martedì 30 giugno 2009

le rivoluzioni francese e americana

«We, the Revolution»
A differenza di quella francese che sfociò nel Terrore, la Rivoluzione americana pose le basi della democrazia moderna.
Non si ispirava alla Volontà Generale di Rousseau ma a Montesquieu e alla sua teoria della divisione dei poteri.

Il significato moderno di "rivoluzione", strettamente connesso con l'idea che il corso della storia ricominci improvvisamente dal principio, che stia per iniziare un'epoca interamente nuova, mai vissuta né narrata finora, era sconosciuto nel Seicento. In realtà esso nasce solo con le due grandi rivoluzioni della seconda metà del Settecento: la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese. Ma, a veder bene, fu la Rivoluzione francese e non quella americana - dice giustamente Hannah Arendt nel suo libro On Revolution - che mise a fuoco la parola, e di conseguenza fu dal corso della Rivoluzione francese, e non dal corso degli avvenimenti in America o dagli atti dei Padri Fondatori, che il nostro uso della parola "rivoluzione" ricevette le sue connotazioni e le sue sfumature. La verità, afferma ancora Hannah Arendt, è che la Rivoluzione francese, che terminò nel disastro, è diventata storia del mondo, mentre la Rivoluzione americana, che terminò col più trionfante successo, è rimasta un evento poco più che locale.
Fu la Rivoluzione francese a esercitare sullo spirito europeo un fascino straordinario, col suo mito della liberazione totale dalla povertà e dal bisogno, con la sua aspirazione palingenetica a ricostruire la società ab ìmis fun-damentis, col suo obiettivo di ricostruire un mondo interamente nuovo, senza più legami col passato. E dunque, è solo con la Rivoluzione francese che la parola "rivoluzione" si carica di tutti i significati emotivi e ideologici che la caratterizzeranno nell'Ottocento e nel Novecento (e che saranno fatti propri dal marxismo); è solo con la Rivoluzione francese che nasce quello "spirito rivoluzionario" nel quale si riconosceranno tutti! rivoluzionari europei (Lenin si richiamerà espressamente al giacobinismo).
Si potrebbe anche dire che la Rivoluzione americana fu una rivoluzione liberale (nel senso lockiano-montesquiviano di questa parola), mentre la Rivoluzione francese fu una rivoluzione democratica (nel senso rousseauiano-giacobino di questa parola). E ciò, in primo luogo.peridue punti di partenza socio-
politici, radicalmente diversi, delle due rivoluzioni. «È innegabile - dice Hannah Arendt -che la Rivoluzione americana ebbe una singolare fortuna. Avvenne in un paese che non conosceva la povertà di massa e fra un popolo che aveva un'ampia esperienza di autogoverno; senza dubbio una delle sue buone fortune, e certo non la minore, fu che la rivoluzione sorse da un conflitto con una monarchia costituzionale; In quel governo di re e parlamento da cui si staccarono le colonie non vi era potestas legibus soluta, non vi era potere assoluto al di sopra della legge». Completamente diversa la situazione nella Francia settecentesca, terribilmente oppressa dalla povertà, e in cui, una volta scoppiata la rivoluzione, questa sarà continuamente incalzata dal ribollimento della plebaglia delle grandi città, dalle rivendicazioni delle masse misere. Inoltre la Francia non aveva mai conosciuto libere istituzioni, era vissuta sempre sotto la cappa della monarchia assoluta. Ed è fin troppo naturale che una rivoluzione sia predeterminata dal tipo di governo che essa abbatté: «Nulla perciò appare più plausibile che spiegare il nuovo assoluto, la rivoluzione assoluta, mediante la monarchia assoluta che la precedette, e concludere che quanto più assoluto è il sovrano, tanto più assoluta sarà la rivoluzione che lo rovescia e lo sostituisce». Così a una monarchia assoluta succedette una dittatura dispotica; ovvero a una monarchia assoluta, che aveva collocato un elemento assoluto, la volontà del principe, nel cuore dello Stato, succedette un regime che si fondava (o diceva di fondarsi) su una volontà assoluta, quella del popolo. In questo quadro si spiega il fatto che la Rivoluzione americana si ispirò largamente a Montesquieu, mentre la Rivoluzione francese si ispirò largamente a Rousseau (che aveva ripreso la propria teoria della sovranità dalla concezione assolutistica di Hobbes). Su questo punto l'Autrice ha osservazioni molto fini: «Quella che gli uomini della Rivoluzione americana consideravano una delle più grandi innovazioni del nuovo governo repubblicano, ossia l'applicazione e l'elaborazione della teoria di Montesquieu sulla divisione dei poteri all'interno dello Stato, ebbe un ruolo assolutamente secondario nel pensiero dei rivoluzionari europei di tutti i tempi: fu respinto subito, ancor prima dello scoppio della Rivoluzione francese, da Turgot per rispetto della sovranità nazionale, la cui "maestà" - e majestas era stato il termine originale di Jean Bodin, che poi egli tradusse con souveraineté - esigeva manifestamente un potere centrale indiviso». Su questo punto gli uomini della Rivoluzione francese furono tutti d'accordo, non meno di quanto gli uomini della Rivoluzione americana furono d'accordo sulla necessità di limitare il potere del governo,
Anche sulla "volontà generale" rousseauiana, e sul ruolo che essa ebbe durante la Rivoluzione francese, l'Autrice ha osservazioni molto acute. La vecchia teoria, ella dice, che insisteva sul consenso popolare come requisito necessario per un governo legittimo, era inservibile per Robespierre e per i giacobini. La loro dittatura escludeva che essi potessero misurare realmente il consenso popolare; essi ritenevano di incarnare la volontà del popolo. Ora, tale volontà del popolo che essi ritenevano di incarnare era appunto la volontà generale teorizzata da Rousseau: ovvero una volontà che sostanzialmente escludeva ogni processo di scambio di opinioni e ogni eventuale tentativo di mediare fra opinioni diverse. La volontà, se deve agire, deve essere una e indivisibile («Il faut une volonté UNE!»).
Tutt'altra la posizione degli uomini della Rivoluzione americana: essi si opponevano alla pubblica opinione concepita come potenziale unanimità di tutti; essi sapevano che la vita pubblica, in una repubblica, era costituita da uno scambio di opinioni fra eguali,"e che questa vita pubblica sarebbe semplicemente scomparsa nel momento stesso in cui questo scambio fosse divenuto superfluo, in quanto tutti gli eguali si trovavano ad avere la stessa opinione. Nelle loro argomentazioni essi non si riferirono mai alla opinione pubblica nel modo in cui lo facevano invariabilmente Robespierre e gli uomini della Rivoluzione francese: ai loro occhi il dominio dell'opinione pubblica, concepita come un blocco compatto, era una forma di tirannia. ...
Dunque, per Hannah Arendt il faro di luce della storia moderna è la Rivoluzione americana, non la Rivoluzione francese. Perché la prima ha assicurato ai cittadini la libertà politica, mentre la seconda è finita nel disastro del Terrore.

Anticipazione dal libro di Giuseppe Bedeschi,
Liberalismo vero e falso, di imminente pubblicazione presso
la casa editrice Le Lettere di Firenze.

il sole 24 ore, 9 novembre 2008