venerdì 3 giugno 2011

le cento felicità di chi non aveva mai vinto

Mi è piaciuto molto questo articolo.Il diritto alla felicità è nella costituzione americana. Vediamo di non buttarlo via anche stavolta

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 Da Bella ciao al lavoro secondo Levi le cento felicità di chi non aveva mai vinto

«BELLA ciao» e «Chi non salta Berlusconi è!». Nella Piazza del Duomo del dopo-ballottaggio milanese il nuovo sindaco Giuliano Pisapia veniva atteso e salutato con un rimescolio di linguaggi vecchi e nuovi: bandiere rosse e palloncini arancioni, canzoni di lotta e battute di cabaret, il saggio Umberto Eco e incanutiti esponenti dell' eterno internazionalismo (nel senso dell' Inter) e del morattismo (nel senso di Moratti Massimo) di sinistra. La piazza è la piazza. A Milano si alternavano momenti da Parco Lambro, da stadio, da rave party, da comizio vecchio Pci, da Festivalbar. La piazza invocava ironicamente Gigi D' Alessio, già mobilitato in uno dei più stralunati colpi di coda della campagna morattiana; oppure riservava beffe di congedo all' imbarazzante vicesindaco degli ultimi quattordici anni («De Corato, disoccupato!»).

Le forme di esultanza con cui si esprime oggi la felicità collettiva meriterebbero un aggiornamento di Massa e potere di Elias Canetti. È dagli anni Ottanta che Milano non eleggeva per una giunta di centrosinistra; pochi, in quella piazza, sono mai stati amministrati dal sindaco che avevano sostenuto col voto. Pur senza drammatizzare, un piccolo esilio collettivo in patria. Chi l' avrebbe mai detto che se ne sarebbe festeggiata la fine cantando tutti in coro l' inno di Mameli? Fra Gaber e gli Stormy Six c' era proprio «Fratelli d' Italia», perché Ciampi e Napolitano, al Quirinale, non ci sono mica andati invano (così come Benignia Sanremo). I lunghi anni delle sconfitte prodotte dalla sinistra milanese erano pure presenti, a intaccare la felicità (o ad accrescerla, per contrasto). Cantautori, comici, personaggi dell' indotto della comicità, «rifluiti» al momento giusto dal movimentismo più truce e divenuti poi esperti smerciatori di dolenti autoironie. Erano tutti lì, sul palco, ad agitarsi e a mettere la propria firma sul trionfo di «Giuliano». Nichi Vendola, nel pomeriggio, ha definito loro e gli elettori: «L' Italia migliore». Quanto migliori ci si è sempre sentiti, a ogni elezione persa! Sarebbe l' ora di consegnare questo sentimento di superiorità etica e antropologica alla storia patria, assieme alla retorica delle »belle persone», delle «belle facce», delle «mani pulite» (a priori, e per diritto, censo, ideologia o chissà). Tutte valutazioni che è prudente lasciare agli altri (magari ai posteri) tenendosi la felicità, quando c' è.
Proprio di felicità ha parlato «Giuliano» quando, erano ormai le dieci di sera, si è finalmente affacciato alla piazza festante, fra la vipperia autoconvocata e i professionisti dell' antiberlusconismo consolatorio. Non ha affatto detto che felicità è sentirsi migliori. Ha detto: «Noi lo sappiamo, la felicità è l' orgoglio del lavoro che si fa». Una frasetta che, nell' emozione e commozione del momento, ha seppellito ogni sterile reducismo. La stessa frase era stata scritta da Primo Levi nell' anno 1978: «L' amare il proprio lavoro costituisce la miglior approssimazione concreta alla felicità in terra». Allora era considerata provocatoria e aveva scandalizzato tutto il Movimento (che discuteva casomai di «rifiuto del lavoro»), ivi compreso forse lo stesso giovane Pisapia. L' altra sera è stata salutata da un boato di approvazione dalla giovane piazza milanese, a cui l' assenza del lavoro (o del lavoro in dignità) ha già inferto lezioni precoci e durissime. La felicità non appare come un utopistico «tutto e subito», ma come «approssimazione», possibilmente «concreta». Non è un trofeo da vincere, ma un metodo di lavoro. Giuliano Pisapia ha vinto anche perché ha saputo parlare di felicità, imparando dai più vecchi e dai più giovani la definizione che la sua generazione aveva a suo tempo negato. -  

STEFANO BARTEZZAGHI
Repubblica 01 giugno 2011 —   pagina 15   sezione: POLITICA INTERNA