mercoledì 7 dicembre 2011

Il part time prima della pensione

di Giorgio Gregori

IL PART TIME PRIMA DELLA PENSIONE


La manovra sulle pensioni comporta da un lato l'aumento dell'età di pensionamento, dall'altro l'omogeneizzazione del sistema di calcolo , che sarà per tutti in base ai contributi versati.
Il primo commento che si sente dire è:”Mi tocca lavorare fino alla morte: come si fa a godersi poi la pensione a 67-70 anni?”.
È vero che l'età di sopravvivenza si è allungata. Ma vivere non è la stessa cosa che sopravvivere: a 70 anni non si hanno le stesse energie di quando se ne avevano 57/60, e vegetare dagli 80 in su, magari in una casa di riposo, non è certo vita.

Si tenga presente inoltre un altro fatto: il brusco distacco dalla vita lavorativa e la vita da “pensionato”, il passare, nel bene e nel male, da una giornata dove si trascorrono 10-12 ore fuori casa, a contatto con i colleghi, a giornate in casa dove i contatti lavorativi non ci sono più. Con il rischio di depressione, solitudine, conflitti con i familiari e con lo stipendio che si riduce almeno del 20-30%.
La vita lavorativa è spesso totalizzante, la pensione sembra sempre così lontana, che raramente ci si preoccupa di crearsi degli interessi e delle attività per quando verrà il momento di lasciare.
Qual è la mia proposta? Dare al possibilità di trasformare consensualmente il rapporto di lavoro da tempo pieno a part time negli ultimi anni 5-10 anni della vita lavorativa.

Cosa intendiamo per part-time? Sono due le tipologie principali:
ORIZZONTALE quello classico, dove viene ridotta la quantità giornaliera di lavoro, nella maggior parte dei casi lavorando solo 5 ore al mattino. È la forma più diffusa, utilizzata in particolare dalle lavoratrici madri.
VERTICALE, nel quale si sceglie di lavorare solo alcuni giorni della settimana.

Alla base della mia proposta sta questa seconda forma, interessante sia per l’azienda sia per il lavoratore.
Quest’ultimo ad esempio potrebbe concordare di lavorare tre giorni alla settimana, 9 ore al giorno.
Avremmo in questo caso un part time di 27 ore settimanali. Vantaggi per l'azienda: avrebbe a disposizione un lavoratore esperto che potrebbe dare una mano nei giorni più impegnativi, laddove servirebbe quella “persona in più” che però non viene quasi mai concessa. Non ci sarebbe il problema delle pratiche rimaste a metà della giornata. Il lavoratore sarebbe presente anche oltre l’orario normale, essendo disponibile 9 ore.

Il lavoratore avrebbe il vantaggio di lavorare tre giorni su sette ed entrando quindi gradatamente nell’ottica di non dover lavorare tutti i giorni, avrebbe 4 giorni la settimana da dedicare a hobby, volontariato, viaggi, disbrigo di pratiche domestiche di solito relegate al sabato. Avremmo un vantaggio sul traffico: per raggiungere il luogo di lavoro si dovrebbe spostare solo tre volte la settimana. Ovviamente rimane il rischio che qualcuno possa dedicarsi a qualche doppio lavoro, ma lo riterrei minimale.
Come cambierebbe lo stipendio a part time verticale?
Mettendo in pratica l’ipotesi di cui sopra lo stipendio netto potrebbe aggirarsi intorno al 70-75 % rispetto a quello a tempo pieno, tenuto conto di un’eventuale riduzione dell'imponibile fiscale.
Il lavoratore comincerebbe quindi ad abituarsi alla riduzione dello stipendio, come se fosse già in pensione.
Ovviamente ci sarà chi se lo potrà permettere, perché ad esempio già proprietario della casa in cui abita,o perché non ha più carichi familiari, e chi no.

Rimane però il nodo dei contributi pensionistici: stante il regime contributivo, questo lavoratore, dopo 5-10 anni di part-time, al momento della pensione si troverebbe con un assegno ridotto.
E qui sta il nodo della mia proposta: siano i datori di lavoro a contribuire versando i contributi pensionistici, come se il lavoratore fosse a tempo pieno. Questi versamenti sarebbero sicuramente e vantaggiosamente compensati da una maggior efficienza lavorativa.