mercoledì 15 giugno 2011

Dopo i referendum...cosa succede?

Ecco una sintesi di cosa potrebbe succedere per acqua e nucleare a seguito del responso dei referendum

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Dalle bollette ai tubi-colabrodo ecco cosa cambia dopo il voto


COSA CAMBIA DA SUBITO CON LA VITTORIA DEL "SÌ"?
Si abolisce il decreto Ronchi. Con un primo effetto immediato: gli Ambiti Territoriali ottimali (Ato) che avevano mantenuto in mano pubblica l' acqua non saranno obbligati a privatizzarla entro il 31 dicembre, riassegnandone la gestione con una gara e girandone ai privati almeno il 40%. Un vincolo temporale coercitivo che rischiava di portare a una svendita della rete. Qual è adesso la legge di riferimento per il settore idrico? La Corte costituzionale ha indicato come stella polare la normativa comunitaria. Un quadro a maglie molto larghe che consente agli enti locali sia di tenere il servizio in mano pubblica senza obbligo di gara che di privatizzarlo o di cederlo alle multiutility. È ovvio però che il Parlamento sarà costretto a rimettere mano alla normativa del settore, tenendo conto dell' esito del referendum.
CHE COSA SUCCEDERÀ ORA ALLE NOSTRE BOLLETTE?
Questo è forse il capitolo più critico. Che rischia di aprire una valanga di contenziosi legali. I promotori del referendum sono categorici: la Corte costituzionale, dicono, ha precisato che già nelle prossime bollette si dovrà ricalcolare il prezzo eliminando (dove esiste) il 7% di remunerazione fissa per il gestore. Con la possibilità per gli utenti di far causa se il prezzo non scende. Uno spauracchio che ha fatto tremare ieri i titoli delle multiutility idriche a Piazza Affari (Acea rischia di veder scendere del 22% la sua redditività). Un' interpretazione più soft di alcuni dice che l' abolizione del 7% vale solo per le future revisioni di prezzo legate a nuovi investimenti. Di sicuro politica e Authority dovranno studiare un nuovo decreto tariffario. Lasciando però aperta la porta a una valanga di cause legali fino alla sua stesura.
I PRIVATI DOVRANNO USCIRE DALLA GESTIONE DELL' ACQUA?
No. Le concessioni in essere hanno una durata tra i 25 e i 30 anni e non sono toccate dal punto di vista contrattuale dall' esito del referendum. Per gli Ato a gestione privata o mista dunque, almeno in teoria, non cambia niente fino alle scadenze degli accordi di gestione. L' abolizione del rendimento garantito e la prospettiva di un nuovo quadro normativo più vicino allo spirito del referendum potrebbero però ridurre di molto l' appeal per l' ingresso di nuovi capitali privati nel settore. I referendari chiederanno addirittura di obbligare da subito i gestori dei servizi idrici a scorporarli in società separate in vista di una loro ripubblicizzazione. Ma questo pare un percorso giuridicamente complesso e allo stato poco praticabile e in ogni caso dovrà essere normato da un accordo politico.
CHI PAGHERÀ I 64 MILIARDI NECESSARI PER TAPPARE LE FALLE NEGLI ACQUEDOTTI?
I privati (che grazie al meccanismo degli extra-profitti mandavano in porto l' 87% degli investimenti concordati con gli Ato) tireranno ora il freno senza ritorno garantito. Difficile che a mettere soldi siano gli enti locali che già oggi causa ristrettezze finanziarie realizzano meno del 50% dei lavori promessi. Lo Stato, stima il Censis, è in grado di garantire solo il 14% dei 64 miliardi necessari. Il resto dovrà arrivare da ritocchi tariffari (con un aumento del 18% della bolletta da oggi al 2020) o dalla fiscalità generale, trovando cioè soldi in altri capitoli di bilancio. L' Italia è però obbligata a trovare almeno i soldi necessari per sistemare i suoi impianti di depurazione per i quali è già stata messa sotto procedura dalla Ue.
COSA POSSONO FARE ORA I COMUNI CHE DEVONO ANCORA ASSEGNARE LA GESTIONE?
In primo luogo non sono più obbligati a prendere una decisione entro fine anno. Poi aspetteranno di sicuro che il Parlamento fissi i nuovi paletti normativi per la gestione del servizio idrico. Quindi valuteranno caso per caso la soluzione migliore. Il nodo da sciogliere sarà semplice: come garantire il miglior servizio al miglior prezzo (e rispettando lo spirito del referendum) senza trascurare gli investimenti necessari per adeguare le infrastrutture. Il 20% degli italiani non è oggi servito da un servizio di depurazione delle acque. E dal 50% dei rubinetti nel sud del paese esce oggi acqua non depurata.
C' È IL RISCHIO DEL RITORNO DI INEFFICIENTI CARROZZONI PUBBLICI?
L' acqua pubblica italiana è oggi un mondo a due facce. Con realtà in mano agli enti locali gestite con grande efficienza e trasparenza e altre utilizzate più che altro per garantirsi il consenso sul territorio, con i vecchi e collaudati metodi della moltiplicazione delle poltrone e delle assunzioni facili. Sarà compito della nuova normativa di settore incardinare in norme gli anticorpi necessari per prevenire fenomeni di questo genere. I referendari spingono per controlli dal basso, ma è probabile che (oltre alla Corte dei Conti) anche alla Authority prossima ventura siano affidati poteri e strumenti dissuasivi adeguati per tenere un faro acceso su tutti i protagonisti, pubblici e privati, nella disastrata rete idrica tricolore. - ETTORE LIVINI


L'Italia non resterà al buio inizia l'era del sole e del vento

ADESSO, UNA BUONA VOLTA, L'ABBIAMO FINITA CON IL NUCLEARE?
Tecnicamente, no. Secondo la dottrina giuridica, passati cinque anni o, comunque, dopo le elezioni politiche, un nuovo parlamento può riproporre una norma abrogata da un referendum.
Tuttavia, a meno di rivoluzioni tecnologiche (reattori a fusione o al torio, non radioattivi), oggi assai remote, sembra politicamente piuttosto difficile. Nel giro di 25 anni, ci sono stati in Italia due referendum, che, con maggioranze schiaccianti, hanno respinto il nucleare, come oggi lo conosciamo. Inoltre, è completamente cambiato, dopo Fukushima, il panorama internazionale.
Francia e Stati Uniti andranno, probabilmente, avanti con le centrali atomiche. Ma due grandi paesi europei, Germania e Svizzera, hanno ufficialmente annunciato la chiusura delle loro centrali, dimostrando di credere concretamente ad un futuro tutto rinnovabili. L'Italia antinucleare è, e sarà, tutt'altro che isolata.
PER PAURA DEL NUCLEARE NON CORRIAMO IL RISCHIO DI RESTARE, DOMANI, AL BUIO?
L'orizzonte temporale del nucleare italiano non è mai stato domani, ma un distante dopodomani. Se anche il piano nucleare del governo fosse decollato, le centrali dell'Enel non avrebbero dato un contributo significativo all'elettricità italiana, prima di 15-20 anni. Le quattro centrali previste, infatti, non sarebbero state completate prima del 2025-2030. Nel frattempo, saremmo rimasti nella situazione di oggi. Il nostro vantaggio, rispetto a Germania e Svizzera, è che non dobbiamo colmare, di colpo, il buco aperto dalla chiusura delle centrali atomiche e ogni nuovo impianto, solare od eolico, migliora la situazione attuale.
MA, ORA, NON SAREMO ANCORA DI PIÙ NELLE MANI DEGLI SCEICCHI?
Che c'entrano gli sceicchi? Gli sceicchi dell'Opec controllano il petrolio e, dunque, la benzina. E continueranno a farlo, comunque, perché il nucleare non produce benzina e non serve a far girare il motore dell'auto. Produce elettricità. Per ora, genereremo elettricità soprattutto con il metano. Ieri, era un (quasi) monopolio di Putin. Oggi, via rigassificatori, può essere importato da varie parti del mondo, Stati Uniti compresi.
DOVREMO PAGARE INCENTIVI SEMPRE PIÙ PESANTI PER LE RINNOVABILI?
In California, fra tre anni, l'elettricità da fotovoltaico costerà come quella dalle altre fonti, senza incentivi. È una situazione estrema, perché in California c'è molto sole, ma non unica: c'è altrettanto sole in Sicilia. L'esempio californiano dimostra, comunque, che gli incentivi, oggi assai corposi, alle rinnovabili sono destinati a diminuire, man mano che le fonti alternative diventano più efficienti. D'altra parte, anche il nucleare vive di sussidi. Il deposito permanente di scorie, in Francia, (15 miliardi di euro) lo pagherà lo Stato. Il piano italiano prevedeva che la produzione atomica Enel venisse comprata, all'ingrosso, in anticipo, dallo Stato, ad un prezzo prefissato, a prescindere dal mercato. Il (probabile) sovracosto l'avremmo trovato in bolletta, come gli incentivi per le rinnovabili. Non esiste, del resto, oggi nel mondo una centrale atomica nuova che venda elettricità sul mercato libero, in concorrenza con le altre fonti. Negli Usa, prima di Fukushima, erano state autorizzate quattro nuove centrali. Due sono state congelate, due sono andate avanti. Le due fermate erano in Texas e in Maryland, dove c'è il mercato concorrenziale dell'elettricità. Le due che sono andate avanti sono in Georgia e in Sud Carolina, dove le norme consentono alle aziende di recuperare i costi sulle bollette.
RIUSCIRANNO LE RINNOVABILI A FORNIRE L'ENERGIA CHE AVREBBE DATO L'ATOMO?
Il piano nucleare dell'Enel avrebbe soddisfatto, nel 2030, il 12,5 per cento del fabbisogno elettrico italiano. I tedeschi contano di aumentare, entro il 2020, l'apporto delle rinnovabili alla loro elettricità dal 17 al 38 per cento, oltre venti punti in più, quasi l'equivalente di due piani Enel. Non costerà poco. Ma la rinuncia al nucleare in Italia libera risorse per circa 45 miliardi di euro (30 per le centrali, più 15 per il deposito delle scorie), che sarebbero state assorbite dal piano per l'atomo.
MA ORA LA LOTTA ALL'EFFETTO SERRA NON DIVENTA PIÙ DIFFICILE?
Senza le centrali nucleari oggi operative, l'elettricità mondiale produrrebbe 2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in più. Se tutte le centrali a carbone passassero a gas, il risparmio in Co2 sarebbe di poco superiore. In altre parole, 2 miliardi di tonnellate di Co2 sono importanti, ma non decisive. Il discorso è diverso in prospettiva. L'equazione "meno nucleare più gas uguale zero Co2 in più" non basta ad evitare che il pianeta si riscaldi più di 2 gradi. Occorre ridurre l'anidride carbonica. Ma il nucleare non è l'unica strada disponibile. Un deciso impulso alle rinnovabili e/o la cattura e sequestro dell'anidride carbonica nelle centrali a gas o a carbone sono le alternative che si prospettano oggi.
- MAURIZIO RICCI

Repubblica 14 giugno 2011