IL PREMIER ha giustificato il proprio coinvolgimento nel caso Ruby con la frase «sono una persona di cuore».
Si tratta di una citazione pressoché letterale dal Don Giovanni di Mozart e Da Ponte, atto primo, scena decima.
Don Giovanni sta riuscendo a sedurre Zerlina sottratta a Masetto nel giorno delle nozze, e la sta portando al suo "casinetto" («Quel casinetto è mio: soli saremo e là, gioiello mio, ci sposeremo»), quand' ecco che compare Donna Elvira, sedotta e abbandonata, che gli fa una piazzata. Zerlina chiede a Don Giovanni «Ma, signor cavaliere, è ver quel ch' ella dice?» e Don Giovanni si giustifica: «La povera infelice è di me innamorata, e per pietà deggio fingere amore, ch' io son, per mia disgrazia, uom di buon cuore».
Ci sono affinità impressionanti tra i due cavalieri che vanno molto al di là della singola occorrenza. C'è anzitutto la commedia e la serialità: «ogni villa, ogni borgo, ogni paese è testimon di sue donnesche imprese», «Madamina, il catalogo è questo»,e ovviamente il gusto della lista, del "porle in lista", letteralmente, come si è visto. «Sua passion predominante È la giovin principiante». C' è la promessa, «Io cangerò tua sorte» a Zerlina, e il panem et circenses, come nell' ordine dato a Leporello per distrarre gli invitati al matrimonio: «Presto, va con costor; nel mio palazzo conducili sul fatto. Ordina ch' abbiano cioccolatta, caffè, vini, prosciutti: cerca divertir tutti, mostra loro il giardino, la galleria, le camere; in effetto fa che resti contento il mio Masetto». Cioè il promesso di Zerlina.
Ma c' è anche la vendetta delle donne. Così donn' Anna «Non sperar, se non m' uccidi, Ch'io ti lasci fuggir mai!», e la tendenza a cacciarsi nei guai. Leporello «Che tumulto! Oh ciel, che gridi! Il padron in nuovi guai».
E, per questo, la diffidenza per le intercettazioni «Ma mi par che venga gente; Non mi voglio far sentir».
E l' insofferenza per le critiche. Leporello: «Vi posso dire tutto liberamente?». Don Giovanni: «Sì». Leporello: «Dunque quando è così, caro signor padrone, la vita che menate è da briccone». Il Cavaliere non gradisce e minaccia di ammazzarlo, in barba al giuramento. Leporello: «Non parlo più, non fiato, o padron mio». Don Giovanni: «Così saremo amici». Sono le contraddizioni del Partito dell' Amore. Il buon cuore, in Don Giovanni, non vieta, come sappiamo, comportamenti criminali, per esempio violentare Donn' Anna e ucciderne il padre, venuto a vendicarla (commenta Leporello: «Bravo, due imprese leggiadre! Sforzar la figlia ed ammazzar il padre»). Ma è tutto in regola, se si legge l' autobiografia di Da Ponte troviamo lo stesso atteggiamento: grande spregiudicatezza nei comportamenti, accompagnata sistematicamente da auto-assoluzioni, molto probabilmente convinte,e proteste di onestà civile e di pietà cristiana.
C' è molto del carattere dell' italiano, dunque, ma c' è anche una cupa grandezza, nella fine (Don Giovanni muore piuttosto che pentirsi), che viceversa non è tanto nel carattere italiano.
A parte questo, si capisce come questa figura operistica possa suscitare passioni e identificazioni. Ci sarà tutto uno stuolo di Leporelli che nei confronti del Cavaliere sviluppa un rapporto di odio e amore «Notte e giorno faticar, Per chi nulla sa gradir, Piova e vento sopportar, Mangiar male e mal dormir. Voglio far il gentiluomo E non voglio più servir... Oh che caro galantuomo! Vuol star dentro colla bella, Ed io far la sentinella! Voglio far il gentiluomo E non voglio più servir...».
L' ipotesi che gli scandali siano un boomerang per gli avversari è probabilmente fondatissima: questa è una vita che fa sognare moltissime persone,e che forse e soprattutto redime molte esistenze tristi, che possono trovare una sorta di realizzazione allucinata nelle imprese del Cavaliere. Il fatto è però che il governo di Don Giovanni (ammesso che si possa parlare di un governo: «Troppo mi premono queste contadinotte; le voglio divertir finché vien notte») fa paura o alla lunga stufa. La prima del Don Giovanni ebbe luogo a Praga nel 1787, e solo due anni dopo sappiamo che cosa successe a Parigi.
MAURIZIO FERRARIS
Repubblica — 30 ottobre 2010