Tra le cause: l’impennata del prezzi dell’oro che ha trasformato il metallo in un vero e proprio bene di investimento da un lato; l’aumento del bisogno immediato di liquidità delle famiglie dall’altro.
La denuncia nella regione emiliano romagnola arriva dall’Italia dei Valori. Il 26 ottobre, la consigliera regionale Liana Barbati, ha presentato una mozione, approvata all’unanimità, nella quale denuncia il fenomeno in crescita e richiede l’istituzione di controlli, dato che “la procedura amministrativa attuale sulla concessione delle licenze è fin troppo semplice, mentre – prosegue la Barbati – il controllo della filiera è pressoché inesistente. Questo da ampio spazio a chiunque voglia sfruttare tutte quelle famiglie che trovandosi nei guai a causa della crisi, hanno iniziato a vendere sempre di più i propri effetti personali. Siamo ai livelli dell’usura”.
A conferma, l’azione della Guardia di Finanza che difatti sta indagando il campo da tempo: “Il fenomeno esiste ed è diffuso”, spiega il colonello del comando provinciale di Bologna, Giorgio Viale. Spesso alle attività di “compro oro” sono soggette a infiltrazioni da parte delle associazioni mafiose, che utilizzano tali attività come copertura per riciclare proventi illeciti (come denuncia la risoluzione regionale e come comprovato dai dati diffusi dalla Guardia di Finanza), e più in generale si associano episodi criminogeni secondo cui “i sequestri di pietre preziose nei settori di falso, truffa, contraffazione, usura, ricettazione e violazione delle leggi di pubblica sicurezza ammontano (per tutto il 2009 e nei primi dieci mesi del 2010) a oltre 2 milioni di euro. E vicini alla stessa cifra sono quelli relativi alla minuteria e agli oggetti di gioielleria”.
Tuttavia, quantificare le agenzie indagate è a oggi quasi impossibile: le Fiamme Gialle hanno difficoltà nel distinguere i rivenditori dalle normali gioiellerie perché “questi esercizi – spiega il colonnello – utilizzano per la registrazione alla Camera di commercio la stessa codifica merceologica delle gioiellerie ed è dunque è molto difficile quantificarli o identificarli separatamente”. In tutta Italia, i finanzieri stanno svolgendo indagini più approfondite perché: “non basta una semplice verifica come si può fare per un esercizio commerciale qualsiasi – spiega il colonnello Viale – Serve un approccio mirato, con identificazione sul posto”. Non solo: sempre più spesso i compro oro e le oreficerie iniziano a convergere. “Molte oreficerie si sono convertite in compro oro a causa del calo delle vendite di oggetti preziosi nuovi”, spiega Andrea Zironi il presidente dell’associazione di categoria, l’Anopo (Associazione Nazionale Operatori Professionali in Oro).
Il fatto è che i compro oro non sono un esercizio commerciale qualsiasi. L’attività di comprevendita dei rivenditori di oggetti aurei, è “a tutti gli effetti un’attività finanziaria, non commerciale, e come tale dev’essere normata – chiarisce il presidente degli orafi – “compro oro” è un’espressione gergale, perché in realtà si tratta di commercio di oro come materia prima. Azione che andrebbe parificata a quella delle operazioni bancarie”.
Al tal fine l’Anopo assieme all’Aire (Associazione italiana responsabili antiriciclaggio), ha presentato una proposta di legge, che prevede, oltre alla suddetta equiparazione dell’attività di compro oro a quella di intermediazione finanziaria, meccanismi di tracciabilità attualmente assenti, come per esempio l’obbligo di dettagliata ricevuta per il cliente, nonché una certificazione degli esercenti da parte delle forze dell’ordine in merito ai requisiti di onorabilità e professionalità necessari per rendere questa delicata professione affidabile. Per ora “ci troviamo di fronte ad una filiera di commercio illegale”, denuncia Zironi.
Ma come funzionano nel dettaglio i compro oro? Per iniziare l’attività, basta semplicemente andare in questura e richiedere una licenza per commercio in oggetti preziosi, che viene rilasciata senza alcun tipo di obbligo (al di fuori dell’incensurabilità dell’apertura della partita Iva). Il commerciante a questo punto , sarebbe tenuto a iscrivere nel “registro di carico e scarico”, secondo la norma dettata dal Testo Unico sulla Pubblica Sicurezza, l’acquisto dell’oggetto prezioso. Non è tuttavia obbligato al rilascio di alcuna ricevuta.
Allo stesso modo, al privato che volesse vendere oggetti preziosi, è sufficiente esibire un documento d’identità, senza alcun tipo di certificazione sulla provenienza materiale. “Ed è qui che subentra evidentemente il pericolo di riciclaggio – spiega Zironi – perché l’operazione non viene certificata in alcun modo. Per questo motivo nella proposta di legge chiediamo la tracciabilità di tutta la filiera”. Il punto più delicato, spiega il presidente degli orafi, è che “qui stiamo erogando denaro. Non solo i privati ricevono denaro contante in cambio di oro e oggetti preziosi, ma allo stesso tempo questi ultimi sono essi stessi denaro, perché vengono venduti alle fonderie per tornare a essere materiale prezioso originario”. Per questo “spesso dietro a questi esercizi – spiega il colonnello a capo delle Fiamme Gialle bolognesi – è facile che si annidi il reato di ricettazione: perché è il sistema più rapido per la monetarizzazione della refurtiva”.
Intanto, la Procura di Modena lancia l’allarme sul rischio di infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Modenese (tramite il procuratore aggiunto Lucia Musti) nelle attività di compravendita dell’oro. Basta poi non dichiarare l’acquisto dell’oggetto, in gergo tecnico “transazione trasparente”, e commettere “la classica evasione fiscale”, che si elude l’unica forma di controllo possibile. Non solo: nel nostro Paese, il mercato dell’oro è stato liberalizzato nel 2000, con la legge numero 7 del 17 gennaio che ha abolito l’Iva sull’oro da investimento (ovvero l’oro puro), svincolando il mercato dal monopolio da parte dell’Ufficio Italiano Dei Cambi senza tuttavia stabilire, come suddetto, specificazioni da parte di chi contrae affari maneggiando il metallo prezioso.
Ma c’è di più. Ogni negozio che acquista e vende oro si attiene ad un proprio listino e può effettuare le proprie valutazioni di stima autonomamente: le quotazioni ufficiali delle borse internazionali e delle mercuriali sono, infatti, meramente indicative e non vincolanti. La bilancia che viene utilizzata, inoltre, che dovrebbe essere tarata e controllata dagli uffici metrici della Camera di Commercio, anche qui senza alcun vincolo, capita invece che sia “aggiustata” per così dire: “Vi sono stati casi non sporadici in cui il rivenditore è stato denunciato per truffa sul peso dell’oggetto prezioso”, prosegue Zironi.
Un altro passaggio delicato, è la confusione tra l’oggetto prezioso e l’oro contenuto nella lega. “Se parliamo di lega a 18 carati, significa che il 75% del materiale dovrebbe essere oro. Ma stabilirlo con certezza è molto difficile, perché gli strumenti a disposizione come la pistola laser o gli acidi sono approssimativi. E il cliente non ha la controprova che sia diverso da ciò che il rivenditore gli comunica”. E infatti, basta farsi un giro per i compro oro di bologna, e sarà difficile trovarne uno che proponga il reale prezzo dell’oro sulla borsa: il materiale perde almeno il 30% del valore reale. Zironi conferma: “Entro con 30grammi d’oro, ed esco che me ne hanno pagati 17”.
Si capisce come la certificazione con la conseguente l’iscrizione all’Albo degli operatori professionali del settore istituito dalla Banca d’Italia (solo 348 sono attualmente iscritti) possa fare la differenza. Intanto, la mozione è già stata messa all’ordine del giorno in vari comuni, da Forlì a Reggio Emilia, mentre alcuni giorni fa, da un’operazione della Guardia di Finanza di Cesena è risultata un’evasione fiscale di quasi un milione di euro connessa alle attività dei compro oro della città.
da. il fatto