Può capitare, nell’indifferenziata e gelatinosa materia di cui è fatta la tv, che giunga un alieno a tarda ora a restituirci la fiducia in un medium così popolare e logorato. Gustavo Zagrebelsky (“Parla con me”, RaiTre, mercoledì, 22.55) presidente emerito della Corte Costituzionale, intervistato da Serena Dandini, ci dimostra
che si può fare televisione anche solo con le parole. Citando testi e autori antichi e moderni.
Quasi come in una sorte di lezione.
Anche senza essere Benigni. Senza doversi camuffare. Senza involgarire o “alleggerire” il pensiero . Un “alieno” perché
televisivamente diverso: perché rifugge dal modello corrente del fast thinker, e anzi si permette il lusso di ragionare sul serio. Non
per esibire narcisisticamente la propria eloquenza. Pesando le parole, senza compiacersene mai. Spiegando il titolo del suo libro,
“Scambiarsi la veste” (Laterza, 2010), ricorda intanto che si tratta di una citazione da “Giuseppe e i suoi fratelli” di Thomas Mann. Il
tema è quello del rapporto fra Stato e Chiesa. Chi ha diritto di primogenitura fra l’uno e l'altra? Per comprenderne le ragioni storiche
e filosofiche, Zagrebelsky è costretto a tornare molto indietro nel tempo, a Marco Terenzio Varrone, che visse prima di Cristo, per il
quale “prima si fondano le città e poi gli uomini inventano gli dei”. Gli dei quindi come una funzione del potere, utili per costruirne
l’autorità e legittimarne le decisioni. Ovviamente Sant’A go s t i n o ribalta i termini: “No, prima Dio e poi la politica”. Ed ecco
giungere infine la frase di Mann, per il quale la questione è un po’ simile a quella dell'uovo e della gallina, e nell'impossibilità di
una soluzione che ne individui l'origine prima, spiega che religione e politica nel corso del tempo “si scambiano la ve s t e ”.
Miracolosa sintesi di duemila anni di pensiero. “Laicità, allora, presupporrebbe che ci siano due vesti e che non siano
interscambiabili”: introduzione al dibattito contemporaneo, che spazza via peraltro le inutili e speciose distinzioni fra laicità e
laicismo. Lui stesso aveva chiesto prima alla Dandini: sono più importanti gli uomini o le istituzioni? E lei, pensando di fare cosa
gradita all’o s p ite, eminente giurista, s’e ra affrettata a rispondere, come una scolaretta compiacente: “Le istituzioni”. No:
“Risposta sbagliata. Anche una cattiva costituzione può andare bene se ci sono uomini buoni”. Ma non vale il contrario: “Non c’è nessuna
ottima costituzione che può funzionare se la classe politica è corrotta”. Come raccontare meglio di così l'attualità? E perfino il
recente passato politico, che ha inseguito e tuttora insegue invano l’idea di “r iform a re ” l’abito delle istituzioni, e si perde
nelle cavillose diatribe su quale sia il “s istema migliore”: il semipresidenzialismo alla francese, l’elezione diretta del premier
all’israeliana, il cancellierato alla tedesca o il presidenzialismo all'italiana? Non c’è un sistema migliore, direbbe con la saggezza
travestita di semplicità Zagrebelsky. O meglio, forse sì, certo, ma prima vengono gli uomini.
di Luigi Galella.
da "il fatto" 7 maggio 2010