«Dicono che nella mia poesia dove prevale la montagna invernale ci sia un senso di fine, di desolazione: io non l'ho mai intesa così. L'inverno è la stagione del sonno, dell'attesa, del sogno. Tutt'altro che una stagione di morte, ma una promessa di vita che, invisibile aspetta il richiamo della primavera» (Bianca Dorato)
Bernart de Ventadorn, amico caro / come potete rinunciare al canto / quando sentite di notte e di giorno / l'usignolo ricominciare contento? Ascoltate la felicità che regala! Tutta la notte canta tra i fiori: / d'amore ne sa più di voi»: questi versi provenzali, nella traduzione e interpretazione di Piero Marelli, mi fanno tornare alla mente quel passo della Bhagavad Gita che risuona: «Quegli che ha raggiunto l'equilibrio nel Brahman gioisce di un'imperitura felicità». Giacché mi sembra chiaro che l'uomo nel seguire il percorso mentale dell'immaginazione ha perduto qualcosa persino della felicità naturale che suscitano le cose e le persone attorno a noi. So che Marelli ha lavorato per anni alla versione dei poeti di Provenza, e questo
di Bernart de Ventadorn è il primo di una serie di tre libri, e si avvale dell'intelligente prefazione di Carlo Armoni che, citando la celebre «Can vei la lauzeta mover», ricorda l'imitazione dantesca: «Quale al-lodetta che 'n aere si spazia / prima cantando e poi tace contenta / de l'ultima dolcezza che la sazia». E mi pare appropriata anche la definizione di «traduzione esegetica, nel senso che il canto nuovo non si misura con il canto antico, ma lo pone davanti allo specchio e ne dà un ritratto, perché poi si torni, si tenti di ritornare all'originale». Grazie dunque a questo poeta che, nato a Limbiate (Mi), ha dietro le spalle un lungo lavoro sulla poesia e la pubblicazione dei molti libri, da Stralusc, Scheiwiller, 1987, a Edipo a Verano Brianza, Scheiwiller, 1998.
E mi sembra opportuno appaiare a questo ritorno occitanico anche il bel libro di una stupenda poetessa scomparsa lo scorso anno, Bianca Dorato, a cui il Centro studi Biagio Marin per la cura sapiente di Anna De Simone ha voluto dedicare I lenti giorni, scelta antologica 1984-2006 con una prefazione di Giovanni Tesio. Scrive la De Simone: «Quando la Dorato mi mandò la sua prima raccolta di versi, Tzantelei-na, questo libro di straordinaria bellezza mi ha molto aiutata in un momento drammatico nella vita della mia famiglia, trasmettendomi la forza di una parola nuova, avvolta in una luce metafisica abbagliante».
E, a proposito della «lauzeta» di Bernart, a me pare un analogo sentire in questi versi diPassagi della Dorato: «Tanta dolcezzaha cantato intorno a te - Tanta dossor a l'ha cantate antorn» e inDrere 'd lus: «Sul culmine della vetta bevevamo la gioia / senza misura, gioia e luce insieme
- Sei co dla bécca i beivio la gòj / a l'argalada, gòje lus ansema». Non starò a ripetere la lunga sequenza di libri che questa poetessa ci ha offerto, avendone già tanto parlato da queste pagine. Ma forse per i lettori è più utile conoscere un brano del suo ultimo scritto intitolato Percorsi di vita e di poesia che è allegato al volume: «Dicono che nella mia poesia dove prevale la montagna invernale cisia unsenso di fine, di desolazione: io non l'ho mai intesa così. L'inverno è la stagione del sonno, dell'attesa, del sogno. Tutt'altro che una stagione di morte, ma una promessa di vita che, invisibile aspetta il richiamo della primavera». Basta leggerla la sua poesia per comprendere questa gioiosa promessa.
O Bernart de Ventadorn, «La dousa vota ai auzida - La dolce voce ho ascoltato», interpretazione di Piero Marelli, La vita felice, Milano, pagg. 258, € 13,50; O Bianca Dorato, «I lenti giorni, poesia 1984-2006», a cura dì Anna De Simone, Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma, pagg. 76, s.i.p.
sole 24 ore, 26 ottobre 2008, Franco Loi