martedì 5 ottobre 2010

spigolature

un paio di commenti colti qua e là, che danno l'idea del merdaio in cui siamo. Capisco Marchionne in imbarazzo nello spiegare agli stranieri cosa succede in Italia.


Il primo di Corrado Augias, lettere a repubblica del 30 settembre; il secondo di  Curzio Maltese, da il venerdi di repubblica  del 1 ottobre 2010.

Montecarlo e la villa di Arcore
Gentile Augias, mi sembra un incubo. «Se Fini non dice nulla e non chiarisce si deve dimettere!». Ma come, Berlusconi ha mentito e smentito anche se stesso e può tuonare così? Perché non attua le promesse mai mantenute? Il governo del fare ha, in effetti, fatto: ha tagliato i fondi al futuro, sono intervenuti i cinesi a salvare un fiore all'occhiello come il laboratorio della Montalcini vicino a trovare il rimedio all'Alzheimer. Sono stato operato di cancro e pago le tasse, spero che Berlusconi mantenga almeno due delle innumerevoli promesse: togliere l'Irpef e trovare una terapia per i tumori.
Fabrizio Virgili - fabervi@libero.it
Caro Augias ma che paese siamodiventati?Da settimane giomali e tv trattano della casa di Montecarlo mentre migliaia di persone di persone perdono il lavoro e i giovani non lo trovano. Viene messo sotto accusa il Presidente della Camera per una questione che riguarderebbe solo i suoi rapporti con il suo ex partito. Ma che dire di un premier del quale non si conoscono le origini come imprenditore, amico di pregiudicati (in senso tecnico) e di condannati?
Mario Martorano - mart@interfree.it

risposta di Augias:
Già. Avevo dimenticato che tra le promesse c'era anche la vittoria sul cancro. Nemmeno nel paese di Balocchi o degli Allocchi si sarebbe tollerata una tale corbelleria. Mi sono fatto questa domanda: se i 50/55 mq di Montecarlo tengono banco da 60 giorni circa, gli ettari e le costruzioni di Arcore (enorme villa con parco e quadreria) sottratti con l'inganno a un'orfana minorenne per quanto tempo avrebbero dovuto stare in prima pagina?Unanno?Unannoemezzo?Invecenientedi tutto questo. Libri documentati, certo, un articolo dell'Espresso, poco più. Luigi Ferrarella, sul Corsera (27.09 u. s.) ha ricordato un'altra vicenda che avrebbe meritato ampia risonanza. In un processo del 1994 Berlusconi fu assolto in Cassazione dall'accusa di aver violato la legge
Mammì in base alla presunzione che, nonostante fosse il padrone, poteva «non sapere» gli intrighi di uno dei suoi più stretti dipendenti. Dipendente che invece venne condannato in via definitiva a 2anni e 6 mesi. Almeno do-po l'ultima condanna è lecito supporre che Berlusconi avesse finalmente capito chi era questo Salvatore Sciascia, suo stretto collaboratore. Licenziamento? Reprimenda? Niente affatto, anzi: un bonus di 500 milioni di lire, l'inserimento nel Cda Fininvest, la successiva elezione in Senato. Accanto ai grandi imbrogli descritti giorni fa da Giuseppe D'Avanzo, ci sono anche queste meno grandi infamie a dirci chi è l'uomo che si scalmana su 50 metri quadrati a Montecarlo.
 

Le misteriose ragioni di quelle risse in casa Pd (Curzio Maltese)
Il problema delle lotte interne al Pd non è che si discuta, questo sarebbe positivo, ma che nessuno riesca a capire quali sono i motivi del conflitto. A parte le antipatie personali, s'intende. Veltroni o Chiamparino non hanno in fondo idee diverse da Bersani sulla scuola, la sanità, la laicità, le tasse, l'informazione, l'energia, l'ambiente, il berlu-sconismo. Sono tutti figli della stessa tradizione moderata del Pci. Il Pci era moderato, anzi conservatore, perché rivoluzionario, come spiegò Togliatti. Siccome la prospettiva era la rivoluzione a lungo termine, nel breve si poteva accettare qualsiasi compromesso. Con la fine del comunismo, è sparita la promessa di rivoluzione, ma è rimasto il moderatismo. Ribattezzato riformismo. Il riformismo era per i comunisti una parolac-cia, un meschino espediente per negare la necessità della rivoluzione anticapitalista.
Per i non comunisti è invece sempre stato chiaro che il riformismo, soprattutto in Italia, richiede una dose massiccia di radicalismo anticonformista, mentre promettere una rivoluzione che tanto non si farà mai è facile per qualsiasi grigio funzionario. Questa è la contraddizione di fondo del Pd, eppure non viene mai affrontata.
Walter Veltroni ha fallito quando si è dimesso, invece di affrontare la grande battaglia per trasformare la cultura dell'ex Pci in una vera cultura riformista. Ha fallito quando ha scelto di non nominare l'avversario e di non nominare neppure il Vaticano, l'evasione fiscale, la Confindustria, le corporazioni, il precariato e insomma tutti i fattori di potente conservazione che impediscono ora e sempre, in Italia, una grande politica riformista Ma in ogni caso, Veltroni è stato e limane il più moderno dirigente espresso
dal vecchio Pci, il miglior politico della sua generazione. Se ha fallito lui, non si capisce perché dovrebbe riuscire uno come Bersani. A parte questo, il Pd non è inchiodato al 24 per cento, nel crollo del berlusconismo, perché è diviso. Ma è diviso perché è inchiodato al 24 per cento. La questione è che per uscire dall'angolo non serve sostituire Bersani con Veltroni o Chiamparino o Profumo o Roberto Saviano o magari Leonardo Di-Caprio, ma trovare il coraggio riformista di dire un chiaro «no» al precariato, ai tagli all'istruzione pubblica, al conflitto d'interessi, alla politica industriale fondata sulla disoccupazione giovanile, all'impoverimento dei ceti medi, alle ingerenze della Chiesa, allo scellerato ritorno al nucleare. Se questo coraggio nessuno riesce a darselo, pensando di dare un dispiacere a Casini e al cardinal Bertone, allora di che cosa si discute?