Elogio
della frugalità
Colloquio
di Serge Latouche di Gigi Riva
L'espresso,
4 gennaio 2012
Non
ci si può naturalmente aspettare che la destra sposi qualunque
teoria sulla decrescita né, tantomeno, che possa considerarla
"felice".
Ma
la vera novità, negativa secondo Serge Ljtouche, 71 anni, economista
e filosofo francese, ideologo della necessità impellente di
produrre e consumare meno (per vivere meglio), è che anche
molti giovani e meno giovani di sinistra già "riconvertiti
in verdi", stanno tornando a vecchi dogmi che misurano il
progresso con la capacità che hanno le fabbriche di sfornare beni,
Ascolta un Nichi Vendola che si dice affascinato dalla «provocazione
culturale di Latouche» ma per cui, per ora, la realtà è
quella di una decrescita molto infelice, e allarga metaforicamente le
braccia:
«Amo Vendola ma non ho mai creduto alla sua conversione
ideologica». Insomma: pur se ha messo la parola "ecologia"
nel nome del suo partito, non ha mai sposato fino in fondo le
conseguenze di una scelta davvero, e radicalmente, verde.
Gli
contrappone, attualizzandolo, un politico italiano del passato,
Enrico Berlinguer: «Nel 1977 lui usò il termine "austerità"
e non venne capito. Io dico la stessa cosa con un'altra parola:
"frugalità"».
La
nostra abbondanza frugale è la maniera «per superare un modello
consumista dissennato che è entrato in crisi, i cui caratteri
distintivi sono lo spreco e Io sperpero».
Serge
Latouche, una teoria -seppur affascinante - ha bisogno di un
progetto politico. E se anche una fetta di sinistra, in
epoca di crisi economica, pensa che la risposta sia la
crescita, allora lei ha poche chances.
«Il
problema è un cambiamento culturale profondo.
I giovani tornano al produttivismo perché
cercano un impiego che non hanno e non riescono nemmeno a immaginare
una società che crea lavoro senza essere dentro la logica della
crescita. Nessuno gliel'ha spiegata». ►
È
invece possibile.
«Partiamo
dalla considerazione opposta. Da diverso tempo la crescita, almeno
quella che noi conosciamo in Occidente e che negli anni più
floridi è stata al massimo nell'ordine del 2 per cento, non crea
posti di lavoro.
Ci
vorrebbe una crescita del 5-6 per cento per eliminare la
disoccupazione. Cifra evidentemente impossibile da raggiungere».
La
politica, o meglio gli economisti che hanno sostituito i politici, si
affannano su ricette che riducano i debiti pubblici e, se ci
riescono, rilancino lo sviluppo.
«Sì,
il famoso programma del vertice del G8 di Toronto del 2009 che si è
chiuso con la doppia impostura contenuta nelle parole "rilancio"
e "austerità". Basta andare a chiedere ai greci cosa
ne pensano di questa politica e dei suoi risultati catastrofici. In
Grecia il popolo aveva votato massicciamente per un partito
socialista che non è riuscito a realizzare i suoi progetti
perché,
a
causa della pressione dei mercati, si è visto imporre un'austerità
neo-liberale. Dopo il fallimento del socialismo reale assistiamo al
vergognoso scivolamento della socialdemocrazia verso il
social-liberismo. E non vale solo per la Grecia»,
Una
parte degli economisti di sinistra cerca in effetti di badare al
sodo: rilancio di consumi e investimenti per ridare un segno piò al
prodotto interno lordo.
«Lo
fanno alcuni intellettuali, come Joseph Stiglitz, che rilanciano
vecchie ricette keynesiane, ma è una terapìa sbagliata. Almeno
dagli anni Settanta i costi della crescita sono superiori ai suoi
benefici e stiamo esaurendo le risorse naturali.
Quella
della crescita è i solo un'illusione, un inganno che possiamo
perpetuare per qualche anno, ; non di più. Prendiamo l'Europa ad
esempio. Sia governi di sinistra come quelli di Papandreou o
Zapatero,quando c'erano, sia di destra come Merkel o Sarkozy,
continuano a proporre per uscire dalla crisi le stesse ricette
che l'hanno prodotta. Quando ci vorrebbe il coraggio di uscire dalla
logica della religione della crescita». Resta da capire con chi
lei immagina di realizzare questo progetto. «Con una sinistra che
sia davvero tale e che superi qualche tabù come quello dell'euro. La
moneta unica ci sta strangolando perché è supervalutata e ci
impedisce di fare politiche nazionali dì protezionismo
economico e sociale. Ci impedisce, di fatto, dì gestire la crisi
perché non possiamo svalutare la moneta ».
La
sua ricetta, decrescere, o "a-crescere" come lei ha
precisato, per alcuni evoca una lugubre stagione di privazioni e
rinunce.
«Siamo
entrati lentamente nel capitalismo, che è il sinonimo di
crescita, e lentamente ne usciremo. Grazie a un cambiamento lento, ma
ineluttabile.
Lavoreremo
meno per produrre meno. Se si produce meno si distrugge meno natura,
ma non è detto che si abbia necessariamente meno. Se invece di
cambiare automobile ogni due anni e computer ogni anno li
si cambia ogni dieci perché se ne producono di resistenti, la
soddisfazione del bisogno di possedere quegli oggetti è
esaudita ma c'è bisogno di meno denaro, dunque di meno
lavoro. E si avrà più tempo libero per relazioni e affetti».
C'è
da chiedersi cosa faranno i dipendenti di quelle aziende di
computer o auto.
«A
loro volta avranno bisogno di meno. E il nostro rapporto col
tempo che va completamente rivisto. Siamo così stressati
che dormiamo, in media, meno che in passato, guardiamo troppa
televisione, non facciamo sport, diventiamo obesi (altro
problema sociale) e non ci occupiamo dei nostri bambini».
Lei,
professor Latouche, sta dipingendo un perfetto modello occidentale.
Ma il mondo è assai più vasto.
«Infatti
"decrescita" è uno slogan da usare per i Paesi ricchi,
senza pretesa di imporlo ad altri. Io so solo, però, che l'ideologia
della crescita è catastrofica per tutti, a ogni latitudine. Ma
ciascuna società deve poi gestire il funzionamento
dell'a-crescita secondo i propri valori. I cinesi arriveranno a
pratiche ecologiche per poter stare meglio. Per gli africani la
parola crescita non ha granché senso e semmai devono pensare di
produrre di più nel settore alimentare. Ma stando attenti a
salva-guadare il territorio».
Tornando
a noi: è di gran moda l'espressione "sviluppo
sostenibile".
«Mi
spiace, non ci sto. Non c'è nessuno sviluppo che sia
sostenibile oggi. Abbiamo dissipato troppe risorse. Dovremmo
fare più attenzione. Penso sempre a due Tir che si incrociano sotto
il tunnel del Monte Bianco e uno porta l'acqua minerale francese a
voi, l'altro l'acqua minerale italiana a noi. Che spreco».
Che
altro guadagniamo dalla decrescita?
«Mi
viene in mente Baldassarre Castiglione e il suo "Il
cortigiano", in cui suggeriva al Principe di dare più tempo
alla vita contemplativa e alla riflessione e meno all'azione. Ecco,
il tempo per se stessi sarebbe davvero il regalo migliore della
decrescita».