mercoledì 2 luglio 2008

immunità parlamentare: la destra nel 93....

Sull' immunità destra in testacoda nel ' 93 fulmini da Fini e Bossi

Repubblica — 28 giugno 2008 pagina 2 sezione: POLITICA INTERNA
ROMA - «Fanatico - sentenziava Churchill - è colui che non può cambiare idea e non intende cambiare argomento».
Ma sull' annosa questione delle immunità per i politici, osservando le piroette di molti degli attuali garantisti, forse persino il primo ministro britannico oggi rinuncerebbe al suo aforisma. Basta tornare indietro alla stagione delle manette, quella su cui si costruirono le fortune della Lega e del Msi. Intanto un dato storico. Se nel 1993 fu abolita l' immunità parlamentare (versione estesa, se si vuole, dell' attuale lodo Schifani) l' ordine non partì dalle "toghe rosse".
A chiedere la cancellazione dello scudo anti-pm, all' indomani del rigetto delle autorizzazioni a procedere per Craxi, furono due mozioni: una firmata da Bossi, Maroni e Castelli, l' altra da Fini, Gasparri e La Russa.
Per l' allora segretario del Msi, che reclamava a gran voce (e con lui Bossi) il voto anticipato, l' immunità parlamentare era «un privilegio medievale, che va abolito». E la protezione per le alte cariche dello Stato? «Se il ministro De Lorenzo - sentenziò Fini - fosse stato un cittadino qualsiasi, oggi sarebbe in galera».
I tre missini nella loro mozione argomentavano quindi che «l' uso dell' immunità» era visto dai cittadini «come uno strumento per sottrarsi al corso necessario della giustizia». Appunto. Altri tempi. Oggi Fini forse non riscriverebbe più quella lettera indignata a Francesco Saverio Borrelli, per protestare contro il no della Camera all' autorizzazione a procedere per Bettino: «Lo sdegno e l' amarezza che pervadono la Nazione di fronte allo scandaloso verdetto di autoassoluzione che il regime si è confezionato sono da noi interamente condivisi». Superando «l' inammissibile scudo dell' immunità parlamentare», aggiungeva Fini, i giudici andavano messi nelle condizioni di «svolgere sino in fondo la loro funzione». (Ansa, 30 aprile 1993).
Non che i leghisti ci andassero più leggeri, anzi. L' ex Guardasigilli Castelli oggi sostiene che occorre andare oltre il Lodo Schifani ed estendere l' immunità a tutti, perché «bisogna occuparsi anche dei poveri ministri, come me, che oggi sono sotto minaccia dell' autorità giudiziaria».
Nel '93 tuttavia il principio non valse per Craxi e gli altri «poveri ministri» della prima Repubblica. Salutando l' abolizione dell' immunità parlamentare, la Lega Nord si augurava che ai pm venisse consentita anche «la possibilità di sostanziare le proprie indagini attraverso quei riscontri ottenibili solamente mediante perquisizioni domiciliari e intercettazioni telefoniche». E quindi, concludeva il comunicato di via Bellerio, «auspichiamo una maggiore decisione nell' abolizione di privilegi che non trovano oggigiorno altra giustificazione se non un corporativo interesse di casta». (Ansa, 29 ottobre 1993). è la dura legge dell' archivio, che ti ripresenta davanti allo specchio un te stesso che non riconosci più e magari non vorresti più vedere. Vale anche per il portavoce di Forza Italia, Daniele Capezzone, che nella precedente vita da leader radicale stigmatizzava il fatto che Berlusconi, invece di appoggiare i referendum sulla giustizia, avesse proceduto con leggi «che molto probabilmente verranno dichiarate incostituzionali». Cosa che, con il lodo Schifani, puntualmente accadde. - FRANCESCO BEI