Chi decide l'ascolto, perché e quanto costa
Il pm fa richiesta, il gip approva, le forze dell'ordine eseguono. Ma se il carico di lavoro è troppo, si affidano a società private. Con prezzi molto diversi. Sì, ma quanta gente è «spiata»? Su questo il governo dà i numeri
LA PIÙ GRANDE e famosa delle indagini giudiziarie italiane, quella di Mani pulite, le intercettazioni non le ha quasi usate. Poche, pochissime. Gli indagati, per lo più, confessavano; e per fare i processi bastavano le loro ammissioni, insieme ai documenti bancari dei conti all'estero. Senza aggiungere che, allora, i cellulari erano assai meno diffusi...
Quando il clima è cambiato e i corrotti sono tornati a sentirsi forti, le intercettazioni telefoniche e ambientali sono diventate uno dei pochi stranienti d'indagine capaci d'inchiodarli alle loro responsabilità: così Piercamillo Davigo, uno dei pm di Mani pulite, spiega l'aumento delle intercettazioni
negli ultimi anni. Ma la verità è che nessuno si è accorto della loro esistenza finché incastravano mafiosi, trafficanti di droga, sequestratori. Quando hanno cominciato ad arrivare sui giornali le telefonate dei politici, dei finanzieri, dei calciatori, delle veline, allora il Paese si è reso conto. E ha scoperto la paura di essere sotto controllo. Le conversazioni degli indagati sconosciuti non finiscono sulla stampa o in tv. Quelle dei cosiddetti vip sono invece d'interesse generale, merce preziosa.
E, allora, ecco sollevare il problema della privacy, dell'invasivi-tà delle intercettazioni nella vita privata, del Grande Fratello che ci controllerebbe tutti. È proprio così? Come funzionano, in conti responsabile Ma Giustizia Angelino Alfano. Ha dichiarato che, secondo suoi calcoli empirici, te persone con il telefono sotto controllo sarebbero 125 mila, per un totale di tre milioni di italiani «ascottati»
creto, le intercettazioni? Chi le fa? Quanto costano? È il pubblico ministero a chiederle, a carico di indagati per reati che devono essere gravi. Ma è un giudice, il gip (giudice per le indagini preliminari) a decidere se accettare o no le richieste del pm e se prorogarle via via nei mesi successivi.
La richiesta delle utenze da controllare viene inoltrata agli operatori telefonici (Telecom, Vodafone, Wind, 3...). Poi la faccenda passa alle forze dell'ordine: polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno nelle loro caserme (e a volte anche dentro i palazzi di giustizia) sale d'ascolto con le macchine per registrare le conversazioni. Ma riescono a fare solo una piccola parte del lavoro.
Così le Procure si rivolgono sempre più spesso ad aziende private specializzate, di solito scelte dagli ufficiali di polizia giudiziaria che lavorano con i pm. Scelte sulla fiducia, per chiamata diretta, perché in questo campo non sono previsti gare né obblighi.
In Italia le aziende spia-telefoni, cresciute negli ultimi vent'anni, sono una quarantina. Quasi tutte si trovano al Nord. Molte a Milano e in Lombardia, come la Sio di Cantù, la Area di Binago, la Rcs spa di Milano. Una a Trieste, la Innova. Il lavoro è delicato e non privo di rischi: così la Rcs (Research Control System) è ora al centro di un'indagine delicatissima per fuga di notizie, a causa della telefonata dell'estate 2005 in cui Piero Fassino gioiva («Allora? Siamo padroni di una banca?»), finita sulle pagine del Giornale prima ancora di essere trascritta e messa a disposizione degli stessi magistrati.
I rischi sono anche imprenditoriali, perché la concorrenza è aumentata e il ministero della Giustizia negli ultimi anni ha stretto i cordoni della borsa. Così alcune aziende sono arrivate al crac, altre hanno dovuto aspettare per anni che il ministero pagasse (aveva accumulato debiti con aziende del settore per 140 milioni di euro) e alla fine non hanno potuto far altro che accontentarsi di incassare i crediti senza interessi e con uno sconto del cinque, dieci per cento.
È complicato capire i costi, perché le aziende fanno prezzi molto diversi. Capita che a Campobasso un'intercettazione sulla linea telefonica costi 3,85 euro al giorno, a Roma cinque euro, ad Arezzo 25, a Lodi 27. Ancor più oscillanti, in base ai rischi, i prezzi delle microspie piazzate in una stanza o in un'auto: 19 euro al
giorno a Roma, ben 195 a Catania.
Del resto, non è chiaro neppure quante intercettazioni si facciano in Italia e quante persone siano sotto controllo. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha sostenuto che in Italia si fanno tre milioni d'intercettazioni, con un costo totale di un miliardo di euro l'anno. «Secondo un mio calcolo empirico e non scientifico» ha dichiarato in Parlamento, «è probabilmente intercettata una grandissima parte del nostro Paese... Le persone intercettate in Italia nel 2007 sono state 124.845. Ma poi ciascuna fa o riceve mediamente trenta telefonate al giorno. Così si arriva a tre milioni di intercettazioni».
In realtà, le persone ascoltate non sono tre milioni, e neanche 125 mila. Nell'anno considerato dal ministro, i decreti dei gip che dispongono intercettazioni telefoniche sono stati 45.122. Ogni decreto corrisponde a un'utenza, cioè a un solo numero telefonico, e, quando si controlla un indagato, si intercettano tutti i suoi numeri: casa, ufficio o uffici, eventuale seconda casa, cellulari... Una persona può avere anche più di dieci numeri. Luciano Moggi, per esempio, disponeva di otto cellulari, con varie schede, più le utenze di quattro abitazioni, del suo studio privato, dell'ufficio presso la sede della Juventus. Intercettarlo per un anno ha voluto dire, per il giudice, produrre una ventina di decreti, ciascuno prorogato più volte.
Facendo qualche facile calcolo, dividendo i decreti d'intercettazione per il numero delle utenze e delle proroghe, si arriva certamente a meno di ventimila persone intercettate all'anno: lo 0,03 per cento della popolazione italiana. E i costi? Gli ultimi dati disponibili del ministero della Giustizia dicono che sono in calo: 286 milioni di euro nel 2005, 246 nel 2006, 224 nel 2007. D'altra parte, la sola indagine milanese sulle scalate bancarie del 2005, con due mesi d'ascolti dei «furbetti del quartie-rino», ha fatto entrare nelle casse dello Stato, come risarcimenti, quasi un miliardo di euro: sufficienti a ripagare più di quattro anni d'ascolti in tutt'Italia.
Che cosa sono, allora, le intercettazioni? Uno strumento insostituibile per smascherare i reati in un Paese a illegalità diffusa, oppure (come dice Antonio Polito, direttore del Riformista) «il rischio più grave che corre l'Italia dai tempi delle leggi speciali del fascismo»? Henry Woodcock e Vallettopoli, Stefano Ricucci e i furbetti del quartierino, Luciano Moggi e Calciopoli. E poi gli scambi di complimenti tra Silvio Berlusconi e il dirigente di Raifiction Agostino Sacca, i dossier di Pio Pompa e i contatti del direttore del Sismi Niccolò Pollari, fino ai massaggi di Guido Bertolaso e agli affari della «cricca» della Protezione civile... Ormai l'intercettazione telefonica, fuori dai tribunali, è diventata un genere letterario, uno specchio del Paese.
GIANNI BARBACETTO ?
Venerdi di repubblica, 5 marzo 2010