lunedì 31 dicembre 2012

Una memoria per i Talkshow

Ammesso che la gente i talkshow li guardi ancora. Il vecchio puzzone si rivolge soprattutto  alle donne di scarsa cultura, la cui unica fonte di informazione è la televisione, come le vecchie degli ospizi. La mia mamma veniva tenuta inchiodata pomeriggi interi davanti a Maria De Filippi, senza la possibilità di cambiare canale.
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di Giovanni Valentini

Era attaccato da ogni parte, eppure non si rendeva pienamente conto di quanto fosse odiato, ripudiato da tutti. (da “La preda” di IrèneNémirovsky Adelphi, 2012 – pag. 111).
In vista delle politiche del 2006, in un articolo pubblicato qui il 28 gennaio, lanciammo l’idea di mettere un timer ai duelli in tv, per regolare i “faccia a faccia” televisivi e disciplinare l’incontenibile tendenza logorroica di Silvio Berlusconi nei dibattiti pre-elettorali. Fu un esperimento riuscito. Costretto a rispettare i tempi scanditi dal cronometro e controllati da un conduttore-arbitro, come si usava – del resto – anche all’epoca delle vecchie “Tribune politiche” con i giornalisti che ponevano domande e i leader politici che rispondevano, il piazzista di Arcore fu contenuto nei limiti di un confronto più composto e civile.

Alla testa di un’eterogenea coalizione sostenuta dall’intera sinistra parlamentare, alla fine Romano Prodi riuscì a vincere le elezioni, seppure per un pugno di voti. E poi, con il governo di cui faceva parte Tommaso Padoa-Schioppa come ministro dell’Economia e delle Finanze, ridusse del 40% l’Ici sulla prima casa (tranne quelle di lusso) e l’eliminò completamente per i più indigenti, conciliando ragionevolmente le esigenze del bilancio pubblico con quelle private delle famiglie.
Due anni dopo, il coup de théâtre.
Il Grande Imbonitore chiuse in tv la campagna elettorale con il trucco finale dell’abolizione dell’Ici, tornando così trionfalmente al governo nel 2008. E quello fu purtroppo l’inizio dei nostri guai più recenti, perché provocò un ulteriore “buco” nei conti dello Stato di cui paghiamo ancor oggi le conseguenze.
Adesso ci risiamo. Il Cavaliere ridiscende in campo promettendo a reti unificate l’abolizione dell’odiata Imu, aggravata dalla rivalutazione delle rendite catastali e ancor più dalla facoltà attribuita ai Comuni di stabilire le aliquote locali secondo le proprie necessità, in base al provvedimento originario sul “federalismo fiscale” introdotto dall’ex ministro leghista Roberto Calderoli: sì, proprio lui, l’artefice di quella immonda legge elettorale denominata non a caso “Porcellum” che ha confiscato agli italiani il diritto di scegliere i deputati e i senatori, assegnando per di più a una minoranza elettorale il “maxipremio” di una maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. E quella resta comunque una “porcata”, anche se la prossima volta dovesse funzionare a favore del centrosinistra.
Il caso dell’Ici o dell’Imu è un test concreto e lampante di come la propaganda elettorale possa influenzare direttamente il responso elettorale. Evidentemente, a nessuno di noi fa piacere pagare le tasse. Ma se un capo-polo, populista e demagogo di professione, si presenta in televisione senza avere di fronte un interlocutore politico e promette impunemente che quelle sulla casa verranno abrogate, magari farneticando di nuove imposte sul gioco d’azzardo o su altri vizi da bunga-bunga, carpisce la buona fede degli spettatori: la gente che assiste al numero di prestigio può cadere facilmente nel tranello e credere all’illusionismo.
E questo vale anche per chi, come Beppe Grillo, che infatti ripudia la tv, propone attraverso la Rete un referendum popolare su un’impraticabile uscita dall’euro, occultando i contraccolpi e le conseguenze che ciò potrebbe avere sul nostro sistema economico: a cominciare dalla svalutazione della moneta nazionale e perfino del nostro patrimonio immobiliare.
Ecco perché occorre, nell’interesse generale, che i confronti elettorali televisivi garantiscano effettivamente il pluralismo e il contraddittorio. Altrimenti, rischiano fatalmente di trasformarsi in una conversazione più o meno salottiera o in una chiacchierata al bar. E per questa stessa ragione, sarebbe opportuno che – fra tanti programmi d’intrattenimento o di varietà – una rete indipendente introducesse magari una “moviola” per i talkshow, in modo da verificare “ex post” la fondatezza e la veridicità di tutto quello che viene detto, alterato o distorto.
Non possiamo continuare ad ascoltare in televisione “falsità e menzogne”, come direbbe Berlusconi, né da parte sua né da parte di nessun altro: per esempio, l’ex sottosegretaria alla Giustizia Jole Santelli del Pdl, quando proclama a “Otto e mezzo” che Roberto Benigni ha presentato la Costituzione come “un accordo fra cattolici e comunisti”, mentre milioni di persone l’hanno sentito citare anche i socialisti, i liberali, i repubblicani e perfino gli azionisti. Una “moviola” per i talkshow, dunque, per scoprire e denunciare i cosiddetti “falli tattici”, secondo un discutibile gergo calcistico, quelli da ammonizione o da espulsione e soprattutto quelli da squalifica.
La Repubblica 29.12.12