Scrive McLuhan: «Il vero messaggio di un mezzo di comunicazione
è nel mutamento di proporzioni, di ritmo e ai schemi che
introduce nei rapporti umani»
Avverto un certo disagio nel guardare la tv, non mi fido e non mi sono mai fidato, ora è certo e chiaro che la tv è finzione, e non lo penso soltanto io. Il televisore è soltanto una scatola di bugie e noi, per mancanza di idee e stanchezza fisica, ne facciamo un uso smodato. Mi rendo conto che per molte persone la tv sia una compagnia, per gli anziani ad esempio che escono poco e per i giovanissimi che non rinunciano ai cartoni giustamente, però nell'insieme e con gli anni il ruolo della tv ha preso una piega sempre più imbonitrice e inculcatrice, come fosse diventata la prima e indiscutibile fonte di cultura, educazione, informazione e veicolo primario di insegnamento di vita. La tv, o meglio chi la controlla, punta alla bonifica del pensiero dell'uomo libero, tenta giorno dopo giorno e con successo di omologare la gente al linguaggio e insegnamento televisivo e quindi punta a fare accettare per vera e buona un'informazione di parte, legata sempre più ai poteri che la governano. Dario Olivastrini dario.olivastrini@alice.it
In ogni tempo, in ogni luogo, in ogni epoca storica gli uomini non hanno mai abitato il mondo, ma sempre e solo la sua descrizione: mitica nel mondo antico, religiosa nel medioevo, scientifica nell'età moderna e oggi tecnica. Se non c'è un mondo al di là della sua descrizione, la televisione non è un "mezzo" che rende pubblici dei fatti,
ma la pubblicità che concede diventa il "fine" per cui i fatti accadono. L'informazione cessa di essere un "resoconto" per tradursi in una vera e propria "costruzione" dei fatti. E questo non nel senso che molti fatti del mondo non avrebbero rilevanza se i media non ce li proponessero, ma perché un enorme numero di azioni non verrebbero compiute se i mezzi di comunicazione non ne dessero notizia. Oggi il mondo accade perché lo si comunica, e il mondo comunicato è l'unico che abitiamo.
Non più un mondo di fatti e poi l'informazione, ma un mondo di fatti per l'informazione. Questo è il vero problema: la costruzione televisiva del mondo che prende il posto del mondo. Con questo non si vuol dire che la televisione mente. Non ne ha bisogno in un contesto dove nulla viene più fatto se non per essere telecomunicato. Siamo quindi noi i veri responsabili della risoluzione del mondo nella sua narrazione televisiva. Ma là dove la "realtà" del mondo non è più discernibile dal racconto del mondo, il consenso non avviene più sulle cose, ma sulla "descrizione" televisiva delle cose, che ha preso il posto della loro realtà. La conseguenza è l'abolizione dell'opinione pubblica, perché se tutti guardano la televisione, quando si sonda l'opinione pubblica, ciò che il sondaggio verifica non è la libera opinione dei cittadini, ma l'efficacia persuasiva della televisione, che prima crea l'opinione pubblica e poi
sonda la sua creazione. A questo punto l'opinione pubblica altro non è che io specchio di rifrazione del discorso televisivo in cui sì celebra la descrizione del mondo.
In ciò nulla di nuovo. Anche la vita degli antichi o quella dei medioevali era lo specchio di rifrazione su cui sì celebrava il discorso mitico o il discorso religioso. La novità è che nelle società antiche, dove si disponeva solo di piazze o di pulpiti, non era possibile raggiungere l'intero sociale, per cui restavano spaz; per idee e discorsi differenti, da cui prendeva avvio la novità storica. Oggi questo spazio è praticamente abolito, e la novità storica, se potrà esprimersi, dovrà prodursi in forme che ancora non si lasciano intravedere. E allora il problema si risolve non spegnendo la televisione, ma creando altre fonti di informazione alternative alla descrizione televisiva del mondo, come i giornali che pochi leggono, o internet da noi ancora così poco frequentato. E questo per non trovarci in quella condizione che Gùnter Anders descrive in quel Racconto per bambini, dove si narra che un re non vedeva di buon occhio che suo figlio, abbandonando le strade controllate, si aggirasse per le campagne per formarsi un giudizio sul mondo; perciò gli regalò carrozza e cavalli: «Ora non hai più bisogno di andare a piedi», furono le sue parole. «Ora non ti è più consentito di farlo», era il loro significato. «Ora non puoi più farlo», fu il loro effetto.
Lettere a Umberto Galimberti", D La Repubblica.
26 GIUGNO 2010