Se si ragionasse in termini qualitativi anziché quantitativi, si capirebbe che il bisogno insoddisfatto nel settore dell’edilizia, ad esempio, è la riduzione delle dispersioni energetiche degli edifici esistenti: mediamente in Italia per il riscaldamento si consuma il triplo delle peggiori case tedesche. Di quanto lavoro ci sarebbe bisogno per ristrutturare energeticamente il nostro patrimonio edilizio e soddisfare con fonti rinnovabili il fabbisogno residuo? La riduzione del Pil che ne deriverebbe offrirebbe i vantaggi economici, occupazionali e ambientali non altrimenti ottenibili.
Per potersi salvare occorre sganciarsi dal sistema economico e produttivo fondato sulla crescita della produzione di merci, organizzando reti di economia, di produzione e di socialità alternative, in grado di funzionare autonomamente e di rispondere ai bisogni fondamentali della vita con le risorse dei territori.
Si annuncia un periodo di transizione inevitabilmente drammatico. Sui patrimoni dei saperi e del saper fare accumulati e implementati nel corso delle generazioni, sulla capacità di trasformare con rispetto, efficienza e intelligenza le risorse della natura, sulla capacità di costruire rapporti improntati al rispetto reciproco, è possibile riavviare una nuova fase della storia umana.
Perché la portata della crisi in atto è storica e non congiunturale. È la crisi di un modello economico che non ha più futuro, che non può essere riorganizzato e migliorato, ma deve essere sostituito.