Assalto alla democrazia
L'accusa del filosofo americano Sheldon Wolin: in Usa e in Occidente la commistione tra politica e affari e l'alleanza tra Stato e grandi corporations ha prodotto un «totalitarismo rovesciato» basato sulla smobilitazione delle masse
di Remo Bodei Domenica Sole 24 ore 5 aprile 2009
Nel suo ultimo libro, Demo-cracy incorporated. Managed Democracy and the Spectre of Inverted Totalitarianism (Princeton and Oxford, Princeton University Press, pagg. 356, $ 29,96), Sheldon S. Wolin offre non solo una precisa diagnosi della democrazia americana, ma anche utili indicazioni sulla deriva che questo regime subisce in altre parti del mondo. Apparso poco prima dell'uscita di scena di George W. Bush, il volume contiene alcune tesi che le recenti scelte di Obama potrebbero rendere obsolete, ma il suo pregio e i suoi insegnamenti rimangono intatti.
Wolin (classe 1922) è, per certi aspetti, l'analogo americano di Norberto Bobbio. Già professore di teoria politica a Berkeley e a Princeton, autore di studi fondamentali su continuità e innovazione nel pensiero politico occidentale e di monografie su diversi classici della sua disciplina, rappresenta tuttora, per lucidità e onestà intellettuale, la coscienza critica della democrazia americana.
Del Tocqueville di La démocratie en Amérique, uno dei suoi testi preferiti, condivide l'idea che la democrazia possa fisiologicamente degenerare in un dispotismo mite, che lascia i cittadini in un perpetuo stato di minorità, preoccupandosi di assicurarne benessere e, al limite, di «levar loro totalmente il fastidio di pensare e la fatica di vivere».
Nega però la radicata convinzione che gli Stati Uniti siano la culla della democrazia moderna.
In origine la costituzione americana è, infatti, elitaria: ci sono voluti tre quarti di secolo prima di abolire formalmente la schiavitù e molto di più per assicurare il diritto di voto ai Neri e alle donne e quello di associazione ai sindacati.
Se il New Deal è considerato l'unica parentesi democratica nella storia americana, a partire dalla Grande depressione e fino a oggi la democrazia viene per Wolin progressivamente svuotata dall'interno. La diminuzione del tasso di eguaglianza e di partecipazione dei cittadini ai processi decisionali - assieme alla trasformazione del Paese in Superpower, entità personificata alla stregua di Superman - ha prodotto quello che egli chiama il totalitarismo rovesciato o, meglio, rivolto verso l'interno (inverted totalitarianism).
Questa nuova creatura si basa non sulla mobilitazione, ma sulla smobilitazione delle masse e, soprattutto, sulla commistione tra sfera pubblica e sfera privata, tra politica e affari: in particolare sulla robusta rete di alleanze tra stato e grandi corporations, tra governo e chiese evangeliche, tra centri di ricerca e un poderoso apparato militare-industriale che ha speso, solo nello scorso anno, 623 miliardi di dollari, ossia quanto erogano per gli stessi scopi tutte le altre nazioni della Terra messe insieme.
Non mediante rivoluzioni, bensì per spontanea evoluzione, la democrazia stessa genera quindi dal proprio seno questo mutante, che dirotta la paura provata nei confronti dei totalitarismi novecenteschi su nemici ubiqui, sta esterni, come i terroristi, che interni, come i delinquenti (un altro primato mondiale degli Stati Uniti è costituito dalla percentuale dei detenuti, 751 per ogni centomila abitanti).
Ovviamente, nei paesi di inverted totalitarianism non esistono né campi di concentramento, né persecuzioni di massa, né abolizione del diritto di voto (esso serve anzi a legittimare quella che Michelangelo Bovero ha definito «autocrazia elettiva»). I cittadini vengono in ogni caso indotti all'indifferenza o spinti ad assistere più che a partecipare alla vita politica. Del resto la promessa reaganiana di «liberare il popolo del peso del governo» va proprio in tale direzione.
Ampliando il raggio del discorso oltre Wolin, si può osservare come questo tipo di potere abbia avuto in Occidente il suo humus più fertile in un consenso ibrido, che in parte precede, in parte affianca la politica, abituata ad alimentarsene parassitariamente. Esso poggia sui miti e sulle aspettative di una cultura che privilegia 0 principio di piacere rispetto al principio di realtà, i desideri e i sogni di massa rispetto alla sobria analisi dei vìncoli imposti e delle possibilità suggerite dalle condizioni storiche effettive. Ciò favorisce la propensione di chi comanda a plasmare la realtà secondo la propria interessata visione del mondo, ad accrescere cioè sistematicamente la quantità e la qualità delle menzogne da sempre utilizzate per governare.
Il potere di persuasione, con i relativi apparati, rappresenta pertanto l'arma più potente dell'inverted totalitarianism, capace di far credere - a lungo quanto basta - alla presenza di armi di distrazione di massa in Irak, alla collusione di Saddam Hussein con Osama bin Laden o alla perfetta salute del sistema finanziario globale.
A tale sofisticata strategia contribuisce la ripresa di rozzi ma collaudati strumenti di manipolazione del consenso, quale l'appello al popolo inteso quale blocco omogeneo e compatto che diffida dei politici di professione, ma si fida di chi si autoproclama suo genuino interprete ed è in grado di travestire le decisioni che scendono dall'alto in esigenze che salgono; dal basso.
Comune a tutte le democrazie occidentali è il fenomeno del crescente abbandono della divisione dei poteri, avvertita come un intralcio, a favore dell'esecutivo (con la conseguente strisciante riduzione del parlamento a cassa di risonanza delle scelte del governo e la limitazione delle prerogative del giudiziario), una tendenza che, per alcuni versi, l'attuale crisi economica accentua nel conferire allo stato funzioni salvifiche nei confronti del mercato.
Anche se bisognerebbe capire a fondo le ragioni di una tale diffusa acquiescenza nei confronti delle oligarchie nascoste dietro paraventi democratici e quelle della concentrazione dei poteri nelle mani dell'esecutivo, da diversi segni sembra che - complice la crisi finanziaria ed economica - molti cittadini si stiano svegliando dal letargo politico. Lo scontento e la collera di quanti sono stati colpiti dal fallimento della Parmalat 0 della Enron, la rovinosa caduta del governo islandese e il furioso assalto di pochi giorni fa alla sede della Royal Bank of Scotland nella City di Londra sono tutti sintomi dell'incrinarsi del totalitarismo rovesciato.
Forse non si tratta, come si è scritto (anche sui muri della capitale britannica) di un ritorno della lotta di classe in versione inedita, ma di una chiara condanna della connivenza tra una politica che non ha voluto porre regole certe e controlli rigorosi ai mercati e le persone e le istituzioni che hanno accumulato ingenti fortune mediante spericolate operazioni finanziarie e che, invece di essere punite, continuano ad apparire come miracolate.
Le disuguaglianze estreme (e un'indagine di febbraio dell'Ocse mette gli Stati Uniti al quinto posto e l'Italia al sesto per differenze di reddito tra i più ricchi e i più poveri) vengono sempre meno tollerate e inducono a un maggior protagonismo politico e a una rivalutazione dell'ideale di eguaglianza, che la caduta del comunismo di stile sovietico aveva trascinato con sé.
Il rischio è che, dopo aver dettato legge, godendo di un'ampia delega pubblica, le oligarchie finanziarie ed economiche, rinegoziando le quote di potere con la politica (talvolta più debole dei potentati economici), mantengano il loro effettivo, seppur ridotto potere, in fogge sempre più "camaleontiche".
Inoltre, quanto durerà e come si evolverà da parte dei cittadini la voglia di partecipazione ai processi decisionali collettivi e al monitoraggio delle istituzioni?
Sarebbe evidentemente auspicabile che ciascuno apprendesse a dirigere la propria vita in maniera più autonoma, a sopportare il peso delle scelte scaricate su di lui da una democrazia matura ed esigente, dai non sempre piacevoli processi di modernizzazione o dalla necessità di riposizionarsi incessantemente in un contesto mondiale che muta incessantemente. Ma come contrastare in molti il disorientamento e la conseguente emorragia di senso da cui scaturisce la richiesta di certezze assolute, cercate spesso più nelle religioni e nei governi forti che non nella pratica e nel rafforzamento dei principi ispiratori della democrazia (eguaglianza, dignità e libertà dell'uomo, diritti)?