Dalle "lettere a Corrado Augias", la repubblica 24 dicembre 2008
La rubrica di oggi ha una struttura particolare. Contiene una lettera di cui credo valga la pena di raccontare la storia prima di trascriverne, di seguito, uno stralcio. La lettera è stata scritta da don Mimmo Battaglia, un sacerdote che presiede a S.ta Maria di Catanzaro il 'Centro calabrese di solidarietà' una delle comunità terapeutiche che fanno capo a don Picchi. La lettera, arrivata tramite la signora Adele Colacino di Catanzaro, mi è sembrata molto bella, soprattutto mi è sembrato che riportasse il Natale al suo originario significato cristiano così lontano da quella festa del consumo che è diventato, al quale anche la Chiesa sembra essersi adeguata. Don Battaglia ha immaginato che la lettera sia stata scritta dal pastore del presepe «che se ne sta lì con la bocca spalancata e gli occhi sorpresi che guardano in alto».
Quel pastore dice: «Anche quest'anno, risvegliato dal mio sonno nello scatolone di cartone, accanto agli altri miei compagni ed amici, ho sentito rinascere la meraviglia per il mondo che mi si costruiva intorno: la giovane donna disposta a donarsi a Dio e alla storia, il suo compagno falegname, paziente, fedele, aperto all'irrazionalità di sogni più grandi di lui, il piccolo Dio che piange lacrime di freddo e di fame. E poi la stella in cammino, i canti degli angeli, la notte che si risveglia, la gente, la natura.
Ma qualcosa di nuovo nasceva in me, un pensiero mi si insinuava nella mente: è tutto straordinario qui, ma cosa c'è attorno, fuori da quest'angolo di meraviglia? Questo tarlo penetrava sempre più a fondo nella mia testa, ma senza spegnere l'incanto, ed è stato con grande difficoltà che ho deciso di andare via, con difficoltà ma con un insopprimibile bisogno di capire, di vedere. Fuori dal presepe di legno, fuori dalle case e dalle chiese, sono andato in strada, nei posti che non conoscevo, a misurare il mio stupore su altri scenari, su strade diverse, in altre notti... Abbiamo colto l'essenziale perché eravamo poveri, come lo sono ancora oggi, la maggior parte dei vostri fratelli di questo mondo e di questo tempo.
"Natale della crisi economica": mi viene quasi da sorridere. L'economia non ha nulla a che vedere con il mio Natale. E nemmeno le vostre strade colorate di luci, i vostri panettoni, i vostri regali. Io non ho niente da darvi, nulla da dare a nessuno, non avevo nulla nemmeno quella notte di tanti anni fa: solo il mio stupore, il mio incanto, il mio silenzio, il mio esserci. Solo la speranza che il mio nulla fosse scritto in una storia infinita.
Il mio Natale uguale a quello di molti di voi oggi, bambini nelle baraccopoli dell'Africa, dell'America del sud, pensionate nelle case accanto alle vostre senza soldi per una bolletta o per le medicine, immigrati su una nave in fuga dalla disperazione, giovani donne in un carcere a combattere con la propria storia. Loro come me non hanno regali da portare o canzoni da intonare. Cercano solo l'essenziale, una risposta, il senso, forse l'incanto».