venerdì 20 gennaio 2012

Leggerezza e curiosità, il suo stile - Carlo Fruttero

Anche questo maestro di ironia ci ha lasciato. La strana coppia Fruttero-Lucentini l'avevo conosciuta tantissimi anni fa, nel 1968, con la meravigliosa raccolta di racconti "il dio del 36° piano", che contiene  "per chi lavoriamo" di Jack Vance , magnifico.
gg
--

L'ironia, la leggerezza, la curiosità sono stati tre elementi che hanno governato la vita di Carlo Fruttero.L'ultima volta che lo incontrai fu un paio di anni fa a Castiglion della Pescaia, in occasione del suo accattivante: Mutandine di chiffon. Da tempo Fruttero aveva lasciato Torino e si era stabilito nella sua residenza estiva, in una casa non lontana dal mare, dove trascorreva le sue vacanze anche Italo Calvino. Mi ricevette che era un pomeriggio di tarda primavera.
Aveva l'aria affaticata, ma elegante con indosso un maglione slabbrato, a collo alto. I problemi alla schiena non gli consentivano una posizione eretta. Parlò sdraiato sul divano. Gli chiesi se lì si vedeva con Lucentini, l'amico scomparso, l'uomo con cui aveva condiviso tante avventure intellettuali. Mi rispose che veniva di rado: «Franco non amava il mare e non poteva soffrire il vento, che qui è forte». Sentivo nelle sue parole il senso di un vuoto che era diventato abitudine. Poi si adattò a quell'assenza e accompagnò quel sentimento con una frase bellissima: «La vecchiaia è un aggiustamento continuo con cacciavite e chiave inglese. Tiri avanti. Anche la morte di Franco l'ho dovuta mandar giù e adesso quando scrivo, quando penso è come se mi sdoppiassi. Cerco sempre di vedere con il suo occhio quello che faccio». Lo spaventavano le persone che avevano un¿opinione su tutto. Aveva eletto una frase di Valéry a guida del proprio agire: non avere opinioni. Mi parlò anche della sua passione per i libri. Il primo romanzo letto fu Il corsaro nero: «Avrò avuto cinque anni, me lo leggeva la domestica veneta. Da allora ho vissuto di libri».

E di editoria, aggiungo. Fruttero lavorò a lungo insieme a Lucentini nella casa editrice Einaudi. Gli chiesi che ricordo personale aveva di Giulio Einaudi. «Indubbiamente fu un grande editore. Ma anche un divoratore di persone. Tipico dei sovrani: sceglieva uno, gli concedeva i suoi favori e poi senza una ragione precisa, lo distruggeva. Conosceva l'arte, chiamiamola così, di mettere l'uno contro l'altro: divide et impera. Praticava queste cose d'istinto, non credo che le avesse imparate. Devi essere tagliato per esercitare il potere. E nel potere ci può stare anche il lato meno nobile».

Fruttero si tenne sempre alla larga dal potere culturale. Non era posseduto dal demone della visibilità e del successo. E quando lo ha avuto, a cominciare dal romanzo La donna della domenica, non fu mai cercato. Gli chiesi se era orgoglioso della coerenza che col tempo aveva mostrato. «Orgoglioso direi di no. Di cosa dovrei vantarmi? Ho sempre seguito un unico principio: io speriamo che me la cavo. E adesso che la morte si avvicina spero solo che non mi faccia male».

Mi colpì il modo semplice con cui ne parlava, gli chiesi se la temesse. Rispose: «Non mi fa paura, ho un po' d'ansia per il fatto che al momento possa soffrire e dopo non so. Con Franco discutevamo della morte. Lui diceva: guarda Carlo non se ne può parlare in senso proprio. Va considerata come un viaggio. Ecco stiamo a vedere come sarà questo viaggio. La morte è inverosimile. Perché quello che succede dopo non è raccontabile. E allora, fino a quando non senti bussare i primi colpi non ci credi, non ti sembra possibile».

Fruttero ha vissuto senza aspettarsi molto. Questa fu la sua forza, il suo segreto: di non sentirsi invincibile. Solo così poteva scherzare, ridere, conversare. «Quando hai lasciato agli altri i destini del mondo a te resta tutto il bello della vita».

di Antonio Gnoli, La Repubblica, 16/01/2012