mercoledì 9 novembre 2011

Mille canali e niente da guardare


VITTORIO ZUCCONI , Repubblica 06 novembre 2011
Pare che dovremmo anche essere contenti. Ai 900 canali circa (ma potrebbero essere aumentati di numero mentre scrivo, con nuovi network cinesi, polacchi, nigeriani, uzbechi) che il mio fornitore via cavo qui negli Usa mi offre, alle esondazioni di video su richiesta (che suona più furbo se detto in inglese: on demand ), al telefonino molto smart che spalanca finestrine sull' universo, ora YouTube aggiungerà 100 nuovi servizi di televisione.

Non più spezzoncini, asini che volano, professoresse che copulano con studenti, catastrofi automobilistiche e idioti che si lanciano nelle cascate dentro una botte con commento musicale heavy metal, ma proprio emittenti con programmi originali, intrattenimento, informazione, musica. E l' inevitabile "giornalismo da strada", quello che tutti gli editori sognano perché non costa niente. Noi giornalisti da carta, o noi tragici profughi dei televisori italiani con due bottoni, uno per il primo, l' altro per il secondo, dovremmo rallegrarci malignamente.
L' invasione di campo dell' invadentissimo YouTube segnala per i network televisivi tradizionali lo stesso futuro di irrilevanza che è stato riservato alle telescriventi, alle linotype, alle bozze umide, a noi e a quella rimpianta ed estinta specie chiamata «correttori». Senza i quali giornali, periodici, blog, siti ribollono di errori di ortografia. È ovvio che la frammentazione del mercato in migliaia di canali tutti lanciati a inseguire la stessa pubblicità di telefonini e di gelati - il numero possibile è infinito - trasformerà i già ridicoli telegiornali di oggi in altarini shinto davanti ai quali si raccoglieranno le ultime vedove del teleschermo, come le vedove nelle case giapponesi davanti al ritratto del marito defunto a Okinawa.
Televisione e Internet, che avevano promesso di divorare l' informazione e l' intrattenimento come erano esistiti fino agli anni Sessanta nel mondo più evoluto e ancora oggi nei Paesi più arretrati come l' Italia, stanno divorando se stesse, perché in un panorama infinito di possibilità, con i miraggi di democrazia orizzontale che esso promette, alla fine nessuno guarderà più niente. Il famoso monito di Federico il Grande di Prussia, quando avvertiva i suoi generali che «colui che vuole difendere tutto finisce per non difendere niente», si sta applicando anche alla comunicazione. Che, offrendo tutto, finisce per non offrire niente. Chi guarda tutto, non guarda niente.
Già oggi il frullato ellittico di immagini audiovisive che i media si scambiano incestuosamente, con YouTube che propone spezzoni di programmi tv e programmi tv che propongono clip rubate a YouTube, lascia nell' utilizzatore finale una vertigine di déjà vu.
Che cosa possano offrire questi canali nuovi che non sia già stato visto, ascoltato, prodotto, che non sia disponibile su richiesta, pardon, on demand, è un mistero che neppure il menù di stelle e autori che propone risolve.
Il rischio è quello contenuto in un celebre aforisma: ho dato una festa bellissima e nessuno è venuto. Fu nel 1951, quando la televisione già aveva invaso gli Stati Uniti e l' Italia ancora attendeva l' epifania di Lascia o raddoppia? che il grande Richard Matheson pubblicò una delle sue più bizzarre e sinistre storie di horror fantascientifico, Through Channels, "attraverso i canali". Qualcosa, qualcuno, emerse dal televisore per divorare chi lo guardava, lasciandosi dietro un solo indizio: una parola illuminata sul piccolo schermo in bianco e nero: «Feed». Dammi da mangiare, sfamami. Quanti canali dovremo sfamare, ora? -