E se provassimo a vivere con meno stress?
• Christopher Baker
UN tempo c'erano i bambini che giocavano per strada e schiamazzavano e c'erano già anche le automobili; oggi ci sono solo le automobili.
Un tempo, nelle piazze, c'erano le osterie; adesso ci sono i McDonald's e i wine bar. Un tempo, c'era sempre una chitarra alle feste, ricordo che cantavamo tutti; oggi vedo molti i-pod ed una solitudine assordante. Un tempo, nella cassetta delle lettere c'erano anche lettere d'amore; oggi ci sono le bollette, e le lettere, d'amore, mi dicono, viaggiano su internet. Un tempo si andava in cinque sulla cinquecento a fare le vacanze in Toscana ed era incredibile vedere anche troppe persone di una famiglia di Torino uscire dall'auto: la nonna, la zia, le cugine, e sopra c'era tutta la roba per fare il campeggio, oggi se non
vai alle Maldive o se non hai un SUV...
Un tempo c'erano i transatlantici, e questo per fortuna l'ho vissuto, e ci volevano minimo sei giorni per arrivare in America, poi arrivarono gli aerei ed adesso in America ci si va in sei ore. e non c'è più il viaggio, c'è lo spostamento.
Se mi volete veder piangere, chiedetemi della Queen Elisabeth, il più grande transatlantico che sia mai esistito. Un tempo c'erano i fumatori di pipa, dove sono spariti? lo seguivo sempre quel buon profumo (io non fumo) del tabacco olandese... non si sa più dove sono finiti! Un tempo c'erano i portinai di casa, e le porte di legno massiccio, con le chiavi grosse, di ferro; oggi ci sono le porte blindate e i codici numerici per entrare nei palazzi.
Un tempo ci voleva una giornata per fare un buon minestrone; oggi c'è il microonde che riscalda una scatola di cibo in due minuti. E cosi via... stop.
Però, per me, questo è un punto di partenza: quello che abbiamo conosciuto è fondamentale per far fronte a quello che stiamo vivendo in questo momento.
A parte il titolo "visionario" di questa serata che avevamo scelto prima della crisi che è successa in questi giorni, ma la bancarotta in questo momento non è solo delle banche e delle borse, è la bancarotta del Pianeta.
Io penso che tutto il discorso che stiamo facendo adesso sulla decrescita felice, con calma, ecc.. deve partire da un piccolo concetto di fondo: stiamo forse perdendo la base sulla quale noi abbiamo costruito la nostra esistenza dopo milioni e milioni di anni.
Alle volte penso che può darsi sia troppo tardi e che questa sia una sfida filosofica incredibile: pensare di proporre qualcosa di nuovo quando magari è già troppo tardi. Ma questo non deve, secondo me, bloccarci, perché abbiamo la possibilità, se individuiamo bene quali sono i veri ostacoli, di incamminarci per un cammino più felice e più dolce. Dobbiamo cominciare da quelli che io chiamerei "i limiti della ragione".
La nostra civiltà occidentale ha aperto al grande maestro di cerimonie: il pensiero razionale.
Ma il pensiero razionale è anche un pensiero micidiale: se fate caso, nella nostra civiltà, qualsiasi cosa che non riesce a trovare una definizione, che non riesce ad essere inscatolata in un'epistemologia, viene scartata, non si capisce, e quindi non esiste.
Questo è uno dei grandi ostacoli che abbiamo se vogliamo trovare un posto equilibrato e sostenibile nel grande. grande ecosistema della nostra Madre Terra.
Ho avuto la fortuna di conoscere e crescere con persone come Ivan Illich, Alexander Langer, Wolfgang Sachs e Serge Latouche. Mi hanno sempre fatto portare oltre lo sguardo oltre questi recinti della ragione, del pensiero razionale, che purtroppo, spesso e volentieri nella nostra recente storia della civiltà occidentale sono diventati pensieri riduzionisti, pensieri violenti, pensieri dittatoriali e ci hanno cacciato molto spesso in una solitudine involontaria.
Ci troviamo di fronte alle contraddizioni della nostra vita quotidiana e non sappiamo dove andare a sbattere per uscirne, perché sembra che da qualsiasi parte tu provi c'è sempre una grande mano che ti rischiaffa dentro per rientrare a fare il tuo bravo dovere di sostenitore di questo pensiero unico, di questa visione della vita.
Allora quello che noi dobbiamo fare è partire da un dato di fatto: ci hanno insegnato che la vita era una gara e che se eri bravo la potevi vincere. Ma la realtà, l'evidenza matematica, è che siamo un oceano di perdenti e i vincenti sono due o tre. Allora, che cos'è sta proposta? Vale la pena mettersi per tutta la vita ad inseguire un traguardo quando si sa che è irraggiungibile? Ed in più farci del male, e farlo agli altri, per inseguirlo?
Io penso che noi possiamo tessere piano piano un piccolo elogio del perdere: perdendo si imparano un sacco di cose! Nella storia abbiamo avuto l'indottrinamento della storia dei vincitori, ma non sappiamo invece quello che abbiamo perso: la storia dei vinti. Quella è interessante! Quella è un campo incontaminato in cui andare a studiare! Dobbiamo praticare un esame filosofico, non dobbiamo farci prendere dall'ansia di capire, di avere una risposta, una soluzione.
Tutte queste spinte positiviste ci hanno portato a creare la catastrofe che stiamo vedendo in questo momento. Per fare questo bisogna rivendicare (e per fortuna, forse ancora per un po', ce l'abbiamo) il diritto al sogno. Il sogno è il nostro grande serbatoio di energia. I sogni sono grandi, eloquenti; i sogni sono piccini; i sogni possono essere intimissimi o condivisi. Non c'è limite. Il sogno è quella zona d'innocenza che può essere anche incubo, e gli incubi sono anche loro un momento importanti, perché parlano i demoni che abbiamo dentro, quel caos che vogliamo domare e cancellare, ma che è fonte di vita.
Se non sbaglio, i grandi fisici del mondo stanno tornando alla teoria del caos, dopo aver fatto della teoria meccanicistica la base della loro ricerca, ecc, ecc. Il sogno come punto di partenza vuol dire rivendicare il diritto al piacere. Non deve diventare autoflagellazjone questo tentativo di tornare ad essere un po' più parte dell'ecosistema: dev'essere un piacere.
Se la decrescita vuol dire in molti casi fare meno, vuol dire anche guadagnare meno, vorrà dire consumare meno, vorrà dire essere meno pesanti, fare meno danni, allora avremo guadagnato invece cose come il nostro tempo, le nostre relazioni. Avremo la possibilità non solo di rallentare, ma di fermarci del tutto, e - quando vogliamo - di non fare un tubo. Cos'è questa roba che dobbiamo sempre essere in qualche operazione produttiva? Ciò è micidiale: sabato a casa e domenica a casa c'è sempre qualcosa da fare! Stiamo a letto, per un po'.
Però le cosi stanno così: il piacere per cominciare a rivivere; aprire gli occhi e le orecchie: levare i paraocchi e abbiamo addosso da tanto tempo e tutto a un tratto, cosa scopriamo? La bellezza. Non sarò io importato romantico, capelli biondi e occhi azzurri, venuto in Italia perché è il più bel paese del mondo a dirvelo. La bellezza è fonte di gioia di vivere. Questo è un paese dove sarebbe possibile vivere gioiosamente ogni giorno, se solo si ricordassero, per esempio di insegnare a scuola l'estetica e di spiegare perché è brutto un capannone di cemento dove prima c'era una chiesa cistercense; perché un paesaggio è tutto l'insieme, anche quello che sta alle tue spalle e che non vedi, non una robetta che sta lì in mezzo tra due obbrobri. La bellezza tifa godere, ti fa andare avanti.
L'hanno sperimentato nella città di Curitiba, in Brasile, che ha avuto un sindaco fantastico che ha deciso che il suo dovere politico era quello di rendere bella la sua città, ed è riuscito a farlo e s'è visto che dopo cinque o sei anni si era ridotta la delinquenza giovanile dell'80%. E poi noi facciamo questa vita stressata, accelerata, di corsa, sempre sotto pressione, e non curiamo più gli affetti.
Ecco cosa si guadagna perdendo tempo, perdendo soldi, perdendo lavoro.
Quindi dobbiamo riuscire a rimettere al centro della nostra visione della vita non
più solo un pensiero razionale, ma anche le emozioni. Non possiamo aspettarci che i nostri governi (che è una barzelletta già parlare dì governi, oggigiorno) possano risolvere l'andazzo attuale che fa sì che noi abbiamo saputo che siamo entrati nella fase in cui stiamo mangiando il capitale, l'altra metà delle risorse non rinnovabili e c'è già la data precisa in cui le risorse finiranno.
La decrescita non sarà fatta da un grande accordo dei governi, dal G8, ecc., sarà fatta da noi, uno per uno, e sarà fatta con sentimento, con emozione. La scommessa è questo rivivere di nuovo il diritto di essere commossi, sconvolti, spaventati, meravigliati, felici.
È una visione abbastanza bambinesca della vita quella che vi propongo, ma io non ho mai capito perché a 18 anni ci dicono che siamo diventati adulti e quasi tutti noi siamo cascati dentro la trappola del diventare adulti. Mica è obbligatorio, diventare adulti ed aspettare 40 anni per andare in pensione e per fare cose che volevamo fare
40 anni prima. Dov'è scritta questa roba qua?
Per concludere. Facciamo uno sforzo di contemplazione, che non è una passività da meditazione trascendentale su una montagna (può essere anche questo), ma una contemplazione attiva della natura. Star seduti in piazza e veder passare la vita, stare in montagna seduto a veder passare le nuvole, stare sulla spiaggia a guardare quella cosa incredìbile delle onde che arrivano sulla sabbia e non ce n'è mai una uguale all'altra. Impariamo l'empatia, cominciamo ad essere come certi fratelli in Africa Io sanno da tempo, non solo noi, ma anche albero, ma anche il vento, un tramonto (perché no?) e cosi cerchiamo piano piano di sviluppare dentro di noi il diritto alla fragilità. Rivendichiamo di essere fragili. non possiamo avere risposte a tutto.
Quello che comincia ad aver ragione su tutto poi vuole avere ragione e quando ha ragione vuol far la guerra, perché se lui ha ragione gli altri devono aver torto. Basta, basta! Chi se ne frega di aver ragione! La cosa importante è di star bene insieme già tra noi esseri umani, ma poi con tutti gli altri esseri viventi che abbiamo intorno a noi. Voilà.
Da: gaia, estate 2010
I lavoro è diventato una condanna, dentro un sistema che fa del profitto e del consumo gli unici scopi della vita. La velocità e l'arrivare primi sono diventati un mito distruttivo. Le persone non hanno più tempo per le emozioni, i sentimenti, le relazioni, il pensiero, la memoria, la festa, la vita! Non è assurdo tutto questo? Ozio, lentezza e nostalgia è un libro controcorrente e paradossale, scritto con l'inchiostro dell'ironia e dell'umorismo, un decalogo ideale in dieci capitoli, una dieta mediterranea per lo spirito. Principali ingredienti: ozio, lentezza e nostalgia. Vi si aggiungono, dentro il libro, la fuga (dalle convenienze) e la convivialità.
Ozio lentezza e nostalgia Decalogo mediterraneo per una vita più conviviale. Christoph Baker ed. EMI € 8.00