di
Laura Piccinini
Repubblica
delle donne 3 dicembre 2011
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Mettiamola così, l'auto, o come la chiamiamo in genere, la macchina,
non sarà più la prima cosa che ti viene in mente per spostarti da A
a B. Prendere la patente per un diciottenne non è più quel
pensiero unico (rito di iniziazione) che era una volta. Ma non è
mica la fine dell'automobile, solo quella del suo mito per come lo
conosciamo, "the world/as we know it", cantavano i R.E.M.
Del resto anche l'inglese Guardian ha
citato i Talking Heads per dire che guidare, tra i costi, l'ambiente,
il traffico, è in declino pure da loro: "On the Road to
Nowhere". E un newyorchese spatentato come Lorin Stein,
direttore della Paris Review, dice
che per capire come si muove il mondo bisogna ascoltare le
canzoni country: «All'inizio erano tutte sui treni, negli anni 60 e
70 i camion, poi gli aerei e adesso, con la disoccupazione che c'è
in giro, difficile che il protagonista sia automunito». È la crisi,
certo, ma se è arrivata è perché stavamo andando in folle guidati
da qualche furbo al volante.
2 A
20 anni l'automobile non è un mezzo necessario. In Italia nelle
fasce 18-21 e 20-29 anni fanno il 5% e il 20% in meno le patenti
rilasciate negli ultimi 3 anni (dati appositamente elaborati
dalla Motorizzazione). Dice Alvin: «lo la patente non ce l'ho
nemmeno, in città non è fondamentale. Certo a Milano i taxi costano
e ì mezzi finiscono presto. Ma puoi scoprire che farsi 8
km
a piedi (ho calcolato su Google map) di notte con gli amici a fine
concerto non è male, a quell'ora ti dici tante di quelle cose. Per
me spostarsi è prendere un volo low cost e andare a Londra o
Barcellona. Vai in Spagna, in Germania, e vedi tutti che
camminano e la metropolitana non chiude. Poi ci sono gli
incidenti, e guidando non puoi leggere, digitare». Ma soprattutto,
autoironico che pare uno slogan, «il vantaggio è che se non guidi
non consumi benzina e puoi consumare più alcol, bere tranquillo».
Fa
poi notare Emiliano, che di anni ne ha 30 e vive a Roma,
produttore musicale (de i Cani) che «ci sono sempre più
spatentati, non è più un mito neanche per i quarantenni, non serve
più a farti percepire socialmente. Per farti uno status contano più
i social network». Concorda l'economista ambientalista Guido Viale:
«Mia figlia ha studiato qualche anno all'estero e II
un'auto non ce l'avevano neppure le coppie sposate. Non mi sono
per niente scandalizzato quando c'è stata la svendita di beni
tecnologici in un mediastore della periferia romana, una gran parte
erano giovani in fila per comprarsi uno smartphone che ritengono più
indispensabile per la loro autonomia di quel che poteva essere la
patente». E aggiunge Tim Harford, della rubrica l'Economista
mascherato su Internazionale-. «Il prezzo dei gadget
tecnologici è sceso in maniera inversamente proporzionale al
salire di tasse auto e benzina». Con questo non si vuol dire
che un iPad è la stessa cosa che un'automobile, perché, e qui
cantano gli Arcade Fire "io ti amo e non voglio sentirti al
telefono, voglio prendere un'auto e venire da te", una cosa del
genere. Se possiamo insegnare qualcosa ai nativi digitali è questa.
Magari col car sharing.
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Comprarsi un'auto si fa sempre più anacronistico. Chiediamo a
Tom Vanderbilt, autore di Trafficologia (Rizzoli) e di una
rubrica sulla rivista online Slate dove invita i lettori
a proporre forme di trasporto urbano alternativo, e dà ragione
al solito Jeremy Rifkin con la teoria del mondo in affitto. «In
città il modello della proprietà è messo in forte discussione -
siamo sicuri che la gente voglia pagare per una vettura che
starà il 90% della sua vita parcheggiata? - magari preferiscono
un accesso occasionale, allo stesso modo in cui la maggior parte
di noi ha abbandonato l'idea di possedere musica fisicamente tenendo
i file parcheggiati in condivisione nella famosa "nuvola".
Quello di cui abbiamo bisogno sarà una mobilità on demand,
pendolarismo in prestito. Già si vede con i sistemi
di car sharing più sofisticati: Zipcar, più bici, più parcheggio
dedicato. A New York ha talmente successo che nel weekend va in
tilt».
In
Italia, fa notare ancora Viale, «a Milano quando Legam-biente ha
cominciato a fare car sharing con quattro vetture, ero scettico.
Invece ha funzionato, poi è cresciuto fino a non poter fare da solo
ed è passato all'Atm, che anziché potenziarlo, con la vecchia
dirigenza l'ha fatto degenerare. Ma la strada è quella». Le ditte
di auto, avendo intercettato il pericolo hanno messo a punto propri
programmi di noleggio con nomi pop tipo Mu, dallo scooter
all'auto, dove «quel che fa più gola è l'auto elettrica», dice
Carlo Leoni di Peugeot Italia, perché acquistarla costa ancora
troppo.
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Dai 25 ai 50 anni, si fa carpooling. Come Ghemon, rapper da Avellino
laureato in legge, «arrivato a Milano la Yaris non mi serviva
più. Adesso sono più puntuale. E come rispondo a mia nonna che
mi dice "Stai attento" quando devo prendere l'aereo,
"Tranquilla, non guido io". Vale per tutto, è una
filosofia. I tram sono un luogo per
farti autopromozione meglio di Facebo-ok. Faccio il carpooling e su
un'auto di gruppo ho conosciuto i miei migliori amici».
Spiega
Daniela Milelli di Carpooling Italia, che il sistema «c'è dal
dopoguerra, ma da quando tre tedeschi l'hanno rilanciato ha raggiunto
cifre enormi. Da noi 45mila passaggi in due anni e un risparmio
di 4780 tonnellate di C02. Quando c'è stato l'incendio alla stazione
di Roma o è eruttato il vulcano in Islanda è stato un boom. C'è
gente che si è sposata conoscendosi così. Un tizio è riuscito a
farsi portare i criceti da Firenze a Bologna. Per sapere se il
compagno di viaggio è affidabile hai i feedback di quelli
che
hanno viaggiato con lui, o puoi farlo tu alla fine».
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Per una riduzione degli spostamenti cretini. "Qual è la
distanza più ridicola che hai percorso in auto?" Era una
campagna ovviamente svedese di cui Maria Berrini, fondatrice di Amat
(ricerche ambiente e trasporti), invita a «vedere i video - le
confessioni della gente, bigliettini sul cofano, al posto di un'auto
su un cartellone un ciclista vero li sotto, per disincentivare l'uso
del mezzo di proprietà sotto i 2 km - dalle strade di Malmo». Lei
che vive a Milano, e nonostante i tre figli di 17-18-21 anni, dice:
«Auto in famiglia: nessuna, venduta. Ha aiutato una casa vicino
alla stazione e a conti fatti, togli assicurazione, bollo e
multe , si risparmia quanto basta a noleggiare l'auto nel
weekend o prendere il taxi tutte le volte che vuoi. I
compagni dei miei figli che venivano a trovarci si stupivano
perché pensavano che vivessimo in una stamberga». Con la sua
azienda studiano «l'infomobiiità, l'onda verde per il
trasporto pubblico, modi in cui il cellulare ti aiuta a trovare
parcheggio. Ma senza cercare nuove tecnologie, una cosa che tutti
possono fare è prendere i taxi in due-tre, accordandosi in
fila, la tariffa predisposta c'è già». Ma non ci pensi o non osi.
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Andare da A a B. Si chiama intermodalità, uno di quei termini
tecnici che non fa venire voglia di usarla, e invece c'è questo
portale - door-to-door in a click - che ti dice come andare da porta
a porta con una combinazione perfetta di: tram, bus, bici, aereo,
treno, a piedi, col pupazzetto - voi - e il percorso
dettagliatissimo tipo fumetto. C'è ResRoBot per la Svezia, Scotty in
Austria, Portogallo, Belgio, Inghilterra ecc. Luca Mercalli,
climatologo, autore di Prepariamoci: un piano per salvarci
(Chìarelettere), suggerisce una formula di spostamento su misura
che tenga conto delle previsioni, due giorni pioggia e noleggi auto,
con la neve, teleconferenza. «Farsi sempre la domanda: come
muovermi? Una volta si dava per scontato».
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Siete certi di rimanere nello stesso posto? «La vita delle persone
non è più fissa», ci dice Elif Batuman, scrittrice, una che ha
preso lezioni di traffico a L.A. «Dopo dieci anni in California mi
sono trasferita in Turchia e non penso proprio di prendere un'auto
per una lunga serie di ragioni. Parcheggiare a Istanbul è un incubo,
il traffico è spaventoso, la benzina costa incredibilmente
tanto, e se vuoi arrivare da qualche parte devi essere un
guidatore aggressivo. Per JH Crawford, autore di Carfree, libro
e sito dove mappa le aree pedonali nel mondo, in Europa siamo
avvantaggiati, «non avete mai preso il mito dell'auto come negli
Usa, solo nel dopoguerra avete sventrato qualche centro città per
fare posto alle auto. Per capire che il futuro non è li basta
vedere il traffico di Giakarta e Bangkok. Finora è stata la
città ad adattarsi alle macchine, ora devono essere loro a farlo».
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Cose che un newyorchese può insegnare sul non avere auto. Dice Lorin
Stein, «Le Minicar mi fanno pensare alla mia amica Rita, che va in
500 e pensa che perché ha l'auto piccola può andare contromano. A
New York un'auto di proprietà sta diventando economicamente fuori
portata. Ci restano i taxi, c'è una poesia bellissima di Elizabeth
Bishop su quando scendi che è quasi mattina
con
ì marciapiedi bagnati dal lavaggio strade. Ma la vera ragione
che mi fa pensare che il sogno dell'automobile sia morto è che
purtroppo l'età dell'automobile è ancora viva. Paradosso da cui si
deduce che solo quando ci libereremo del mito dell'auto potremo
tornare a prenderla, certi che non ci aspetti un incubo,
strangolati nel traffico e la sensazione di non andare da nessuna
parte. A queste condizioni salire su un'auto fa schifo. Il
programma radio tra i più popolari d'America, Car Talk,
in realtà è una critica feroce alla cultura dell'auto»: ci si
lamenta perché il guidatore non dice una parola, o sbotta, la
lista delle dieci cose peggiori che fa la gente in macchina, compreso
mettersi le dita nel naso.
L'auto
è una trappola, scendi e cammina. «Sono cinque anni che non ho più
l'auto - dice lo scrittore Will Self - sono scettico anche sulle
green car, per ora mi sembrano di dubbia efficacia e sono diventate
status symbol tali e quali una Porsche. Le strade anche
extraurbane restano intasate e con le telecamere ovunque un guidatore
su un'auto economicamente ridondante, col Gps che gli dà ordini, è
II sìmbolo della mancanza di libertà totale». Dopodiché,
racconta lo scrittore Diego De Silva di essere «arrivato a fare
Linate-Milano centro a piedi, la prima volta perché tornavo dal
funerale di un amico. Funziona. L'auto è una bomba emotiva. Sono
sempre sconcertato da quel che diventiamo alla guida». Leggi, dal
suo Sono contrario alle emozioni (Einaudi), di «quello
che ascolta la musica in macchina, e mentre s'intenerisce il cuore
sulle note del pezzo che ha selezionato in attesa del verde, pensa
che se lo stronzo nella Golf accanto crede di fregargli il posto
che ha visto prima di lui, ha capito proprio male, ha capito».
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Se poi sei un produttore cinematografico come Cesare Petrillo di
Teo dora film e non guidi, non per ideologià ma perché
proprio non ti è venuto mai in mente, nel tempo hai maturato un
elenco di motivi cult per non aver preso la patente che basterebbero
a consolare quelli che l'hanno persa ai punti (hanno un gruppo su
Facebook). «Non per essere iettatori, ma se mi dite auto mi vengono
in mente gli incidenti sfiorati di Jessica Lan-ge e Jack Nicholson
nel remake del postino suona sempre due volte, Cary
Grant e Constance Bennet che per un incidente si ritrovano fantasmi,
Bonnie & Clìde crivellati alla guida, e scusate, come
finisce Thelma & Louise? La macchina lanciata nel vuoto
del Grand Canyon, ve lo ricordate quel fermo immagine lì?».