È in uscita per Laterza «Stramaledettamente logico. Esercizi di filosofia su pellicola» (pagg. 144, € 15), con le analisi di Achille Varzi su «Terminator», di Roberto Casati su «Ricomincio da capo», di Nicla Vassallo su «Matrix» e di Claudia Bianchi su «Oltre il giardino». Di ognuno anticipiamo un piccolo assaggio insieme alla prefazione di Armando Massarenti, curatore del volume e autore del saggio conclusivo sui rapporti tra cinema e filosofia.
«Allora tutto il film della mia vita mi è passato davanti agli occhi in un istante. E io non ero nel cast!». Un mondo come quello immaginato da Woody Allen in questa sua celebre battuta potrà sembrare, dal punto di vista logico, il più stravagante dei mondi possibili.
Com'è possibile un mondo osservato dal mio punto di vista, che parla della mia vita, e che al tempo stesso non contempla la mia presenza?
Il fatto è che il punto di vista Stramaledettamente logico adottato dagli esercizi filosofici su pellicola contenuti in questo volume può trasformarsi, e proprio in forza di una esibita coerenza nella costruzione di mondi, nel suo esatto contrario. Fino a farci toccare con mano quella che Albert Camus chiamava l'esperienza dell'Assurdo, attraverso la quale arriviamo a percepire la vanità e l'assenza di senso che incombe sulle nostre stesse vite.
Secondo Thomas Nagel, che ha così reinterpretato l'idea di Camus, la vita ci pare assurda se la guardiamo da lontano. Vi è una tensione essenziale tra un punto di vista oggettivo e impersonale e uno soggettivo e personale. Viviamo tranquillamente, concentrati sulle nostre faccende piccole e grandi, quando a un certo punto ci capita di «fare un passo indietro», e di osservare noi stessi «dall'esterno». E allora ciò che da una prospettiva personale, interna, ci appariva importante, fondamentale, assoluto, finisce per perdere ogni senso.
Vista dal l'esterno, la nostra vita ci pare assurda. Non solo perché rispetto all'eternità e immensità del mondo ci appare in tutta la sua miseria e finitezza. Come quella di un topo.
No, il punto non sta nella limitatezza delle nostre vite. Se anche la vita fosse infinita, non avremmo risolto il problema: avremmo solo un'assurdità infinita. Che cosa allora ci può far pensare che la nostra vita abbia un senso e un valore diversi da quella di un topo?
Il punto sta proprio in quel «passo indietro», che noi, dotati di autocoscienza e capacità riflessive, siamo in grado di fare. La vita ci apparirà magari assurda, ma senza che questo ci conduca alla disperazione. Al contrario. In fondo, anche dopo quel «passo indietro», la vita continua.
Provate a fare questo esercizio: pensate a quante volte quel passo indietro lo avete fatto proprio guardando un bel film, e a quante volte invece ve lo ha fatto fare la filosofia. In entrambi i casi, la vita continua, ma qualcosa è cambiato. E in meglio. Prima prevaleva la nostra tendenza a prenderci sempre stramaledettamente sul serio. Ora abbiamo guadagnato una dimensione nuova: siamo più leggeri, raffinati, ironici, civili, tolleranti. Forse anche più logici. Anzi, stramaledettamente logici, e proprio per questo in grado di capire al volo la battuta di Woody Allen e, dunque, essere nel cast.
Terminator: Accadde nel futuro
di Achille Varzi
È successo. È già successo, quindi succederà: la storia non si può modificare. Così la pensa il sergente Kyle Reese, che nel 1984 si ritrova a ragionare sul destino dell'umanità dopo aver combattuto per la sua salvezza per ben nove anni, dal 2021 al 2029. Per lui il 29 agosto 1997, il Giorno del Giudizio, il giorno in cui le macchine prendono il sopravvento dando inizio a una lunga guerra per la sopravvivenza del genere umano, appartiene a un passato che è già stato scritto e come tale è inevitabile: il futuro è semplicemente un tempo verbale imposto dalle circostanze. Per Sarah Connor, che ascolta incredula le sue parole, il 29 agosto 1997 appartiene invece a un futuro che è ancora aperto. Dal suo punto di vista l'unico destino è quello che creiamo con le nostre mani e se davvero c'è il rischio di una catastrofe di portata apocalittica bisogna fare di tutto per evitare che succeda. È questa tensione tra due diversi modi di vedere la storia che definisce le coordinate della saga di Terminator, che offre spunti filosofici molto profondi concernenti la natura del tempo, le relazioni causa-effetto e il libero arbitrio. Così, se all'inizio del primo film sembra prevalere il punto di vista di Kyle, al termine del secondo sembra aver ragione Sarah mentre il terzo film della serie sembra concedere qualcosa a entrambi: si apprende infatti che gli sforzi per evitare la catastrofe annunciata per il 29 agosto 1997 hanno avuto successo, ma solo al punto da rinviare il Giorno del Giudizio a una data successiva, il 24 luglio 2004. Come la mettiamo? Fino a che punto ha ragione Kyle e fino a che punto ha ragione Sarah? E fino a che punto ha senso che Kyle si rechi nel passato per interagire con Sarah?
da : la domenica del sole 24 ore, 13 settembre 2009