Bot a tasso zero, risparmiatori scottati e le banche li preferiscono ai prestiti
ROMA - Otto centesimi per un investimento di 100 euro. Il piccolo risparmiatore che si avventurasse sul mercato dei titoli pubblici, storico rifugio di pensionati e casalinghe, si troverebbe, oggi, di fronte all' inedito fenomeno del rendimento zero. Un' ipotetica liquidazione di 50 mila euro, investita nell' asta di mercoledì dei Bot a 6 mesi, comporterebbe, infatti, un guadagno complessivo di euro 40, appena sufficienti per un pugno di biglietti del superenalotto.
Il rendimento dello 0,55 per cento, dichiarato a fine asta, è, infatti, un minimo storico, ma è anche un rendimento lordo: al netto di commissioni e ritenuta alla fonte, il netto per il superstite dell'estinto popolo dei Bot è lo 0,08 per cento. Anche contro un' inflazione (a luglio) a zero, è un rendimento utile solo a parcheggiare i risparmi temporaneamente, in attesa di decidere cosa farne. Ma investire in titoli di Stato a più lunga scadenza non dà maggiori soddisfazioni: i Btp a 10 anni, indicizzati all' inflazione, andati all' asta ieri, offrono un rendimento (lordo) dell' 1,99 per cento, in netta discesa, rispetto al 2,62 per cento degli stessi titoli nell' asta di due mesi fa. Gli ultimi Btp decennali offerti dal Tesoro (non indicizzati, però) danno il 4,06 per cento, contro il 4,50 di giugno. All' estero, è la stessa storia: il re dei titoli di Stato, il ricercatissimo Bund tedesco a 10 anni, viaggia su un rendimento del 3,26 per cento. Quasi ovunque, i rendimenti dei titoli di Stato sono ai loro minimi storici. Eppure, all' asta dei Btp di ieri, la quantità richiesta è stata una volta e mezza quella offerta dal Tesoro.
Se il piccolo risparmiatore è scomparso, chi è, allora, che affolla le aste e compra più Bot e Bund che può? La risposta è: le banche e gli investitori istituzionali. Dopo la tempesta di questi anni, la grande finanza sembra aver imparato da pensionati e casalinghe. Secondo alcune stime, più di metà dei titoli di Stato emessi quest' anno nell' area euro sono stati finora acquistati dalle sole banche.
Per un verso, questa è una buona notizia per Stati pesantemente indebitati, come l' Italia, o che si sono pesantemente indebitati per far fronte alla crisi, come Germania e Francia. La folla di banche alle aste significa rendimenti bassi e, dunque, minori tassi di interesse da pagare. E, soprattutto, la ragionevole speranza che il mercato assorbirà, senza difficoltà, l' imponente mole di debiti pubblici che arrivano a scadenza nel 2010: secondo i calcoli di Société Générale, oltre 1.200 miliardi di euro in Europa, che si aggiungono ai 3 mila miliardi di dollari (oltre 2 mila miliardi di euro) di buoni del Tesoro in scadenza oltre Atlantico.
Ma le buone notizie finiscono qui. La corsa delle banche ai Bot è l' altra faccia della medaglia della stretta del credito. Le potenti iniezioni di liquidità degli ultimi mesi si sono fermate nelle casseforti delle banche, per lo più ormeggiate a investimenti in titoli pubblici.
Un indicatore è l' Euribor, il tasso interbancario, cioè l' interesse che le banche europee applicano nei prestiti fra loro. Applicando l' Euribor, una banca potrebbe prestare soldi ad un' altra banca, a tre mesi, ad un tasso superiore allo 0,80 per cento. Preferisce comprare Bot italiani allo 0,55 per cento. O accontentarsi anche di meno: ci sono 160 miliardi di euro, parcheggiati nei depositi presso la Banca centrale europea, dove spuntano solo lo 0,25 per cento. Non si tratta, però, solo di diffidenza verso le altre banche, ma di un cappio intorno al collo dell' economia reale. Pochi dei soldi, iniettati generosamente nel sistema dalla Bce, stanno raggiungendo aziende e famiglie. I dati diffusi ieri dalla stessa banca centrale europea danno un quadro raggelante della stretta al credito.
Di fatto, anziché avere più prestiti a disposizione, le aziende europee, a luglio, sono state costrette a rientrare dei crediti precedenti: complessivamente, hanno restituito alle banche 26 miliardi di euro. A giugno ne avevano già ridati 33 miliardi. Per i prestiti a un anno (meno 8,4 per cento, rispetto al luglio 2008) si può parlare quasi di caduta libera. Complessivamente, in un anno, la politica monetaria più espansiva degli ultimi decenni ha prodotto un aumento dei crediti alle aziende non finanziarie solo dell' 1,6 per cento. Per le famiglie, invece, non c' è stato un euro in più: il tasso di incremento dei crediti alle famiglie, rispetto ad un anno fa, è pari a zero. Gli unici ad incassare facilmente prestiti sono, appunto, i governi: più 10 per cento.
- MAURIZIO RICCI Repubblica — 28 agosto 2009 pagina 17 sezione: ECONOMIA