lunedì 7 luglio 2008

Le conseguenze del metano idrato

Trovata la soluzione per estrarre il gas dagli idrati, c’è un problema di sicurezza ambientale. E gli scienziati frenano.

DI STEFANO GULMANELLI

Nova, il sole 24 ore giovedì 26 giugno 2008

Notizia migliore per i giapponesi non poteva giungere in un momento in cui il prezzo del greggio schizza ai massimi storici. Seppure utilizzando infrastrutture di trivellazione ancora sperimentali, la Japan Oil, Gas and Metal National Corporation è riuscita a estrarre per più giorni consecutivi e su scala industriale gas da un giacimento di metano idrato nel permafrost artico.
È il coronamento di uno sforzo tecnologico avviato da Tokio da oltre un decennio per cercare di rendere sfruttabile l'unico combustibile fossile di cui il Paese del Sol Levante sembra essere ricchissimo, per l'appunto il metano idrato, detto in gergo anche "ghiacciobollente". La sostanza, formata da cristalli di ghiaccio che imprigionano molecole di metano (si veda il box), è infatti presente in enormi quantità lungo le coste del Giappone, al punto che il maggior giacimento mondiale conosciuto di metano idrato è considerato essere quello presente nella faglia oceanica detta «depressione di Nankai», 50 chilometri al largo di Honshu, l'isola principale dell'arcipelago giapponese.

Il "breakthrough" tecnologico è tale che potrebbe risolvere definitivamente quello che finora è stato un rebus: vale a dire come liberare e portare in superficie tutto quel metano intrappolato nelle profondità oceaniche e lì trattenuto da bassa temperatura (ghiaccio) e pressione. Dal punto di vista tecnico il recuperare del metano idrato non è infatti un'estrazione come un'altra: sia per la natura stessa del metano - un gas instabile e difficile da "maneggiare" -, sia perché il semplice contatto fisico con il giacimento, agendo sulla pressione cui è mantenuto il composto, ne determina una violenta "scomposizione" negli elementi costitutivi, con relativi problemi di controllo dell'ascesa del gas: un po' come accade con una bottiglia di bibita gasata aperta dopo che si è provveduto a scuoterla.
Ora tutto ciò sembrerebbe non più costituire un problema per i tecnici nipponici, che peraltro hanno scelto di liberare il metano dalla sua gabbia di ghiaccio usando un metodo diverso da quello finora impiegato in Canada nei giacimenti del delta del McKenzie River: vale a dire non innalzando la temperatura della "tasca" degli idrati iniettandovi acqua calda - processo dispendioso dal punto di vista energetico - bensì aspirando aria dal giacimento, così da abbassarne la pressione e permettere al gas di risolversi e risalire.
La tecnologia sviluppata dai giapponesi ha subito attratto l'attenzione di due altri colossi asiatici –Cina e lndia- alla ricerca di risorse energetiche più a portata di mano di un petrolio sempre più caro e localizzato in aree fortemente instabili del pianeta, ma anche meno inquinanti dell'oggi usatissimo carbone. Entrambi i Paesi sono infatti ricchissimi di metani idrati. Le prospezioni avviate da Pechino hanno trovato evidenze di grandi depositi vicino alle coste cinesi, in forma peraltro finora sconosciuta e particolarmente conveniente quanto a opzioni per l'estrazione: la porosità dei sedimenti al largo del Mar della Cina farebbe persine ipotizzare l'utilizzo di tecniche convenzionali.
Per parte loro, gli indiani hanno individuato uno fra gli strati di idrati più spessi al mondo nel Bacino di Khrisna-Godavri, e un altro enorme deposito, originato da eruzioni vulcaniche preistoriche, al largo delle Isole Andamane. Il successo tecnico nipponico accelera le prospettive di entrambi i Paesi di poter usare il metano ricavato dagli idrati per alimentare il proprio boom economico.
Aperta la strada alla soluzione del problema tecnico, resta invece ancora irrisolto l'altro grande quesito relativo allo sfruttamento dei metani idrati: le conseguenze ambientali della "liberazione" ed estrazione del gas sequestrato sotto le profondità oceaniche.

I pericoli al riguardo sono due. Il primo è di tipo "meccanico": se si svuotano gli strati in cui sono stivati i metani idrati, c'è il rischio di provocare frane e collassi del suolo marino, tali da creare instabilità geologica (di cui il Giappone ad esempio non ha certo bisogno) e, magari, tsunami disastrosi.
Ma è l'altro spettro che aleggia sull'estrazione di questa risorsa a spaventare scienziati, ecologisti e studiosi, vale a dire l'inevitabile dispersione aerea del gas.

L'agenzia Usa perla Protezione dell'ambiente (Epa) stima che nella catena di produzione del metano non meno del 4% vada nell'atmosfera: datala capacità del metano di intrappolare gli infrarossi venti volte più della famigerata CO2, gli effetti potrebbero essere insostenibili in termini di riscaldamento globale. Il quale peraltro determinerebbe un aumento della temperatura del mare, causando un'ulteriore dissociazione degli idrati e, quindi, un'aggiuntiva immissione di metano nell'atmosfera. Un circolo perverso con effetti catastrofici che, dicono molti studiosi, potrebbe essersi presentato già 55 milioni di anni fa, nel tardo Paleocene, quando le acque oceaniche subirono un forte aumento della temperatura (fra 4 e 8°). Per quella che potrebbe non essere stata una coincidenza, in quello stesso periodo, sulla Terra — rivelano le analisi dei sedimenti - c'erano enormi quantità di metano rilasciato da idrati.
La circostanza porta scienziati e ambientalisti a contenere l'entusiasmo per il successo estrattivo dei giapponesi e a guardare con qualche apprensione al piano del ministero dell'Economia, commercio e industria di Tokio, che vuoi vedere la produzione commerciale di metano da idrati iniziare entro il 2016.

http://pubs.usgs.gov/of/1996/of96-272/
La mappa dei depositi dell'Us Geologica! Su rvey


Giacimenti oceanici
« II metano idrato è una sostanza chimica in cui le molecole d'acqua formano sotto l'impulso di temperatura e pressione una sorta di "gabbia solida" che racchiude, senza alcun legame chimico, le molecole dì metano. Fino all'inizio del secolo scorso si pensava che fosse una sostanza rara; invece ricerche mirate hanno mostrato che il metano idrato sulla Terra c'è eccome e si presenta in due configurazioni specifiche: o come«materiale di riempimento» in sedimenti a bassa profondità nel permafrost artico o come accumulo in immensi giacimenti a profondità oceaniche in prossimità delle piattaforme continentali. Una volta in superficie, la quantità di metano è molto alta: un metro cubo di idrato "libera" circa 170 mc di gas. Seppure le stime siano provvisorie, gli scienziati concordano che si tratta di una risorsa energetica di importanza decisiva, se solo si troverà il modo di estrarla in modo sicuro per gli uomini e per l'ambiente. (st.g.)