IMPARERANNO COME SI CONTESTA IL GOVERNO
. «No, Emma, i capelli così non vanno»:
come un’esperta hairstylist, Susanna Camusso applica un gatto arrabbiato sulla chioma piastrata della
presidente di Confindustria, bagna il tutto con un
secchio d’acqua ed ecco in pochi secondi un perfetto look da pasionaria da corteo. L’impeccabile tailleur giace su una sedia, sostituito da magliazza del
Lidl e sciarpone da precaria.
Nella stanza accanto decine di imprenditori, seduti
a gambe incrociate, stanno imparando a usare un
megafono con l’aiuto di Maurizio Landini. E altrettanti industriali sono in fila fuori dalla porta della
sede della Cgil milanese, dove da ieri si tiene “L’appalto al cielo”. Corso di Protesta e Contestazione
Antigovernativa per Padroni.
«Hanno bisogno di aiuto,» spiega la leader Camusso,
«vogliono mandare a casa il governo anche più di noi,
ma riescono a dire solo “sarebbero opportune alcune
riforme” davanti ai giornalisti del Sole24Ore o nei convegni a Cernobbio. Qui, con la nostra lunga esperienza, insegniamo loro a tirare fuori la propria rabbia
nelle piazze e a pretendere ascolto. Non otterranno
nulla, esattamente come i sindacati. Ma sicuramente si
sentiranno meglio».
Le sue parole vengono coperte da un coro di voci
compassate che stanno provando gli slogan: «Sì allo
stato dei padroni/no al governo dei papponi», «Più
export, meno escort», «Uniti sì/ma al fianco degli AD»,
«Noi Marchionne, voi marchette». Camusso storce il
naso: «Non ci siamo, devono metterci più anima. Poverini, sono inesperti. Ieri ho perso due ore a spiegare a
Diego Della Valle che alle manifestazioni si va in
pullman o in treno, non col jet privato.»
L’iniziativa è stata accolta con entusiasmo dagli imprenditori, esasperati dall’inerzia di Palazzo Chigi.
«Quest’inverno molti di noi non arriveranno alla terza
settimana bianca», lamenta il proprietario di una fabbrica nel Bresciano, intento a scrivere su uno striscione «Silvio, siamo piccoli imprenditori ma ti faremo un grande culo». Ha dovuto mandare a casa metà dei
suoi dipendenti, e anche per lui è stato un dolore:
«Adesso me li ritrovo tutti sulle panchine del parco
dove vado a fare jogging, e quando sono stanco manco
mi fanno sedere.» Ma l’aula più gremita è quella dove
dietro alla cattedra c’è una ragazza asiatica in lacrime. Nostalgia di Pechino? «Macché, sto facendo un
seminario di lingue per industriali. Mi hanno detto che
per far dimettere Berlusconi bisogna piangere in cinese»
da. il fatto quotidiano 25 settembre 2001
(Il fatto quotidiano non riceve finanziamenti pubblici)