Ha dato il tono a un'epoca, ma nessuno a crede più
E io sono qui, abbarbicato a uno scoglio, il laptop sulle gambe, nell'unico punto wi-fi dell'intera isola che cerco di pagare le tasse online e intanto ripenso al mio amico evasore. Lo conosco da sempre e gli voglio anche bene, ma lo vedo poco, una volta all'anno, e quella volta ci litigo. Quest'anno - data la manovra economica - la nostra tradizionale rissa estiva è stata più violenta del solito. Ho anche battuto un pugno sul tavolo. Con noi c'erano un medico, un ingegnere e un industriale. Una triste convention di maschi quarantenni variamente benestanti impegnati a tarda ora a discutere di tasse.
Nessun essere umano meriterebbe una fine tanto ingloriosa. Il mio amico ha scoccato il suo primo argomento: «Anche tu, potendo, faresti lo stesso». Uno dei convitati - l'ingegnere -ha fatto sì sì con la testa e ha proclamato che nessuno è innocente perché a tutti è capitato, prima o poi, di pagare in nero l'idraulico. L'argomento classico del «siamo tutti uguali» veniva qui fondato sul platonismo peloso che afferma la realtà del mondo delle idee e, per convenienza, finge di crederci. In questo modo, chi ruba una mela o un fantastiliardo è equiparato nella stessa categoria, quando invece si tratta dì azioni incomparabili. La quantità - e chi ruba lo sa meglio degli altri - si converte sempre in qualità: una goccia è soltanto una goccia, mille sono una pioggia e un miliardo il diluvio. Alzo lo sguardo, il laptop traballa sulle ginocchia, il mare è invaso di yacht e barche a vela. Penso che è consolante pagare le tasse non soltanto per garantire a tutti scuole e ospedali, ma anche per regalare al prossimo lussi altrimenti impensabili. E rivado con la mente all'ultima lite. A un certo punto tutti dicevano che era uno schifo. Qualcuno, ovviamente, ha detto che in Francia, Inghilterra e Germania tutto questo (un tutto questo generico e universale, adatto a ogni situazione) non potrebbe accadere. Vero: se qualcuno ammettesse in pubblico di rubare alla collettività verrebbe arrestato. Poi, in un momento di tregua, l'amico evasore ha avanzato l'argomento fine del mondo, quello grazie a cui chi non paga le tasse si autoassolve e si fa assolvere dagli altri. Dopo avere intonato una litania di nomi di onorevoli impresentabili e scandali orrendi, ha allargato le braccia e ha detto: «Sai, il buon esempio deve venire dall'alto». Gii altri hanno annuito convinti in segno di approvazione. Ho provato a ribattere che l'esempio lo si dà a chi ti sta accanto, a cominciare dai figli, ma nel dirlo mi sono sentito disgustosamente cattolico e sono andato a letto nervoso. Non riuscivo a prendere sonno, la frase sul buon esempio mi sbatteva furiosa nella scatola cranica come un pesce rosso nella boccia. All'alba ho capito perché. Il sole sorgeva rosa sui tetti, illuminando la mia illuminazione. Nell'argomento del buon esempio si annidano infatti, non soltanto le ragioni profonde del berlusconismo, ma anche il segno del tramonto della democrazia. L'esempio deve venire dall'alto è un principio che va bene in tirannide, ma che, se condiviso, nega la possibilità stessa della democrazia, perché trasforma la responsabilità in passività, il cittadino in suddito. In democrazia, necessariamente, l'esempio di ognuno vale quanto quello del leader. Se invece il principio è che l'esempio viene dall'alto, molti voteranno il candidato peggiore, il più disonesto e disinteressato al Bene pubblico, per sentirsi moralmente autorizzati a commettere le proprie piccole schifezze, continuando a lamentarsi di quelle dei grandi. Era questo il senso reale dello slogan «Meno tasse per tutti», a cui nessuno crede più, ma che ha dato la tonalità a un'epoca intera. I buoni esempi sono antipatici, i cattivi promettono di arraffare un guadagno veloce anche se alla lunga il saldo sarà sempre negativo per tutti, anche per chi ne approfitta.
Una sera al tramonto, andando al Pireo, Menelippo, giovane allievo di Socrate, domandò al filosofo: «Maestro, perché a volte desidero che tu sia peggiore?». Rispose il maestro; «Mio amato Menelippo, per sentirti più libero di essere sordido e perché desideri moltissimo che io approfitti di te».
Cose che non vanno più di moda di GIACOMO PAPI
3 SETTEMBRE 2011