giovedì 25 giugno 2009

E se cambiassimo punto di vista?

Se, non dico in ogni ora del giorno, ma almeno talvolta adottassimo questo punto di vista che relativizza il significato e l'importanza della vicenda umana nell'economia dell'universo, forse tanta violenza, tanta ansia di potere, tanta sopraffazione, che da sempre caratterizzano la storia dell'uomo, non penso che sparirebbero, ma certamente troverebbero una loro misura, e soprattutto si scoprirebbe forse l'amore, che è poi l'unica cosa che giustifica l'esistenza umana nel breve attimo in cui le è dato di vivere.


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E SE CAMBIASSIMO PUNTO DI VISTA?
Scrive Platone nelle Leggi (903 e) "Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo e un orientamento a esso. E, anche se tu non ti accorgi, non per te infatti questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica".


Per me l'uomo va visto e va definito stando d'altra parte dell'universo; va collocato e idealmente confrontato con il tempo e la dimensione del cosmo! Sì, perché qualsiasi descrizione si voglia fare, a una distanza Intermedia, non sarebbe mai idonea perché parziale, limitata, orba. Ancor meno è sensata una descrizione antropocentrica.
Che attendibilità, infatti, ha una descrizione del mondo fatta dal chiuso della propria casa? Perciò, una volta arrivati d'altra parte, e solo allora, ci si potrà disporre finalmente a ricercare e a ritrovare quell'uomo perduto e lontano, quell'uomo sperso e ormai praticamente invisibile: "Egli sarà pure da qualche parte, in una direzione qualsiasi, forse nascosto dallo splendore di una stella nascente o da una qualche nube galattica...?".
Mi ripeto: è da lì, e solo da li, di fronte a quello spettacolo d'immane e maestosa grandezza, a quell'esplosione del "tutto", che si dovrà finalmente iniziare II ritorno. Solo allora l'uomo potrà finalmente vedersi nella sua reale dimensione e apprezzarsi come quello straordinario sussulto che, a suo modo, "brilla" al pari, se non più, dì un'intera galassia.
Solo allora potrà sinceramente amarsi senza presunzione e tracotanza sia nella sua estrema fragilità e finitezza che nella sua fantasmagorica avventura esistenziale. Solo dopo essersi "terapeuticamente" umiliato, marginallzzato e aver portato allo stremo ogni possibile rivoluzione copernicana, l'uomo potrà veramente rifondare la sua esistenza e riappropriarsi del suo destino.
Dice Kant: "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me". E io, uomo d'oggi, molto (!) modestamente aggiungo che iI cielo non è solo sopra di me perché io sono nel cielo. Noi siamo gocce di cielo nel cielo e il cielo è iI nostro mare! È così che penso che partendo da questo profondissimo sentire, possa rinascere una nuova e potentissima morale più rispettosa dell'uomo e del suo meraviglioso mondo "celeste" e dell'uomo, in quanto "goccia", nel mondo, in quanto "mare". Carlo Mattei, Napoli

Risponde Umberto Galimberti:
Quello che lei disegna è il senso dell'uomo sulla Terra, al di là di tutte le rappresentazioni religiose che fanno dell'uomo il centro dell'universo.
Tutti infatti conoscono quella frase orgogliosa di Pascal (Pensiero 264): "L'uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura, ma è una canna pensante. E anche quando l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe sempre più nobile di ciò che lo uccide, dal momento che egli sa di morire, mentre l'universo non sa nulla".
Nessuno, invece, si prende mai cura di ricordare quell'altra considerazione abbastanza angosciata sempre di Pascal (Pensiero 205): "Gettato nell'infinita immensità degli spazi che ignoro, e che non mi conoscono, provo spavento". È lo spavento, in una visione cosmica, dell'insignificanza dell'uomo sulla Terra, a cui Platone in parte allude nella frase che abbiamo citato in apertura e su cui torna Nietzsche in Verità e menzogna in senso extramorale: "In un angolo remoto dell'universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c'era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della storia del mondo: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire.
Qualcuno potrebbe inventare una favola di questo genere, ma non riuscirebbe tuttavia a illustrare sufficientemente quanto misero, spettrale, fugace, privo di scopo e arbitrario sia il comportamento dell'intelletto umano entro la natura. Vi furono eternità in cui esso non esisteva; quando per lui tutto sarà nuovamente finito, non sarà avvenuto nulla di notevole. Per quell'intelletto, difatti, non esiste una missione ulteriore che conduca al di là della vita umana. Esso piuttosto è umano, e soltanto chi lo possiede e lo produce può considerarlo tanto pateticamente, come se i cardini del mondo ruotassero su di lui".
Se, non dico in ogni ora del giorno, ma almeno talvolta adottassimo questo punto di vista che relativizza il significato e l'importanza della vicenda umana nell'economia dell'universo, forse tanta violenza, tanta ansia di potere, tanta sopraffazione, che da sempre caratterizzano la storia dell'uomo, non penso che sparirebbero, ma certamente troverebbero una loro misura, e soprattutto si scoprirebbe forse l'amore, che è poi l'unica cosa che giustifica l'esistenza umana nel breve attimo in cui le è dato di vivere. Questo pensiero ci sfiora in occasione della morte di quelle persone, a noi vicine, che davano senso alla nostra vita. Custodiamo questo pensiero.

Repubblica delle donne, 20 giugno 200