lettera di Renato Brunetta al direttore del "Venerdi di repubblica" e risposta di Gustavo Zagrebelsky.
Renato Brunetta:
CARO DIRETTORE, interrogato sulla mia proposta di riscrivere l'articolo 1 della nostra Costituzione, Gustavo Zagrebelsky ha risposto sul numero 1139 del vostro settimanale che «sostituire il "lavoro" con "merito" o "competizione" significa volersi esporre a quell'ideologia terribile che è il darwinismo sociale». Mi dispiace dirlo, ma Zagrebelsky sbaglia. È infatti quantomeno dubbio che il riferimento al lavoro nell'articolo 1 abbia un significato così decisivo e fondamentale da determinare, se modificato, uno stravolgimento della carta. La formula «Repubblica fondata sul lavoro» nacque in assemblea Costituente come soluzione di compromesso. Per soli 12 voti fu bocciata la proposta di Togliatti di inserire la formula «repubblica dei lavoratori», di chiaro stampo classista e social-comunista. La formulazione approvata fu il frutto della mediazione di Fanfani tra comunisti e liberali. E, come si addice alle soluzioni di compromesso, ognuno ci vide quello che voleva vederci. Tanto precisato, mi preoccupa, piuttosto, l'impostazione culturale che emerge dalle parole di Zagrebelsky. Secondo cui merito e concorrenza sarebbero, di per sé, sinonimi di darwinismo sociale. Dispiace che la società del merito sia vista come una minaccia da demonizzare e non invece come l'unico orizzonte nel quale «outsiders» ed «esclusi» di ogni genere possono riscattarsi. Soprattutto in una società come quella italiana, nella quale la mobilità sociale è bassissima, la morsa delle oligarchie e delle caste stringente, l'intermediazione pubblica così tentacolare. Dispiace che non si colga il significato morale del merito e della competizione. Per chi ha solo le proprie forze e la propria determinazione, l'offerta di qualche elemosina di Stato o di un po' di assistenzialismo ipocrita non serve a nulla se la gara è truccata e arrivano primi gli amici degli amici, o i loro figli. È vero: il lavoro è un aspetto essenziale della dignità umana, ma anche la possibilità di far valere il proprio talento lo è. Per questo rilancio la mia proposta: cambiamo l'articolo 1 e al posto del riferimento alla «parte» (il lavoro) mettiamo un riferimento al «tutto»: la dignità umana, comprensiva del lavoro, dei meriti, della libertà e delle opportunità.
Renato Brunetta Ministro per la Pubblica amministrazione e l'innovazione
risponde Gustavo Zagrebelsky:
L'articolo 1 della Costituzione viene da un processo di affinamento e di avvicinamento di posizioni diverse, presentì all'Assemblea costituente.
Trattandosi di una norma fondamentale, è naturale che sia stato così, per trovare un terreno d'incontro il più ampio possibile.
La natura delle norme costituzionali è proprio questa: essere il prodotto di convergenza e non imposizione di una parte sulle altre.
Tra le posizioni di partenza, c'era quella sostenuta dai socialisti e dai comunisti che si esprimeva nella formula: «repubblica di (o dei) lavoratori». Fu respinta per la possibilità ch'essa offriva di una interpretazione classista. Fu respinta: dunque, la formula attuale è cosa diversa. Viene da un altro versante politico-culturale, il cattolico sociale. Fu Fanfani, anche a nome di altri eminenti costituenti (Moro, Tosato, Grassi..), a proporre la formula che troviamo nella Costituzione vigente. La sua motivazione - i giuristi dicono: la sua ratio - fu così espressa: «dicendo che la repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio [...], sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e dì contribuire al bene della comunità nazionale» (Fanfani, nella seduta pomeridiana del 22 marzo 1947).
Possiamo dire che queste ragioni sono superate e provinciali, perché relative a una situazione politica e sociale del nostro Paese che non c'è più? Mi sembra anzi che siano più attuali che mai, in un tempo di scandalose speculazioni finanziarie che, per l'appunto, in ultima analisi, si fondano sulla fatica altrui; in un tempo in cui la disoccupazione è crescente e il lavoro diventa bene sempre più raro di cui si appropriano i privilegiati, i forti, i figli dei ricchi, a danno di coloro che sono privi di protezioni legali o corporative e di raccomandazioni personali.
E ministro Brunetta, nella sua cortese polemica con una mia sintetica affermazione contenuta in un'intervista di qualche tempo fa, ripropone le ragioni della sua battaglia a favore dei meritevoli contro i fannulloni, dei competenti contro gl'incompetenti, dei più bravi nella competizione sociale, ecc. Chi gli potrebbe dare torto? Solo che questo intento, in assenza di una politica sociale per il lavoro - una politica che la Costituzione richiede - si risolverebbe in una gara falsata, vinta necessariamente dai più forti. Sarebbe, come dice il Ministro, «macelleria sociale».
L'articolo 1 della Costituzione non protegge affatto i parassiti sociali Al contrario! Ma vuole che tutti i cittadini abbiano la possibilità di accesso al lavoro e nel lavoro possano far valere ciò che valgono, in un'uguaglianza di opportunità dove il merito, e non il sindacalismo deteriore, o l'appartenenza a giri di potere, abbiano la meglio.