VITTORIO ZUCCONI , Repubblica 06 novembre 2011
Pare che dovremmo anche essere
contenti. Ai 900 canali circa (ma potrebbero essere aumentati di
numero mentre scrivo, con nuovi network cinesi, polacchi, nigeriani,
uzbechi) che il mio fornitore via cavo qui negli Usa mi offre, alle
esondazioni di video su richiesta (che suona più furbo se detto in
inglese: on demand ), al telefonino molto smart che spalanca
finestrine sull' universo, ora YouTube aggiungerà 100 nuovi servizi
di televisione.
Non più spezzoncini, asini che volano,
professoresse che copulano con studenti, catastrofi automobilistiche
e idioti che si lanciano nelle cascate dentro una botte con commento
musicale heavy metal, ma proprio emittenti con programmi originali,
intrattenimento, informazione, musica. E l' inevitabile "giornalismo
da strada", quello che tutti gli editori sognano perché non
costa niente. Noi giornalisti da carta, o noi tragici profughi dei
televisori italiani con due bottoni, uno per il primo, l' altro per
il secondo, dovremmo rallegrarci malignamente.
L' invasione di campo dell'
invadentissimo YouTube segnala per i network televisivi tradizionali
lo stesso futuro di irrilevanza che è stato riservato alle
telescriventi, alle linotype, alle bozze umide, a noi e a quella
rimpianta ed estinta specie chiamata «correttori». Senza i quali
giornali, periodici, blog, siti ribollono di errori di ortografia. È
ovvio che la frammentazione del mercato in migliaia di canali tutti
lanciati a inseguire la stessa pubblicità di telefonini e di gelati
- il numero possibile è infinito - trasformerà i già ridicoli
telegiornali di oggi in altarini shinto davanti ai quali si
raccoglieranno le ultime vedove del teleschermo, come le vedove nelle
case giapponesi davanti al ritratto del marito defunto a Okinawa.
Televisione e Internet, che avevano
promesso di divorare l' informazione e l' intrattenimento come erano
esistiti fino agli anni Sessanta nel mondo più evoluto e ancora oggi
nei Paesi più arretrati come l' Italia, stanno divorando se stesse,
perché in un panorama infinito di possibilità, con i miraggi di
democrazia orizzontale che esso promette, alla fine nessuno guarderà
più niente. Il famoso monito di Federico il Grande di Prussia,
quando avvertiva i suoi generali che «colui che vuole difendere
tutto finisce per non difendere niente», si sta applicando anche
alla comunicazione. Che, offrendo tutto, finisce per non offrire
niente. Chi guarda tutto, non guarda niente.
Già oggi il frullato ellittico di
immagini audiovisive che i media si scambiano incestuosamente, con
YouTube che propone spezzoni di programmi tv e programmi tv che
propongono clip rubate a YouTube, lascia nell' utilizzatore finale
una vertigine di déjà vu.
Che cosa possano offrire questi canali
nuovi che non sia già stato visto, ascoltato, prodotto, che non sia
disponibile su richiesta, pardon, on demand, è un mistero che
neppure il menù di stelle e autori che propone risolve.
Il rischio è quello contenuto in un
celebre aforisma: ho dato una festa bellissima e nessuno è venuto.
Fu nel 1951, quando la televisione già aveva invaso gli Stati Uniti
e l' Italia ancora attendeva l' epifania di Lascia o raddoppia? che
il grande Richard Matheson pubblicò una delle sue più bizzarre e
sinistre storie di horror fantascientifico, Through Channels,
"attraverso i canali". Qualcosa, qualcuno, emerse dal
televisore per divorare chi lo guardava, lasciandosi dietro un solo
indizio: una parola illuminata sul piccolo schermo in bianco e nero:
«Feed». Dammi da mangiare, sfamami. Quanti canali dovremo sfamare,
ora? -