La domanda dello scienziato è sul «che cosa e come accade», quella del filosofo e del teologo è sul «perché e sul fine» della realtà.
All'arcivescovo Gianfranco Ravasi, vorrei tornare su un argomento quest'anno di molto abusato, quello riguardante la Chiesa e Darwin.
Come tanti altri teologi, lei ha sostanzialmente ribadito la compatibilità di una concezione scientifica evoluzionista con una concezione teologica cristiana, purché si salvaguardino i due diversi statuti epistemologici o approcci.
Detto in altri termini, la stessa realtà umana è sottoposta ad analisi da due angoli di visuale differenti.
A questo punto non è rilevante interrogarci sulla fede o sull'ateismo di uno scienziato (questione che riguarda la sua individualità personale), ma la correttezza o meno delle sue rilevazioni e del metodo adottato.
Mi pare, però, che la Chiesa cerchi spesso di allegare al suo campo scienziati, quasi fossero un supporto alla sua dottrina che deve, invece, sostenersi da sé, coi suoi criteri propri.
Così non è rilevante che Darwin abbia - come lei, invece, ha voluto sottolineare in più di un suo articolo (anche su questo giornale) - aggiunto, nella conclusione della seconda edizione (1860) dell'Origine delle specie, alle «considerazioni sulla vita e alle sue varie facoltà» la frase «che furono impresse dal Creatore in poche forme o anche una sola».
Ferdinando Scaglione - Mestre
Risponde mons. Ravasi:
Francamente non avrei quasi nulla da eccepire su quanto osserva acutamente il nostro lettore: le sue osservazioni sulla distinzione dei ruoli dello scienziato e del teologo sono pertinenti, così come la necessità di "sguardi" diversi per decifrare pienamente una realtà tanto complessa come l'essere umano o, più ingenerale, l'essere vivente e, infine, l'intero essere.
La domanda dello scienziato è sul «che cosa e come accade», quella del filosofo e del teologo è sul «perché e sul fine» della realtà.
Interrogativi, quindi, da un lato «fisici» e dall'altro «metafisici». La chiarezza semplifìcatoria di quanto abbiamo finora detto non elimina, però, la fatica concreta delle relazioni tra i due attori, proprio perché essi hanno lo stesso oggetto di analisi e non è sempre così lineare distinguere i due protocolli.
Non voglio ripetere qui riflessioni spesso proposte sulla complessità del rapporto scienza-fede, soprattutto nelle tematiche antropologiche.
A questo proposito, desidero rimandare a un volumetto suggestivo, che abbiamo già avuto occasione di citare un'altra volta, di uno studioso di entrambi i settori, proprio sul nesso tra fede, evoluzione ed etica: “Darwin e Dio” di Simone Morandini (Morcelliana, pagg. 208, €15,00) oppure il saggio del grande biologo e filosofo statunitense Francisco J. Ayala, “Il dono di Darwin alla scienza e alla religione” (JacaBook-San Paolo, pagg. 308, €24,00). Desidererei, invece, aggiungere una piccola nota sul rapporto di Darwin con la fede, che certamente non può essere "accaparrato" tra i credenti per quella frase né,però, iscritto come membro d'onore nell'albo degli atei.
Lasciando tra parentesi la sua educazione protestante,frutto di un padre anglicano e di una madre della Chiesa unitaria (a cui aderì in passato lo stesso Newton), un'educazione che comprendeva una lettura quasi fondamentalista delle Scritture, è necessario ricordare che Darwin si laureò anche in teologia al Christ's College di Cambridge, conservando per lungo tempo la convinzione -come egli confessa nella sua Autobiografia - «della verità assoluta e letterale di ogni parola della Bibbia».
E dopo le sue rilevazioni scientifiche navigando sul «Beagle» dal 1831 al 1836 che egli approda a quella che definisce come una posizione dì
«agnostico».
Tra l'altro, è curioso notare che è stato un altro scienziato, contemporaneo di Darwin, Thomas Huxley, a coniare questo termine, ma con un significato paradossalmente religioso perché rimandava all'agnostos theós, al «Dio ignoto» adorato - secondo san Paolo nel suo discorso all'Areopago ateniese (Atti 17, 22-23) - dai Greci.
Si tratterebbe, quindi, di una sorta di teismo, sia pure sospeso.
In questa luce si può spiegare l'aggiunta, citata dal nostro lettore, all'Origine delle specie e soprattutto un fatto particolarmente significativo.
Nel 1881, al genero di Marx, il pensatore ateo Edward Aveling, che voleva usare questa parentela per coinvolgere Darwin in una presentazione di un suo saggio (Marx invierà, invece, a Darwin una copia autografata del suo Capitale), rispose: «Preferirei che la parte o il volume non fossero dedicati a me (benché vi sia grato per l'onore che intendete farmi), perché ciò suggerirebbe in certo modo la mia approvazione di tutta l'opera, che non conosco bene.
Benché io sia un fervido sostenitore della libertà di opinioni in ogni argomento, mi sembra (a ragione o a torto) che attacchi diretti contro il cristianesimo e il teismo abbiano assai scarso effetto sul pubblico; e che la libertà di pensiero possa meglio promuoversi con quell'illuminazione graduale dell'intelletto umano che consegue al progresso delle scienze. Perciò ho sempre evitato di scrivere sulla religione, e mi sono limitato allascienza».
Gianfranco Ravasi
La domenica del sole 24 ore13 settembre 2009