E'il più efficace manifesto "anti-Marchionne" che ci sia in circolazione. Uscito in America e in Europa, il magnifico film inglese Made in Dagenham (in Italia tradotto sciaguratamente We Want Sex) ci trasporta in un mondo rovesciato rispetto a quello in cui viviamo. Fedele ricostruzione di una vicenda reale, racconta con leggerezza e umorismo la storica battaglia delle donne operaie alla fabbrica inglese della Ford, che fu all'origine della parità salariale uomo-donna.
Devo confessare almeno due sorprese. Primo: la data dell'evento, anno 1968. Avrei creduto che la parità di retribuzione a parità di mansione fosse stata conquistata, almeno sulla carta, prima di quell'anno. Secondo: il luogo. Ho appreso con stupore che è stata l'Inghilterra a varare per prima una legge in quel senso (proprio in seguito alla battaglia delle operaie di Dagenham), precedendo gli Stati Uniti. Il film è una piacevole ventata di allegria perché ci trasporta, per un'ora e mezza, in un'epoca in cui accanto a gravi ingiustizie c'era anche la fiducia di poterle raddrizzare. Perché c'era la convinzione che le cose si possono cambiare attraverso i movimenti sociali. In questo senso sembra che la storia delle donne inglesi nel 1968 sia l'opposto dell'epoca attuale. Basti pensare a ciò che il movimento sindacale americano ha dovuto ingoiare proprio nell'industria automobilistica durante la crisi del 2008: pesanti tagli salariali, con la paga oraria ridotta alla metà per i nuovi assunti, sacrifici anche sull'assistenza sanitaria, sulle pensioni future. È tutto un rinunciare, un dare indietro, un ridimensionamento dei diritti. La terribile recessione del 2008 ha avuto tra i suoi effetti anche quello di indebolire ulteriormente le organizzazioni collettive che tutelano i lavoratori, almeno in Occidente. We Want Sex sembra una favola, è quasi irreale, tanta è la distanza dalle nostre condizioni. Ma proprio in quel film c'è un passaggio-chiave, che già prefigura il rovesciamento nei rapporti di forze tra lavoratori e capitalisti. È il momento in cui il capo dell Ford americana minaccia il ministro inglese (donna) del Lavoro: se ci imponete dei costi di produzione troppo elevati, potremmo abbandonare l'Inghilterra. È un ricatto che oggi conosciamo bene. Ma in quell'anno di grazia 1968, il ricatto suona nuovo e non molto credibile. Infatti il ministro non cede, va a vedere il bluff, e la parità uomo-donna diventa legge senza che la Ford chiuda lo stabilimento.
Perché quel ricatto non funzionò allora, mentre è diventato tremendamente efficace oggi? Perché nel 1968 la globalizzazione era appena agli inizi. La Cina era comunista, come l'Est europeo. Le frontiere tra il Nord e il Sud del mondo erano chiuse da barriere protezioniste. Perfino la Spagna non faceva ancora parte dei mercato comune europeo. Le infrastrutture dì trasporto e comunicazione non erano così sviluppate da rendere facile la delocalizzazione di intere produzioni. Insomma, la Ford avrebbe faticato per trovare un luogo alternativo dove produrre a costi inferiori le autovetture e poi reimportarle sul mercato inglese. La globalizzazione ha sconvolto i rapporti di forze, dando ai capitalisti infinite possibilità di ricatto.
Poteva andare altrimenti? Non ho mai pensato che un'alternativa "progressista" fosse il protezionismo. Grazie alla globalizzazione un miliardo di cinesi hanno ottenuto un miglioramento reale nelle loro condizioni di vita, centinaia di milioni di esseri umani nel mondo intero si sono affrancati dalla fame. Guardando We Want Sex, però, rivaluto un personaggio come Jacques De-lors, il cattolico-socialista francese che fu presidente della Commissione europea, e teorizzava la necessità di una go-vernance sociale della globalizzazione. La regia di quel processo è stata dominata dagli interessi del grande capitale. Poteva andare altrimenti, se la sinistra e il movimento sindacale avessero partecipato alla scrittura delle regole del nuovo mondo. Oggi una speranza è che il prossimo Made in Dagenharn avvenga in Cina. A giudicare dalle lotte operaie che sono dilagate in tante frabbriche dei Guangdong all'inizio di quest'anno, non è una speranza del tutto infondata.
Federico Rampini d la repubblica delle donne 29 gennaio 2011