mercoledì 19 dicembre 2012

Roberto benigni - La più bella del mondo

La più bella del mondo

di Roberto Benigni

Il 2 giugno del 1946 ci furono le prime votazioni libere della nostra storia. Le donne hanno votato per la prima volta. Le donne e anche certi ceti sociali della popolazione. Tutta l’Italia ha votato, non potete sapere la bellezza di quel momento, che cosa è stato. Le prime vo­tazioni libere dove si doveva scegliere tra monarchia e Re­pubblica, e come sapete vinse la Repubblica. E in una secon­da votazione si votò per 556 parlamentari che scrivessero, tutti uomini politici, regole per vivere insieme, altrimenti si rica­deva nella guerra civile. Si forma­rono questi uomini di tutti gli schie­ramenti politici (democristiani, co­munisti, socialisti, liberali, azionisti, uomini qualunque) divisi in tutto escluso su una cosa: essere uniti. Non so cosa accadde loro. Divennero dei gi­ganti, alcuni lo erano di già.
Ci hanno fatto volare, hanno illuminato quelle macerie e hanno detto: “Avanti, rial­zatevi”. Profetici. Lì dentro c’è la strada per risolvere tutti i nostri problemi. Ci hanno portato in un luogo dove si proclamava il prima­to della persona umana, della sua dignità, ma non fra gli ultimi, fra i primi. È una cosa impressionan­te questo testo, è una poesia.

I padri della patria
Mentre la legge vieta, proibisce, la Costituzione ti protegge e ti spinge, è la nostra mamma. Una cosa di una bellezza... Tutto a fa­vore, un sì. Avete visto i dieci co­mandamenti: è tutto un “no”, “non desiderare quello, non fare questo”. Invece la Costituzione è la legge del desiderio. Calamandrei, Dossetti, Alcide De Gasperi, uno dei più grandi statisti del mondo, Giorgio La Pira, un santo. Benedetto Croce, un filosofo che ha influenzato tutto il pensiero europeo. Pietro Nenni, Palmiro Togliatti, Nen-ni, Giorgio La Malfa, Lussu, la biografia di questi era un capolavoro, Ferruccio Parri, Nilde Iotti, An­gelina Merlin, ci hanno messo 18 mesi per scrivere questo. Con una lingua meravigliosa. C’era Amintore Fanfani. C’era Giulio Andreotti anche, pie-colino, vabbè lui sta dappertutto, stava allo Statuto albertino, ma lo hanno visto anche dietro Mosè scrivere i dieci comandamenti. C’erano tanti pre­sidenti della Repubblica: Einaudi, Segni, Saragat, Giovanni Leone, Pertini, Scalfaro. Alcuni di loro erano stati in galera per difendere la libertà e poi sedevano in Parlamento. L’opposto di quello che succede oggi, prima siedono in Parlamento, poi finiscono in galera.
II lavoro è sacro
C’è voluto veramente tutto questo amore, e tutta questa morte, per cui un giorno alcuni uomini e alcune donne potessero scrivere queste parole: // ca­po provvisorio dello Stato, vista la deliberazione del­l’Assemblea costituente, che nella seduta del 22 dicem­bre 1947 ha approvato la Costituzione della Repubblica italiana (...) promulga la Costituzione della Repubblica italiana nel seguente testo. Principi fondamentali. Ar­ticolo 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Sentite l’articolo 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che con­corra al progresso materiale o spirituale della so­cietà.
Cioè, qualsiasi governo deve promuovere il la­voro, perché il lavoro è sacro e ogni legge che ostacola il lavoro è un sacrilegio. Ma io dico, la bellezza: “Materiale e spirituale”. Tu devi farmi stare bene, col corpo e l’anima. È inutile che mi dai tutti i diritti, la prima cosa mi devi dare il lavoro, sono le fondamenta. E riconosce a tutti questa cosa qua. Amare il proprio lavoro è la vera e concreta forma di felicità sulla terra. Quello che spetta alle future generazioni, ai futuri governi è far sì che cia­scuno ami il proprio lavoro.
Un sogno da Woodstock. Perché con la disoccupazione le persone non perdono solo il lavoro, perdono se stesse.
Quando non c’è lavoro si produce in­felicità e perdiamo tutto.
Quando ci danno la busta paga dentro non trovia­mo solo i soldi, quella paga non è avere è essere, essere. Quella è la cosa importan­te, la nostra libertà, indipendenza, digni­tà, la nostra vita. Loro lo sapevano, co­noscevano il legame fortissimo tra il la­voro e la nostra personalità, perché il lavoro nutre l’anima e senza crolla tutto: crolla la Re­pubblica e crolla la democrazia, che sono il corpo e l’anima delle nostre istituzioni.

I principi fondamentali
L’impianto della Costituzione sapete chi l’ha fat­to? Un ragazzo pugliese che aveva 29 anni e si chiamava Aldo Moro. Sentite l’articolo 5, qui si entra in cose tecniche, ma vale la pena, vi vorrei far presente che per gli alti incarichi gli uomini politici giurano sulla Costituzione: La Repub­blica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendo­no dallo Stato il più ampio decentramento am­ministrativo; adegua i principi ed i metodi del­la sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Rivoluzionario, spettacolare. Qui c’è il decentramento del potere.
Il coraggio. L’unità d’Italia era stata fatta da poco, durante il fascismo c’erano i prefetti,
dipendeva tutto dallo Stato centrale: Roma padrona veramente. Loro hanno detto: i cittadini sono maturi. Chi ha il potere non lo divide con nessuno, e lo­ro invece si sono inventati una forma di Stato che non c’era. Lo Stato regionale. Un federalismo come Cattaneo, mera­viglioso, magari venisse attuato. Han­no dato potere alle Regioni, principio straordinario del pluralismo regionale. Hanno messo la divisione dell’Italia nell’articolo dove proclamano l’unità, guardate la bellezza. Una e indivisibile, l’hanno messa fra due virgole, come di­re: si sa, non c’è bisogno di mettere il punto escla­mativo. Umberto Terra­cini con Alcide De Ga­speri, “Umberto scrivi questo articolo, scrivi: l’I­talia, una e indivisibile”, e Umberto: “Ma che c’è bi­sogno di scriverlo?”. “E magari tra trenta o quarant’anni arriva qualcu­no e la vuol dividere”.

Articolo 2.
Dopo vi racconto due o tre storie. La Repubblica ri­conosce . . . (sentite i verbi, eh!) e garantisce i diritti in­violabili dell’uomo, sia co­me singolo sia nelle forma­zioni sociali ove si svolge la sua personalità. E richiede, richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di soli­darietà politica, economica e sociale.
Il nostro articolo 3 della nostra Costituzione ce l’hanno copiato in tutto il mondo. Scopiazzato. Andate a leggere, sco­piazzato, fatto un po’ peggio per non farsi ricono­scere. Una cosa impressionante. Sentite la poesia, sentite la bellezza. Rispetto a quello che c’era prima. I nostri babbi, nonni, padri. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di reli­gione, di opinioni politiche, di condizioni personali e so­ciali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pie­no sviluppo della persona umana e l’effettiva parteci­pazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Pari dignità
Articolo 6. La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
E state a sentire il 7.
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Sovrani, sovrani! I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono proce­dimento di revisione costituzionale. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
È grandioso, finalmente, tutte libere. Le confessioni re­ligiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di orga­nizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contra­stino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge in base a intese con le relative rappresentanze. Sentite: garantire pari di­gnità a tutti.
Articolo 9. Questo fa andare al manicomio. La Re­pubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il pa­trimonio storico e artistico della nazione.

La guerra ripudiata
Sentite il 10 che sembra chissacché. Ora qui s’apre una cosa che non avete idea. L’ordinamento giu­ridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. È lungo ma sentite che roba. La condizione giuridica dello stra­niero è regolata dalla legge in conformità con le norme e i trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia im­pedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estra­dizione dello straniero per reati politici.
Sentite questo articolo 11: questo è davvero famoso in tutto il mondo. L’Italia ripudia la guerra. Io fac­cio subito un applauso per la parola, eh. È famo­sissimo. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli (ma sono poesie...) e come mezzo di soluzione delle controversie interna­zionali. E adesso riprende l’articolo 10: consente, in
condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità . Limitiamo la nostra sovranità a casa no­stra. Alle limitazioni di sovranità necessarie ad un or­dinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le na­zioni. Promuove e favorisce le organizzazioni interna­zionali rivolte a tale scopo.
Allora, articolo 12. Qui rimarrete stupiti. È il mio preferito. La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano, verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.

Il medioevo oggi
Nel Medioevo c’erano nei parlamenti dell’epoca, i corrotti. Stavano lì e facevano leggi. C’erano dei po­tenti che quando erano in minoranza compravano con dei soldi e facevano passare al partito opposto. Facevano delle leggi spaventose. Una cosa che fe­cero, non si può dire su Raiuno perché è proprio una cosa da maiali. Si chiamava Porcellum. E quan­do la fecero, nel 1280, una cosa medievalissima, do­po averla fatta dissero: fa schifo e la adottarono. Ridevano tutti con questo Porcellum, ce lo fecero mangiare due volte. Si compravano lecca lecca con i soldi pubblici e si stupivano se uno gli diceva: “Ma che fai?”. “Che vuoi che sia?”. Arrivò un cavaliere da lontano, da Mediolanum, la casta aveva tutti i privilegi, avevano i cavalli blu. Questo cavaliere prese il potere e fece come nel Rinascimento, feste, orge, confusione, donne, ci fu uno scandalo con una nipote del conte Ugolino che si arrabbiò da morire: “Ma io non ho nipoti”. E tutto il parlamen­to votò che il conte Ugolino aveva una nipote. E questo cavaliere si alleò poi con un gruppo del nord, veramente medievale, si chiamavano “i barbari che sognavano”, facevano paura con degli elmi, dei cor­ni. Il loro slogan politico ufficiale era “noi ce l’ab biamo duro”. E la gente li votava.
Voi mi direte: “Non ci credo”. Era così. Poi non erano normali, facevano paura: non avevano cinque dita, ne ave­vano uno solo, il medio, sempre alzato. E facevano dei riti pagani, col dio Po. E il capo di questa setta faceva l’amore col dio Po. E nacque una trota. La prima trota nella storia dell’umanità che ritornò con una laurea dell’Albania. In tutta questa confusione, con chi predicava la fine del mondo, nacquero giullari, demagoghi. Uno di questi giullari andava nelle piazze con venti, trenta mila persone, e vedeva tutti “morti, cadaveri, zom­bie”. Diceva il nome di una persona e faceva urlare “ma vaffa...”. Trenta mila persone che urlavano il vaffa. In tutta questa confusione c’era il povero Dante Alighieri che fondò un partito, si chiamava Per Dante, Pd, non vinse mai, fece anche le pri­marie da solo e perse.
Ma c’è la Costituzione, il regalo che i padri e le madri costituenti ci hanno lasciato in eredità. Le cose re­galate dobbiamo conquistarle, farle diventare no­stre. Qui dentro ci sono le regole per vivere tutti in­sieme, in pace, lavorando. Mi permetto di dire una cosa che solo un papa o un buffone possono dire. Domani mattina quando vi svegliate dite ai vostri figli che sta per cominciare un giorno che prima di loro non ha mai vissuto nessuno. In secondo luogo ditegli di andare a testa alta, di essere orgogliosi di appartenere a un popolo che ha scritto queste cose tra i primi nel mondo.
Dei politici lo hanno scritto. Ditegli di essere orgogliosi che abbiano fiducia e speranza. Ci vuole fi­ducia e speranza per far entrare un figlio nella vita.