lunedì 10 maggio 2010

un bravissimo fotografo: Mustafa Quraishi

Quel fiore allegro e minaccioso che sfida il potere
Le foto di Mustafa Quraishi - e certamente merita una visita www.mustafaquraishi.com - sono belle come i quadri di Tiziano. Entrambi non mostrano la minima paura del colore, ma lo esaltano, lo combinano, lo riconoscono là dove non c'è, apparentemente, o addirittura ce lo portano, e allora diventa ovvio che c'è sempre stato.
Questione di occhi e di cuore. Sia il fotografo indiano che il pittore del Rinascimento non solo sembrano possedere il segreto dei segreti, ma lo applicano nelle loro creazioni, là dove è evidente il legame indissolubile che nello sguardo di entrambi si coglie fra la natura e l'umanità, la storia e il mito, la vita e il soffio che sempre le imprimono meraviglia e sentimento. Qui, alle pagine 52-53, Quraishi illustra il servizio di Antonella Barina sul movimento dei sari rosa, Gulabi Gang, le donne rivoltose dell'India più povera e stremata. C'è questa leader testarda e analfabeta, ma carismatica e dunque capace di radunare attorno a sé qualcosa di primordiale e insieme di evolutissimo, la guerra invisibile che da sempre striscia tra i due generi.
Ma quel che lascia quasi senza fiato è come la mostra questo pittore elettronico: un fiore rosso e minaccioso, petali infuocati di rabbia e di allegria, e spine vegetali, aculei animali, sono i bastoni di bambù impugnati dalle donne, che hanno tutta l'aria di far male come quelli degli uomini, solo che qui c'è qualche millennio da parificare, e ci sono le erinni, le baccanti, le arpie, le amazzoni, le parche, insomma è come se la crudele mitologia presentasse il conto alla post-modernità. E lo si vede. Quell'anziana con il bastone in primo piano, e sembra abbia al suo fianco una busta di plastica, e quella dietro che ride, e un altro paio che levano il palmo delle mani, e non c'è più alcuna differenza fra loro.
Sono una massa compatta e coloratissima, un mucchio di corpi che ne fanno uno a mille teste, duemila braccia, duemila gambe. È questo che le rende vive e coraggiose. Il fotografo è come se scattasse dall'alto.
Ma più che documentare, egli illustra il gioco e il giogo che stanno dietro la scena: «Eppure è ben vero che l'insidia maggiore degli imperi è nelle catacombe popolate di inermi, più che nelle schiere nemiche disposte in battaglia» (Elémire Zolla, Gli Arcani del potere, Rizzoli, 2009).