venerdì 16 settembre 2011

un giorno in un paese di merda morì il re

di Marco Travaglio, da "Il fatto quotidiano" venerdi 16 settembre

Un giorno, in un paese di merda lontano lontano,
morì il re. Ma non si poteva dire. La sua corte di
servi, mignotte, papponi, ladri, stallieri,
menestrelli, nani, avvocati, scribi e farisei,
dipendeva in tutto e per tutto da lui e non era affatto
certa che il successore continuasse a mantenerla. Così, a
palazzo, si misero d’accordo per non far uscire la notizia.
Il medico legale, chiamato a constatare il decesso del
sovrano, fu murato vivo in un sottoscala col suo referto.
La notizia trapelò presso qualche gazzetta del regno, ma
gli editori erano tutti finanziati dal re o dalla corte e
dunque fu agevole bloccare i necrologi. Le televisioni,
poi, erano tutte nelle sue mani (a parte una, controllata
da un’opposizione sfigata e inetta) e cantavano le sue lodi
a reti unificate. Un notiziario era diretto da un vecchio
biscazziere divenuto mezzano in tarda età. Un altro, il più
visto, aveva alla guida una cantatrice calva che parlava
con la zeppola, nota più per le note spese che per le note
politiche, e appestava il regno con “editor iali” ch e
superavano in cortigianeria quelli del
biscazziere-mezzano.

Descriveva, la cantatrice, un paese
fiabesco, un Regno di Saturno dove tutti erano felici,
ricchi, opulenti e goderecci, e ogni sera pregavano il
Cielo che il re non li abbandonasse mai. Fu così che la
gente continuò a credere che il sovrano fosse ancora
vivo. A corte, i fedelissimi passavano le giornate a
imbellettarne e profumarne il cadaverino per mascherare
i vermi e la puzza e allontanare insetti e animali
necrofagi. La luce del suo studio restava accesa giorno e
notte, e una controfigura della sua statura (niente di che)
sedeva alla sua scrivania per mostrarlo curvo sui destini
della Nazione 24 ore su 24. I giornali continuavano a
narrare le sue gesta, anche amatorie, descrivendolo come
un simpatico e instancabile dongiovanni, in preda a una
prorompente virilità: cantando con un misto di
ammiccamenti e ammirazione le virtù delle sue favorite,
comprese tra i 12 e i 18 anni, e sorvolando sui supporti
meccanici (argani, pompe idrauliche, carrucole,
catapulte, elisir di cialis e ghisa in polvere) di cui si
avvaleva negli ultimi mesi di vita. La sua seconda moglie
aveva cercato di mettere sull’avviso il popolo e le
istituzioni: “Mio marito è molto malato, va con le
minorenni, aiutatelo”, ma fu subito silenziata come
traditrice disfattista e rinchiusa in un castello periferico.
Il re era solito abusare del suo immenso potere per
corrompere giudici, testimoni, gendarmi, ufficiali del
fisco, politici lealisti e persino qualche oppositore, per
accaparrarsene i servigi. Ma anche per sistemare in posti
di alta responsabilità, a spese dei sudditi, i complici delle
sue malefatte per ricompensarli o silenziarli. E ogni tanto
i giudici lo chiamavano a risponderne in tribunale. Ma
lui, essendo morto, non vi compariva mai: i suoi avvocati
inventavano le scuse più fantasiose per giustificarne la
latitanza, costretti persino a mandare per il mondo una
controfigura delle stesse dimensioni, pittata e asfaltata di
fresco, per mostrarlo vivo e vegeto. Fuori del palazzo
stazionava ogni giorno una lunga fila di postulanti
vocianti: tali Mora, Fede, Lavitola, Tarantini, seguiti da
un’orda di procaci signorine che la stampa si ostinava a
chiamare “escor t”. Minacciavano rivelazioni sul sovrano.
E i cortigiani, per evitare guai, s’affacciavano al balcone
per rassicurarli che il re pensava sempre a loro ed elargire
a ciascuno buste imbottite di denaro contante. La notizia
del decesso giunse all’orecchio dei leader
dell’opposizione, ma anch’essi, fatti due conti,
preferirono avallare la versione ufficiale: per non
prendersi la responsabilità di governare, fatica
assolutamente impari alle loro possibilità, e per
continuare a poltrire e a trafficare alla sua ombra,
balbettando ogni tanto “il re si dovrebbe dimettere”
(tant’è che si diffuse la voce che erano morti loro). Un
giorno il Palazzo fu evacuato per una puzza improvvisa e
irrespirabile. Qualcuno insinuò che fosse tanfo di
cadavere. Ma il portavoce si affrettò a precisare: “Il re
gode di ottima salute, infatti ha appena scoreggiato”.

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nota mia: piacci ao no,  "il fatto" non gode di finanziamenti pubblici, a differenza di altri "giornali"

Il finanziamento dell’editoria
 “Report” ha svelato una realtà nascosta che i cittadini IGNORANO O QUASI: il finanziamento dell’editoria (sia dei quotidiani che dei periodici) attraverso soldi pubblici. Il sistema è semplice: basta creare una cooperativa di giornalisti oppure basta far risultare di essere organo di una forza politica, e il gioco è fatto: denaro (seicento e + milioni di euro all’anno!) entrano nelle casse di giornali e giornaletti, finanziati dalle tasse della gente: alla faccia del libero mercato!
Se non è spreco questo...
...grazie alle modifiche apportate dalla Finanziaria 2006 alle leggi 416 del 5 agosto 1981 (che disciplina le imprese editrici di quotidiani e periodici e ha istituito il contributo statale per i giornali di partito per salvarli dal fallimento); alla 67 del 25 febbraio 1987 (a favore dei giornali organi di movimenti politici che vantino almeno due deputati eletti in parlamento); alla 250 del 1990 (che regola la spartizione del finanziamento pubblico da parte dello Stato alla stampa e l'editoria dei partiti) e alla legge 388 del 2000 a favore di "quotidiani, già organi di movimenti politici, editi da cooperative costituite entro il 30 novembre 2001", tutte le imprese radiotelevisive, editrici di libri, periodici e le testate giornalistiche registrate come organo di partito edite da cooperative o appoggiate da due parlamentari o da un eurodeputato, si sparticono 667 milioni di euro
Questa la ripartizione: la prima, poco meno di 28 milioni di euro è riservata ai giornali ufficialmente registrati come organi di movimento politico; la seconda, 31,4 milioni, agli ex organi di movimenti politici editi da cooperative costituite entro il 30 novembre 2001; la terza di quasi 89,5 milioni di euro va ai quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti o da società la cui maggioranza del capitale sociale è detenuta da cooperative nonché quotidiani italiani editi e diffusi all'estero e giornali in lingua di confine; il resto, circa 12 milioni di euro vanno ai giornali politici e delle minoranze linguistiche; alle testate edite da cooperative editoriali; alle testate per i non vedenti; alla stampa italiana all'estero: giornali italiani pubblicati e diffusi all'estero; pubblicazioni edite in Italia e diffuse prevalentemente all'estero; e ai quotidiani teletrasmessi all'estero.
A ciò si aggiungono: i contributi per il credito d'imposta per l'anno fiscale 2004 pari al 10% della spesa complessiva per l'acquisto della carta; contributi per l'anno 2004 per le compensazioni a Poste Italiane Spa per le tariffe speciali applicate alle spedizioni editoriali; i finanziamenti concessi alle imprese editoriali (ex legge 62/2001) per il credito agevolato e per il credito d'imposta in relazione agli investimenti fissi di ristrutturazione e ammodernamento della capacità produttiva (in corso di elaborazione); i fondi per la riqualificazione e la mobilità dei giornalisti; i contributi alle imprese radiofoniche "libere" e a quelle ufficialmente registrate come organi di movimento politici erogati ai sensi dell'art. 4 della legge n. 250/1990; i rimborsi alle imprese radiofoniche a carattere locale per le spese per abbonamento alle agenzie di informazione ai sensi dell'art. 7 della legge n. 250/1990; i rimborsi delle spese per abbonamento ai servizi delle agenzie di informazione erogati ai sensi dell'art. 8 della legge n. 250/1990 e i rimborsi alle televisioni locali delle spese per l'abbonamento ai servizi forniti dalle agenzie di informazione erogati ai sensi dell'articolo 7 della legge n.422 del 1993.
Insomma, ce n'è per tutti, ivi compresi i quotidiani di più larga diffusione nazionale a cominciare da "La Repubblica", "Corriere della Sera", "Il Sole-24 ore" "La Stampa" e "Messaggero" a cui lo Stato rimborsa una parte dei costi per l'acquisto della carta, le spese per le spedizioni e gli abbonamenti alle agenzie di stampa, fino alle testate dei maggiori partiti politici. E tutti, dai radicali (che per i servizi di "Radio radicale" intascano oltre 4.132 mila euro all'anno) alla Fiamma tricolore, da "Liberazione" all'organo del PdCI "La Rinascita", da "La Padania" fino agli ultraliberisti de "Il Foglio" di Giuliano Ferrara e "Libero" di Vittorio Feltri che quotidianamente si scagliano contro lo "Stato assistenzialista" ed esaltano la "libera impresa", hanno loro bella fetta di finanziamento pubblico. Basti pensare che "Il Foglio" ad esempio per ottenere i suoi 3,5 milioni di euro all'anno di contributi pubblici è stato il primo a usare il "trucco" dei due parlamentari diventando il giornale della misconosciuta Convenzione per la giustizia (due parlamentari, il minimo chiesto dalla legge), mentre "Libero" addirittura è diventato l'organo del Movimento monarchico nazionale e grazie a ciò incassa oltre 5,3 milioni di euro all'anno. Con questo "trucco" come lo ha definito Giuliano Ferrara, anche "Il Borghese", di cui Feltri è stato direttore, e "Il Riformista" finanziato dall'ex braccio destro di D'Alema, Claudio Velardi, e diretto dal rinnegato del PCI Paolo Franchi (ora senatore della Margherita) che si è agganciato alla rivista di Macaluso "Le ragioni del socialismo" hanno "diritto" al loro bel contributo che ammonta rispettivamente a 2,5 e 2,179 milioni di euro a testa all'anno.
La cosa scandalosa riguarda i criteri in base ai quali questa mega torta viene spartita. La legge prevede infatti che il contributo statale venga erogato in proporzione ai costi e alla tiratura del giornale. Dunque più copie stampi più aumenta il contributo. C'è un solo limite: bisogna che la testata venda almeno il 25% della tiratura. Ma questo non è un problema perché molte testate vendono sottocosto, regalano o addirittura scaricano alle fermate degli autobus e delle metropolitane decine di migliaia di copie che fanno figurare come vendute.
ECCO QUALCHE NUMERO
 l'Unità con 6,817 milioni di euro all'anno,
"Avvenire", andranno 5,590,
Libero 5,371,
Italia Oggi 5,061,
Il Manifesto 4,441,
La Padania 4,028,
Liberazione 3,718,
Il Foglio 3,511,
Il Secolo 3,098,
Europa 3,138;
seguono: La Discussione, Linea Giornale del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, L'Avanti!, Roma, Il Borghese e il berlusconiano Il Giornale tutti a quota 2,582;
poi c'è il Sole che Ride 1,020,
il quotidiano della Volkspartei (oltre un milione),
la Rinascita della sinistra (quasi un milione)
fino al defunto Liberal che ciononostante continua ad incassare 563 mila euro all'anno.