giovedì 17 novembre 2011

Berlusconi: quelle bugie sull 'euro


Da domani inizia ad operare il nuovo governo e contemporaneamente comincia la campagna elettorale. Sono sicurissimo che uno dei temi del nostro purtroppo immortale cavaliere sarà: usciamo dall'euro, come si stava bene con la lira, ecc.
Illuminante questo articolo di 5 anni fa...molto attuale, solo che la situazione economica ora è molto molto peggio!


Un bel cambio con l'euro a 1.500 lire, anziché 1936,27: ecco quel che si doveva fare per difendere il potere d'acquisto degli italiani! Fino a che punto è tollerabile che un presidente del Consiglio manipoli la realtà dei fatti, racconti fantasticherie economiche fuori del mondo, insomma dica castronerie a ruota libera come se parlasse a una platea di minorati mentali?

Domanda pressante, perché l'incredibile sortita è passata l'altra sera in tv senza che i presenti si sentissero in dovere di richiamare Silvio Berlusconi a non prendersi gioco dell'intelligenza degli italiani.
Certo che un cambio a quota 1.500 avrebbe spento ogni focolaio d'inflazione, magari portando la curva dei prezzi sotto zero.
Peccato che, con una rivalutazione di quella portata, il sistema produttivo domestico non avrebbe più esportato neppure uno spillo e il paese sarebbe caduto in una recessione drammatica con chiusura a catena di aziende e conseguenze spaventose in termini d'occupazione. Tutte cose che Silvio Berlusconi dovrebbe sapere benissimo visto che da mesi non perde occasione per imputare ogni colpa delle attuali difficoltà del «made in Italy» proprio al rafforzamento dell'euro sui mercati.
Ma poi, di che cosa parla il Cavaliere quando dice che lui sì sarebbe riuscito a strappare un cambio più forte nel negoziato con i partner europei? L'ineluttabile quota 1936,27 altro non è che il risultato quasi meccanico del rapporto di cambio che fu fissato non con la nascita dell'euro, ma quando la lira a fine '96 rientrò nel sistema monetario europeo, primo e indispensabile passo per non perdere il treno della moneta unica. 1 negoziatori italiani di allora dovettero sudare sette camicie per strappare il livello 990 nel cambio con il marco (valuta di riferimento del sistema) perché i nostri interlocutori volevano imporci quota 960, mentre l'intero sistema produttivo domestico - di cui Berlusconi si gloria di far parte - reclamava un cambio non inferiore alle 1.050 lire. Protestando che in caso diverso le nostre esportazioni sarebbero crollate.
E adesso lo stesso Berlusconi si vanta chelui sarebbe stato talmente bravo da chiudere la trattativa a un livello che, per arrivare poi alle fatidiche 1.500 lire, avrebbe dovuto essere allora di circa 750 contro marco? Ma si rende conto di quel che dice? Oltre tutto, una simile quotazione lira /marco non avrebbe retto sul mercato dei cambi neppure 24 ore e la lira sarebbe ri-schizzata fuori dallo Sme, perdendo ogni aggancio con il progetto dell'euro. Quindi, rinunciando a quel passo storico che ha consentito in questi anni - più di tutti proprio al governo Berlusconi - di realizzare enormi risparmi nella spesa per interessi sul colossale debito pubblico del paese.
Tema che apre un altro avvilente capitolo delle esternazioni televisive del premier. Il quale evoca come alibi assolutorio la tremenda eredità di debiti lasciata sulle sue povere spalle dai governi che lo hanno preceduto. Ma i governi del centrosinistra si trovarono sul groppone un rapporto debito/pil attorno al 124% e lo lasciarono nel 2001 appena sotto il 110%. Così recuperando ben quindici punti in cinque anni, alla media di tre per anno. Che ha fatto in proposito il Cavaliere dei miracoli? Nella migliore delle ipotesi, lascerà a consuntivo un debito fra il 108 e il 109% del Pil: sì e no un misero punticino di discesa in cinque anni di ininterrotto governo dei conti pubblici! Va bene che siamo ormai in campagna elettorale. Ma il tasso di mistificazione propagandistica raggiunto da Berlusconi va al di là di ogni indulgenza. Può darsi che nelle imprese berlusconiane viga ancora il vezzo per cui è d'obbligo ridere alle barzellette del capo. Ma lo Stato non è la Fininvest.


MASSIMO RIVA Repubblica, 2006_01_13