lunedì 1 novembre 2010

Il governo di Don Giovanni

IL PREMIER ha giustificato il proprio coinvolgimento nel caso Ruby con la frase «sono una persona di cuore».
Si tratta di una citazione pressoché letterale dal Don Giovanni di Mozart e Da Ponte, atto primo, scena decima.
Don Giovanni sta riuscendo a sedurre Zerlina sottratta a Masetto nel giorno delle nozze, e la sta portando al suo "casinetto" («Quel casinetto è mio: soli saremo e là, gioiello mio, ci sposeremo»), quand' ecco che compare Donna Elvira, sedotta e abbandonata, che gli fa una piazzata. Zerlina chiede a Don Giovanni «Ma, signor cavaliere, è ver quel ch' ella dice?» e Don Giovanni si giustifica: «La povera infelice è di me innamorata, e per pietà deggio fingere amore, ch' io son, per mia disgrazia, uom di buon cuore».
Ci sono affinità impressionanti tra i due cavalieri che vanno molto al di là della singola occorrenza. C'è anzitutto la commedia e la serialità: «ogni villa, ogni borgo, ogni paese è testimon di sue donnesche imprese», «Madamina, il catalogo è questo»,e ovviamente il gusto della lista, del "porle in lista", letteralmente, come si è visto. «Sua passion predominante È la giovin principiante». C' è la promessa, «Io cangerò tua sorte» a Zerlina, e il panem et circenses, come nell' ordine dato a Leporello per distrarre gli invitati al matrimonio: «Presto, va con costor; nel mio palazzo conducili sul fatto. Ordina ch' abbiano cioccolatta, caffè, vini, prosciutti: cerca divertir tutti, mostra loro il giardino, la galleria, le camere; in effetto fa che resti contento il mio Masetto». Cioè il promesso di Zerlina.
Ma c' è anche la vendetta delle donne. Così donn' Anna «Non sperar, se non m' uccidi, Ch'io ti lasci fuggir mai!», e la tendenza a cacciarsi nei guai. Leporello «Che tumulto! Oh ciel, che gridi! Il padron in nuovi guai».
E, per questo, la diffidenza per le intercettazioni «Ma mi par che venga gente; Non mi voglio far sentir».
E l' insofferenza per le critiche. Leporello: «Vi posso dire tutto liberamente?». Don Giovanni: «Sì». Leporello: «Dunque quando è così, caro signor padrone, la vita che menate è da briccone». Il Cavaliere non gradisce e minaccia di ammazzarlo, in barba al giuramento. Leporello: «Non parlo più, non fiato, o padron mio». Don Giovanni: «Così saremo amici». Sono le contraddizioni del Partito dell' Amore. Il buon cuore, in Don Giovanni, non vieta, come sappiamo, comportamenti criminali, per esempio violentare Donn' Anna e ucciderne il padre, venuto a vendicarla (commenta Leporello: «Bravo, due imprese leggiadre! Sforzar la figlia ed ammazzar il padre»). Ma è tutto in regola, se si legge l' autobiografia di Da Ponte troviamo lo stesso atteggiamento: grande spregiudicatezza nei comportamenti, accompagnata sistematicamente da auto-assoluzioni, molto probabilmente convinte,e proteste di onestà civile e di pietà cristiana.
C' è molto del carattere dell' italiano, dunque, ma c' è anche una cupa grandezza, nella fine (Don Giovanni muore piuttosto che pentirsi), che viceversa non è tanto nel carattere italiano.
A parte questo, si capisce come questa figura operistica possa suscitare passioni e identificazioni. Ci sarà tutto uno stuolo di Leporelli che nei confronti del Cavaliere sviluppa un rapporto di odio e amore «Notte e giorno faticar, Per chi nulla sa gradir, Piova e vento sopportar, Mangiar male e mal dormir. Voglio far il gentiluomo E non voglio più servir... Oh che caro galantuomo! Vuol star dentro colla bella, Ed io far la sentinella! Voglio far il gentiluomo E non voglio più servir...».
L' ipotesi che gli scandali siano un boomerang per gli avversari è probabilmente fondatissima: questa è una vita che fa sognare moltissime persone,e che forse e soprattutto redime molte esistenze tristi, che possono trovare una sorta di realizzazione allucinata nelle imprese del Cavaliere. Il fatto è però che il governo di Don Giovanni (ammesso che si possa parlare di un governo: «Troppo mi premono queste contadinotte; le voglio divertir finché vien notte») fa paura o alla lunga stufa. La prima del Don Giovanni ebbe luogo a Praga nel 1787, e solo due anni dopo sappiamo che cosa successe a Parigi.

MAURIZIO FERRARIS
Repubblica — 30 ottobre 2010