, eccetera.
Cara Barbara, non sono sicuro che questi uomini di sinistra del “forse” siano migliori di quelli del “sì”, e di quelli del “no”. Però sono la mia cultura, la mia biografia, la mia storia, hanno qualcosa del vecchio (e mai morto) spirito azionista. Provarci sempre, non cedere mai. Senza paura di fare. Senza paura di sbagliare.
Un abbraccio
dal tuo papà
Roma, domenica 11 febbraio 1990 (‘La Repubblica”)