Altro interessante punto di vista su Renzi da parte di Concita de Gregorio.
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FIRENZE
MATTEO Renzi è un populista di centro, posizione
finora scoperta sulla scacchiera della politica italiana. Ne abbiamo e
ne abbiamo avuti di destra, un paio di loro - gli uomini della
provvidenza di due diversi ventenni - hanno scritto pagine grottesche e
tragiche della storia di questo paese. Ne abbiamo di sedicente
sinistra, se non loro si sente a sinistra il loro elettorato, Grillo e
Di Pietro sono tra questi.
FIRENZE AL CENTRO avevamo prudenza e
convenienza, eredi della vecchissima Dc, finiani arrivati direttamente
dal Msi, moderati fuoriusciti dal Pd: un terzo polo fatto apposta per
le alleanze eventuali di governo, niente di particolarmente
appassionante per i milioni di elettori in fuga dalla politica, giovani
senza occupazione né avvenire, delusi e disillusi cui restano solo le
piazze per sfogare la legittima rabbia, con tutti i pericoli del caso.
Ora c'è Renzi.
Il discorso di ieri, alla Leopolda, fa piazza
pulita di tutto quel che si è detto e scritto, anche qui, alla vigilia:
la paura che hanno di lui molti dei dirigenti di centrosinistra,
l'ammirazione che suscita in Berlusconi, il seguito che ha o potrebbe
avere nella destra moderata leghista e cattolica, la sua incerta
identità di genere politico nel senso che, si legge su Internet tra i
commenti delle centinaia di migliaia di persone scatenate in un
furibondo dibattito, "Renzi è uno di destra, è un berluschino, la
sinistra non gli compare nemmeno nei sogni". Benissimo. Ieri erano
parole, oggi è un fatto. Domenica mattina, alla stazione Leopolda di
Firenze, il missile è partito. Può piacere o non piacere, si diceva
giorni fa, e l'impressionante ondata di reazioni viscerali che si
registrano in Internet mostra che molto piace e dispiace: comunque
accade, e nemmeno un cieco non vedrebbe che la "discesa in campo" di
Renzi è destinata a cambiare il panorama politico dei prossimi mesi -
forse anni - non solo a sinistra. Non c'è chi non veda che se si
presentasse come certo desidera fare alle primarie potrebbe cogliere un
risultato determinante, "pesare" molto, addirittura - si dice
sottovoce, ma si dice - vincere o comunque far perdere gli avversari
interni (a vantaggio di Vendola, aggiunge chi usa questo argomento
nella logica della guerra nella stessa metà campo). Che spiazzerebbe e
molto i leader del Terzo Polo e persino qualche leghista che si scalda
in panchina, per quanto bordo campo ministeriale. Le luci e le ombre
di Renzi erano tutte nel suo discorso di ieri, e vediamo dove e perché.
Non una parola su come si esca dall'agonia del berlusconismo.
Renzi
si vanta di aver pronunciato "tre o quattro volte in tre giorni il
nome di Berlusconi perché qui si parla di futuro e lui non è il
futuro". Applausi dei tremila adoranti in sala, vai Matteo. Tuttavia
l'uscita dalla pericolosissima fase finale del regime moribondo
richiede azione, intelligenza e misura: richiede che ci si metta in
gioco adesso, non che ci si proponga per quando ci sarà solo cenere e
che si faccia riscaldamento nel frattempo. Tenersi in forma per andare a
seppellire morti e feriti della battaglia finale non è un gesto di
generosità politica, per usare le parole che il sindaco cavalca.
Secondo: contribuire alla dissoluzione del Pd, perché questo può
accadere dopo il Big Bang, tenendolo buono solo come mezzo di trasporto
per sé medesimi e il proprio gruppo già selezionato di governo è un
genere di opportunismo che abbiamo già altrove visto all'opera. Un
genere che conosciamo bene, insomma, e di cui vorremmo liberarci non
solo a parole. Nei fatti Renzi è diventato sindaco grazie al Pd e conta
di arrivare a Roma sul medesimo autobus, o tramvia per restare a
Firenze, salvo poi congedare l'odiato apparato che - non si deve
dimenticare nemmeno un minuto - è fatto anche di sostegno economico,
organizzazione, militanza di base. Sono moltissimi quelli che "Renzi
non mi piace ma ho lavorato e lavoro per lui". Ciò detto, moltissimi
sono anche - e molti di più diventeranno - quelli che "Renzi non mi
piace ma l'alternativa qual è", perché ha ragione il sindaco a dire che
"la storia nuova la scrivono i pionieri e non i reduci" e al detestato
Renzi per il momento il Partito non oppone che veterani salvo che non
arrivi Zingaretti, potrebbe essere lui la carta sinora coperta ma sono
ipotesi, prudentissime illazioni.
Dunque, per restare alla
cronaca, non si può non osservare che otto su dieci delle cose che
Renzi dice sono condivisibilie largamente condivise dalla base del Pd,
che peraltro è una base anche istituzionale: decine e decine di
giovani sindaci e amministratori del Pd hanno parlato alla Leopolda,
Matteo Richetti presidente del consiglio regionale emiliano molto
convincente per quanto ex educatore di una parrocchia - pregio o
difetto secondo i punti di vista.
"Se la Direzione del partito
ci impedirà di candidarci lo faremo lo stesso", ha detto più o meno il
sindaco: sta reclutando "da sotto", dalla base amministrativa, e
sfoggia una possibile classe di governo fatta da Zingales, Ichino,
Gori.
Le cose che dice, le parole che piacciono. Non si ferma il
vento con le mani. Aprire e non chiudere. Le primarie ribaltano il
flusso: non il vertice che dà la linea ai dirigenti che spiegano alla
base. La base che sceglie. "Non prendo lezioni di economia da uno che
sta in una stanza in via del Nazarenoe non hai voti nemmeno del suo
condominio, le prendo da Luigi Zingales". Il quale dice che in Italia
ci sono "le migliori segretarie e i peggiori manager" perché è fondata
sul servilismo, e il servilismo "è la virtù dei buoni a nulla, quelli
che non hanno alternative".
Quelli capaci solo di annuirea mai
di dissentire, i giovani vecchi di cui le segreterie di partito sono
colme, forgiati come cloni. Non si può chiedere come fa D'Alema, si
legge sui blog, che i giovani si facciano avanti se hanno qualcosa da
dire e poi zittirli quando lo fanno. Oltretutto Renzi non è nemmeno
così giovane. La colpa semmai è stata quella di aver paura, in tutti
questi anni, che le capacità e i talenti altrui facessero ombra a chi
era al comando: non aver cresciuto pionieri. "Non si dividono gli
imprenditori dai lavoratori - urla il sindaco - si divide chi ha
coraggio da chi ha paura, chi ha voglia di rischiare da chi vive di
rendita, chi ha talento da chi ha le conoscenze giuste". Ovazione. E'
questo il cancro dell'Italia, la rendita, il nepotismo anche politico.
Qualcuno sa dargli torto? Il candidato parla a braccio.
Mostra
uno spezzone di "Non ci resta che piangere" per dire chea quelli che
dicono "ricordati che devi morire"- la crisi economica mondiale, il
rischio collasso - uno dice "me lo segno", intanto prova a fare. In
questo è bravissimo. Un grande comunicatore, dotee business di
famiglia, è cresciuto nell'azienda paterna così, guardando i video di
Berlusconi.
Però poi dice per battere Grillo basta dimezzarei
parlamentari, eliminare i vitalizi, fare in modo che "l'esempio parta
dall'alto, lo so che non risolve ma è un segnale", nel paese al
collasso basta privilegi. Liquida Vendola con una battuta, "ha fatto
cadere il governo Prodi quando ero all'università", Bersani con mezza, i
reduci e il vento. Lo acclamano. Nella disperazione del pantano è
qualcosa che si muove. La "sinistra radicale" lo disprezza: è l'unto
di Arcore.
La colpa è aver lasciato il pantano fiorire di
mucillagine. Essersi arroccati in difesa finora uccidendo tutto ciò che
poteva portare nuova vita.
Autodifesa generata dalla paura. Da ieri c'è Renzi. Può piacere molto o pochissimo, ma c'è. Avanti gli altri.
- CONCITA DE GREGORIO
Repubblica - 31 ottobre 2011