Per strana coincidenza, in parallelo al mio post di qualche giorno fa ho trovato la recensione di questo libro....il problema per me sarà reimparare i criteri di lettura del dialetto bresciano!
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di PIETRO GIBELLINI
Nelle 735 pagine, curate da Elena Maiolini, poesie disperse o inedite, varianti, traduzioni in italiano, commenti e una nuova grafia fonetica
Il vate della brescianità non poteva sperare in omaggio migliore: e sarà contento sia una giovane a occuparsi del nostro idioma, il peggiore tra i dialetti d'Italia, come scriveva, ma l'è sèmper linguagio de ItaliàNuova edizione critica delle opere in bresciano.
Dopo tanta popolarità in vita, protratta fino agli anni Sessanta, Angelo Canossi era entrato nell'oblìo: l'attenzione si era spostata sui capolavori antichi del nostro idioma, la Passiù trecentesca e la cinquecentesca Masséra da bé, recuperate dall'intuito di Renzo Bresciani e dal paziente lavoro di Giuseppe Tonna. E poi nasceva una lirica nuova e moderna, diversa dal bozzettismo comico di Melodia, con i versi delicati di Aldo Cibaldi, subito intesi da Giannetto Valzelli, e poi, via via, con le voci sussurrate o gridate di Franco Fava, di Lino Marconi, di Achille Platto, di Elena Alberti, di Vittorio Soregaroli, di Giacomo Scalvini, di Arnaldo Milanese e di tanti altri, soprattutto di Franca Grisoni, l'unica ad aver bucato l'ostico reticolato della difficoltà del nostro dialetto segnalandosi all'attenzione nazionale.
Ma, sotto sotto, serpeggiava tenace l'affetto della gente per il poeta che aveva fissato indelebilmente una Brescia «dentro la cerchia delle mura antiche» e una mentalità che resiste in parte anche agli sconvolgimenti urbani e antropologici, o che cerca nelle radici una identità e un mondo di valori messi a dura prova dal rivolgimento economico e sociale, con i suoi alti e bassi.
Un primo risveglio si ebbe per il cinquantenario della morte (1993), con un convegno voluto dal Comune, allora retto da un sindaco di alta cultura come Paolo Corsini, e dall'Ateneo di Brescia: il volume di atti che ne uscì recava un ampio fascio di poesie disperse, per cura di una mia brava allieva camuna, Liliana Mazzoli, e il progetto di edizione critica, con l'esempio della Passeggiata di Maccheronica ciceronessa (di cui sono fortunatamente rimasti gli autografi).
Ora i 150 anni sono stati salutati da varie iniziative: un convegno tenuto all'Ateneo, una serie di performance disposte dal Ctb, la interpretazione musicale dei versi canossiani del creativo cantautore Charlie Cinelli e, soprattutto, dalla voluminosa e dettagliata biografia di Costanzo Gatta, da sempre espertissimo del piccolo vate nostrano, pubblicata dalla Compagnia della stampa di Massetti.
Ed ecco ora un altro librone su, anzi di Canossi: l'edizione critica e commentata di tutto il Canossi dialettale (Melodia, Congedo e le altre poesie in dialetto bresciano, a cura di Elena Maiolini, ed. Sardini, pagg. 735, 28 Euro).
Perché settecento e più pagine? Chi aveva in casa l'edizione di Melodia e Congedo curata dal benemerito Aldo Cibaldi per la Fondazione Canossi di Bovegno aveva un libro ben più snello. Dunque? Nessuna prolissità, che non è vizio dei bresciani, tanto meno della curatrice, una mia valente allieva di Ome che si è laureata a Venezia dove sta conseguendo un dottorato di ricerca, e nonostante la giovane età vanta importanti pubblicazioni. Innanzitutto alle due raccolte allestite dal poeta si è aggiunta una voluminosa sezione di poesie disperse o inedite rintracciate su dimenticate riviste e nei fondi archivistici: e sono, in gran parte, traduzioni da Trilussa. Poi c'è un fitto apparato di varianti, delle modifiche cioè che i testi subirono nel passaggio dall'eventuale anticipo in rivista alle tre edizioni di Melodia (1915, 1920, 1930).
Ogni poesia reca a piè di pagina la traduzione in italiano, indispensabile oggi che si è rarefatta la familiarità con il dialetto, ma utile anche per chi, pur capendo il dialetto con le orecchie, ha difficoltà a trovarcisi con gli occhi, isé sgrès com'è, scriveva Canossi, tutto pieno di ö e di ü (le lombardissime vocali turbate) che sembra di sgagnare i sassi e di sputare e che 'l ruìna i öcc a chi la lès.
Solo che Canossi ci aveva messo del suo, a rovinare gli occhi dei poveri lettori, usando gli accenti gravi e acuti per distinguere le vocali aperte e chiuse, indipendentemente dal fatto che fossero toniche o atone. Davanti a una parola con tre vocali accentate, dove batterà la pronuncia forte? La soluzione adottata dalla nuova edizione salva perfettamente tutte le indicazioni dei suoni aperti e chiusi, togliendo gli accenti dalle e e dalle o che non li vogliono, e ricorrendo ai segni dell'alfabeto fonetico che non disturbano: un puntino sotto le vocali chiuse, una cediglietta per quelle aperte.
Non solo: tutti i suoni sono stati adeguati alla pronunzia; niente doppie, distinzione nelle finali tra palatale (c) e velare (ch), niente sonore finali (mondo si pronuncia come monte, mont e non mond); unica deroga, l'uso della zeta (che in bresciano non esiste) per indicare la sonora (zènt, gente) dalla sorda (piàsa, piazza). Insomma un modello di precisione e chiarezza che i poeti in dialetto farebbero bene a imitare, per uscire dall'anarchia grafica vigente.
Ultimo non ultimo, il commento, ricco, preciso, prezioso soprattutto nell'individuare fonti e mediazioni dalle versioni o imitazioni canossiane: sapeva il tedesco per tradurre da Bauernfeld El póer murtì? E come ha potuto parafrasare l'ungherese Petöfi? E dove scovare i versi in dialetto ticinese voltato da tal Guzzoni degli Ancarani che neppure gli Svizzeri italiani ricordano più?
A tutte queste domande Maiolini ha dato risposta corredando di un dettagliato commento un'edizione che si desidererebbe per poeti dialettali ben maggiori del nostro, quali Salvatore Di Giacomo o Biagio Marin. Il piccolo vate della brescianità non poteva sperare in un omaggio migliore: e sarà contento che sia una giovane a occuparsi del nostro idioma, che tra i dialetti d'Italia sarà il peggiore, come scriveva, mal'è sèmper linguagio de Italià.
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(06 dicembre 2012) - Corriere della Sera