Nel nostro mondo del benessere è difficile immaginare che l'invenzione di una banale pentola possa salvare delle vite umane.
Ma per cinquantamila donne indiane la pentola Envirofit rappresenta una svolta.
Questo apparecchio prodotto da un'associazione non profit si sta diffondendo a gran velocità negli Stati del Kerala, Karnataka, Tamil Nadu. Usando una semplice tecnologìa chiamata "a combustione totale", e gli scarti di legno come combustibile, la pentola offre vari vantaggi. Riduce del 40% i tempi di cottura rispetto alle tradizionali stufe in pietra usate da millenni nei villaggi indiani.
Un altro aspetto è ancora più importante per la salute: al risparmio di carburante si accompagna una riduzione dell'80% delle emissioni carboniche dannose. Ogni anno in India 400.000 persone muoiono per l'uso domestico dei combustibili chiamati "biomasse solide", come appunto il legno, la paglia, o gli escrementi animali essiccati. Bruciandoli nei forni in pietra tradizionali, le loro esalazioni sono tossiche. A volte uccidono sull'istante, quando di notte le casupole dei contadini poveri si trasformano in micidiali camere a gas. Altre volte la morte è lenta, attraverso malattìe respiratorie e cardiocircolatorie provocate dalla costante inalazione dei gas.
Una sola pentola può rappresentare il confine tra la vita e la morte, tanto più in un Paese dove centinaia di milioni di abitanti non hanno accesso ad acque potabili e pulite, e quindi la bollitura è essenziale per ridurre le epidemie di infezioni gastrointestinali.
Dove ho trovato queste informazioni? La "notizia dietro la notizia" è questa: esiste un sito Internet, www.thebetterindia.com, che si è specializzato nel divulgare fatti positivi che accadono in India.
Non è propaganda governativa. È un punto di raccolta e di comunicazione di micro-esempi del cambiamento, storie di eroine e di eroi sconosciuti, gente che attraverso gli sforzi quotidiani sta cambiando la propria esistenza e la comunità in cui è nata. The Better India non vuole spandere ottimismo ingenuo, il tono del sito non è stucchevole. È un'operazione semplice e trasparente: dà visibilità a tante vicende positive che altrimenti resterebbero sotto la linea d'ombra, sfuggirebbero ai radar dei mass media. The Better India non va a caccia di grandi scoop, di svolte epocali, si accontenta di collezionare episodi di "progresso incrementate", quei miglioramenti graduali che messi assieme fanno massa critica e creano le premesse dì un futuro migliore.
Un'altra di queste storie ha per protagonista la tribù Sahariya. È un gruppo etnico nomade, una delle tante "minoranze tribali" che in india stanno un gradino ancora più in giù rispetto alla casta degli intoccabili (perché le caste-inferiori almeno hanno un ruolo nella religione induista, mentre i tribali sono solitamente non-indù).
Le donne Sahariya sono così povere che spesso sono costrette a prostituirsi. Ora una speranza esiste anche per loro. Si chiama Tara (Technology and Action for Rural Advancement), è un'iniziativa non profit che ha creato un'officina artigianale per la produzione di carta fatta a mano. L'impianto pilota sì trova a Orchha, nello Stato del Madhya Pradesh, e dà lavoro a 60 donne.
Il principio è semplice: i promotori dì questo progetto hanno notato la grande abilità manuale delle donne Sahariya, sviluppata nel raccogliere, sminuzzare e legare ì ramoscelli di legno che vendono nei villaggi. Questa manualità è stata applicata alla lavorazione della carta. Riciclando scarti di cotone, di tessuto denim dei jeans, di fibre e carta usata, l'officina di Orchha sforna carta da lettere, buste, quaderni di buona qualità. Adesso queste donne Sahariya non solo si sono liberate dallo spettro della miseria, ma hanno formato una cooperativa che fornisce corsi di alfabetizzazione e istruisce altre giovani apprendiste. 29 villaggi della zona sono diventati "soci" di questa cooperativa che è diventata anche un centro prezioso per la raccolta del risparmio e il microcredìto, uno strumento contro quell'usura che spesso minaccia i più poveri.
di Federico rampini, La repubblica delle donne, 20 GIUGNO 2009