sabato 23 ottobre 2010

mostre a milano: dali - triennale

Due belle mostre a Milano :
la prima di Dalì, "il sogno si avvicina" a Palazzo Reale fino al 30 gennaio 2011 http://www.mostradali.it/home.php; abbiamo avuto la fortuna di entrare alla mostra insieme ad una scolaresca di bambini di 4a elementare, e ci siamo detti: "vediamo come spiegano Dalì ai Bambini". La guida era molto preparata e coinvolgente, ed anche la classe molto preparata. bella esperienza. Poi ovviamente abbiamo visto la mostra per conto nostro; tra le cose importanti l'installazione di Mae West, con l'invisot a sedersi sul divano a labbra e fare magarila foto di gruppo. raro anche il grande trittico con la giraffa, che si collega poi al video realizzato prendendo spunto dai disegni di dalì in collaborazione con Walt Disney (i disegni preparatori sono ovviamente esposti alla mostra).

Altra mostra alla Triennale, "Immagini inquietanti" fino al 9 gennaio 2011 (apre alle 10,30 del mattino...)
La mostra è vietata ai minori di 14 anni, effettivamente un pò di materiale crudo c'è: le foto delle stragi in Ruanda, ad esempio, o quelle sadomaso di Mattelthorpe.
In particolare mi sono piaciutele immagini di:
Robert Mattlethorpe: i soggetti sono quelli che sono, ma era un grande maestro del bianco e nero e non solo)
Paolo Pellegrin sulla guerra in Iraq http://cpn.canon-europe.com/content/ambassadors/paolo_pellegrin.do
Elena Dorfman: i suoi still lovers http://elenadorfman.com/art/still-lovers/index.html sono bambole gonfiabili da compagnia anti solitudine (non solo sessuale): forse la cosa più inquietante della mostra.
Spephanie Sinclair: le sue self immolation, donne che si danno fuoco pur di sfuggire dai mariti http://www.stephaniesinclair.com/selfimmolation/ e il reportage sulle ragazzine circoncise in indonesia sono molto intense.
Donna Ferrato mi ha lasciato perplesso: fotografa molto brava, documenta violenze domestiche che però mi sembrano un pò costruite ad uso della fotocamera: mah.... http://www.google.it/images?q=donna+ferrato&oe=utf-8&rls=org.mozilla:it:official&client=firefox-a&um=1&ie=UTF-8&source=univ&ei=VaTCTJ_CFJHsOfDw1MoL&sa=X&oi=image_result_group&ct=title&resnum=1&ved=0CCwQsAQwAA&biw=1270&bih=820

un articolo sulla mostra di dalì uscito sul sole 24 ore di domenica 19 settembre:
Paesaggi da sogno alla Dalí
di Ada Masoero

Pensiamo a Dalì: le immagini che ci appariranno saranno oggetti solidi che si liquefanno, animali chimerici e mutanti, icone della classicità sottoposte a traumatiche (e ironiche) dissezioni. Del tutto improbabile che si pensi al paesaggio. Eppure per lui il paesaggio rappresentò sempre un'ossessione. E non un paesaggio qualunque, né un paesaggio immaginario, ma quel paesaggio: l'Alto Ampurdán, la regione rocciosa e aspra dove nacque (a Figueres, nel 1904), che si allunga sulle sponde del Mediterraneo appena oltre il confine con la Francia, fino a Girona.
La mostra suggestiva curata da Vincenzo Trione esplora per la prima volta questo aspetto così centrale della sua arte, allineando un nucleo di opere che, come sempre in Dalì, si rivelano dense di simboli, intessute di metafore e di allegorie. E tutte bagnate dalla prodigiosa luce d'oro e di cristallo che solo le sponde del Mediterraneo sanno regalare.
Non a caso Dalì affermava che il paesaggio «esiste solo sulle rive del Mediterraneo». Qui, diceva, «il reale e il sublime quasi si toccano. Il mio paradiso mistico inizia nella piana dell'Ampurdán, è circondato dalle colline degli Alberes e trova il suo culmine nella baia di Cadaqués. Questo paese è la mia ispirazione permanente».
Il percorso della mostra, allestita da Oscar Tusquets Blanca che gli è stato lungamente amico, ci accompagna attraverso questa avventura dell'occhio e della mente aprendosi con spazi immersi in un buio fosco, che acutizza ulteriormente il nitore delle sue immagini. Qui, dopo la celebre Venere a cassetti (i cassetti dell'inconscio, che solo la psicoanalisi sa aprire: e dire che Freud lo liquidava con «Dalì, quel fanatico!»), appaiono le opere in cui saccheggia l'arte del passato, con un approccio che anticipa il post-moderno. Come nella magnifica Pietà in cui rilegge il capolavoro vaticano di Michelangelo traforando il corpo della Vergine e del Cristo per lasciarvi apparire il mare e gli scogli di Port Lligat. Insieme, ecco gli omaggi al venerato Velázquez, a Claude Lorrain, all'Angelus di Millet (oggetto anche di un suo affascinante scritto teorico) e a de Chirico, che invece lo aborriva, considerandolo un volgare plagiario.
Poi irrompe la guerra: prima la guerra civile spagnola, che gli detta lo sconvolgente Volto della guerra, con quel cranio mummificato, fra serpi banchettanti, dai cui orifizi si affacciano sempre nuovi crani in una mise en abîme vertiginosa; poi l'olocausto nucleare, a cui dedica Idillio atomico, con l'aereo che scarica le bombe come fossero tossiche uova d'insetto. Le stanze successive ci guidano nel più noto immaginario surrealista, con le dislocazioni di senso, le scintille scatenate dagli accostamenti incongrui e, dovunque, ancora quel suo paesaggio allucinatorio che emerge, con i suoi fantasmi, dal profondo. È qui la ricostruzione, filologicamente minuziosa, della Stanza di Mae West, un'installazione percorribile realizzata da Dalì e Tusquets nel 1975, ora allestita per la prima volta non come la si vede a Figueres ma proprio come Dalì l'avrebbe voluta, se la tecnologia del tempo lo avesse consentito: con le telecamere che riprendono e proiettano l'immagine dei visitatori adagiati sulle labbra divenute un morbido sofà, incorniciate dalle cortine di capelli, sullo sfondo del naso-caminetto e dei quadri-occhi. Da ultimo, prima della sala finale, con i dipinti ideati per Walt Disney e il film (realizzato solo di recente), vanno in scena gli enigmatici paesaggi dell'assenza e del silenzio, fino al Ratto d'Europa, dove lui, che pure detestava l'astrazione (ne fece le spese anche Piet Mondrian, a cui dedicò un feroce calembour), evocando le zolle tettoniche europee raggiunge un'astrazione ancora una volta talmente profetica da anticipare Shibboleth, 2007, la "crepa" aperta da Doris Salcedo nella Turbine Hall della Tate Modern.