domenica 28 marzo 2010

parlare in treno

tempo fa ho lanciato una campagna contro i cellulari in treno.
Oggi riporto un articolo da "la repubblica delle donne"

PARLARE IN TRENO
Sbalorditivo.. . . Una signora inizia a raccontare, E i cellulari tacciono.


E corre corre corre la locomotiva del Freccia Rossa Roma-Milano che risale la Penisola con la sua caratteristica mezz'oretta di ritardo.
I passeggeri hanno estratto libri e giornali, acceso portatili, telefonini e iPod, e all'altezza di Sette-bagni sono già lì che telefonano, chattano e mandano sms rendendo lampante una verità incontrovertibile: saremo irreperibili solo da morti.
Nel vagone il vociare è insìstente, ma manca qualcosa, qualcosa è scomparso, ed è difficile capire cos'è. Poi, improvvisa, arriva l'illuminazione. Sono tutte parole nel vuoto. Sono tutti discorsi a una voce. Mi alzo, percorro vagoni, attraverso carrozze tra due catene ininterrotte di posti, e nessuno ancora ha iniziato a parlare con il passeggero di fronte. E pensare che siamo già a Orvieto.
Chi in treno attacca bottone sfrutta l'impossibilità di fuga dell'altro. Rimane vero, però, che il declino della chiacchiera è il segno di una trasformazione profonda. Come lumache trasportiamo il mondo sulla schiena, alimentando al telefono i cordoni ombelicali che ci legano a mogli, amanti, amici e colleghi. Comunichiamo ininterrottamente, ma soltanto con la porzione di umanità che già conosciamo.
Le nuove tecnologie rimpiccioliscono il mondo perché lo restringono al gruppo e rendono l'esistenza degli altri un concetto astratto ed evanescente.
Il treno transita dalle parti di Sinalunga, e io passo in rassegna i compagni di viaggio, pensando che ormai soltanto gli anziani hanno voglia di attaccare discorso, quando al di là del corridoio una signora sui settant'anni chiude il numero di Chi, alza la testa cotonata e interpella il vicino: «lo sono di Roma, e lei da dove viene?». «Da Lodi, signora». «E quanti abitanti fa Lodi?».
In pochi minuti la conversazione tracima, coinvolgendo un pubblico sempre più vasto.
Valichiamo l'Appennino, e la signora annuncia che il parco di Villa Borghese sorge su un'area di novanta ettari e che i sotterranei della capitale sono visitabili, superiamo Bologna e racconta di quella sera in cui ha costretto l'ex governatore della Regione Lazio Piero Marrazzo a raccogliere la cacca del
cane, dalle parti di Piacenza rivela che i frati fanno voto di castità, mentre i preti di celibato - «qualcuno sa dirmi la differenza?», a Lodi spiega che il papà telefonista «fu assunto in Vaticano nel 1928 perché quell'anno furono inaugurate le prime linee telefoniche», perciò «non fu richiamato in guerra», anzi, era tra i pochi che avevano da mangiare, «anche il pane bianco», così lui lo portava alle donne con i mariti al fronte e in cambio..., ride, «mia mamma l'ha scoperto solo da vedova quanto era birichino».
Quando il convoglio fa il suo ingresso nella stazione Centrale di Milano, ascoltano tutti, anche quelli seduti dì dietro e davanti.
E nessuno ha più toccato il telefono. O, se trilla, mette giù in fretta. Siamo tutti un po' sorpresi che l'umanità sia un posto più grande della rubrica del telefonino o dei contatti su Facebook.
«Signora Rita, ma lei lo sa che parla tantissimo?». «Sì, ma cosa vuole, in fondo, siamo tutti sullo stesso treno».
Le parole sono il primo spazio pubblico e scambiarle è il primo modo di preservarlo. Durante la dittatura cilena, quando anche i muri avevano orecchi, il cantautore Arturo Ixtebarrìa diceva: «Prima delle leggi, prima della stampa, la democrazia è la parola che puoi scambiare con uno sconosciuto».
Si racconta che Ixtebarrìa fu arrestato e fatto sparire dalla polizia politica il giorno in cui si presentò a un comizio del generale Pinochet con le labbra cucite con ago e filo in segno di protesta.

Cose che non vanno più di moda di GIACOMO PAPI
La repubblica delle Donne, 20 MARZO 2010