giovedì 27 dicembre 2012

Risse, arresti, intercettazioni. Fine-legislatura rosa-nero

Un esercizietto di memoria, per non dimenticare le schifezze che abbiamo subito e che potremmo ancora subire se dimenticate.
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Risse, arresti, intercettazioni. Fine-legislatura rosa-nero: inchieste e storie d'amore.
 Una legislatura memorabile. Cinque anni pazzeschi, tra Montecitorio e Palazzo Madama. Non ci è stato risparmiato niente: risse, arresti, storie d'amore (non in senso politico), tradimenti (in senso politico), scissioni, intercettazioni, turpiloqui (Franco Barbato dell'Idv portato via a braccia dai commessi mentre urla frasi irriferibili), tragici tic (Bossi usava salutare le croniste con il dito medio della mano alzato), scioperi della fame (Roberto Giachetti del Pd, 123 giorni a digiuno per protestare contro il Porcellum), confessioni definitive (Berlusconi, 22 settembre 2011: «No, scherzavo, non sono mai riuscito a farmene otto di seguito: è impossibile, nessuno ci riuscirebbe»).
Tornare indietro con la memoria, mettere un po' di ordine, di cronologia.

 Giorgia Meloni, poche ore dopo aver giurato al Quirinale da ministro della Gioventù. «Questo Silvio non mi piace. Per certe aspiranti attricette senza arte né parte non provo compassione». Come una profezia.
In Transatlantico, per mesi, si parlerà di attricette ed escort, di bunga bunga, di inchieste giudiziarie, di Noemi che accoglie il Cavaliere alla festa di compleanno per i suoi 18 anni chiamandolo affettuosamente «papi», di Patrizia D'Addario e di Ruby (in un miscuglio di amarezza e imbarazzo, Roberto Antonione, 53 anni, ex coordinatore di Forza Italia, la sera in cui decide di lasciare il Pdl, confessa: «Turandomi il naso, ho votato sempre tutto. Votai persino quella volta che mi chiesero di far finta di credere che davvero quella povera ragazza di Ruby era la nipote di Mubarak»). 
Le votazioni in aula, alla Camera, meritano un capitolo a parte.
Quando Fini — dopo la celebre frase urlata al Cavaliere dalla platea dell'Auditorium di via della Conciliazione, a Roma: «Che fai, mi cacci?» — esce dal partito e fonda Fli, i numeri del governo iniziano a ballare.
Denis Verdini, un pomeriggio del dicembre 2010, osserva minaccioso un peones del suo partito che aveva osato chiedere di poter andare al bagno: «No, niente pipì! Te la tieni e voti». Inizia il penoso mercato dei voti.
Domenico Scilipoti, un anonimo deputato dell'Idv, ginecologo e agopuntore, lascia l'Idv per sostenere il Cavaliere. E si giustifica: «Non chiamatemi maiale, io m'immolo per gli italiani».
Francesco Pionati svela la tecnica usata per convincere i suoi deputati indecisi: «Vado al sodo: voi morì? Guarda, tacchino, che se la crisi si incarta, si va alle elezioni. E se tu non batti le mani a Berlusconi, rischi di rovinarti».
Massimo Calearo (dal Pd all'Api, e poi al Movimento di responsabilità nazionale) racconta: «Le telefonate per convincere i deputati dell'opposizione a saltare il fosso si susseguono seguendo un prezzario ben preciso».
Antonio Razzi lascia l' Idv, approda a Noi Sud, e conferma: «Per corrompermi, dissero che m'avrebbero pagato pure il mutuo di casa».
Al ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola, una casa bellissima, vista Colosseo, la comprano invece «a sua insaputa» (siamo dentro al caso Anemone, con la cosiddetta «cricca»). Scajola si dimette, ma intanto la sua definizione è così paradossale da diventare, addirittura, un modo di dire.
A Gianfranco Fini non vengono frasi così a effetto, quando gli chiedono se è vero che l'alloggio di 45 mq a Montecarlo, lasciato in eredità dalla contessa Anna Maria Colleoni ad An, è diventato di proprietà di Giancarlo Tulliani, fratello minore della sua amata compagna. Risponde solo con una promessa: «Se dovesse emergere che l'appartamento davvero appartiene a Giancarlo, lascerò la presidenza della Camera».
Gli inviati dei settimanali di gossip si scatenato varcando il portone di Montecitorio, e così si imbattono in altre storie d'amore.
Quella tra Mara Carfagna e Italo Bocchino finisce male: la moglie di lui va a sfogarsi con Vanity Fair, lui è costretto a chiedere scusa in tv davanti a Fabio Fazio, la Carfagna si sposa con un imprenditore. I due, Bocchino e la Carfagna, dopo un po', ricominciano però a parlarsi (anche se lui, intanto, ha lasciato il Pdl ed è passato con Fli).
Un pomeriggio, Alessandra Mussolini li pizzica a colloquio nell'emiciclo e, perfida, li fotografa con il telefonino. Segue violenta reazione della Carfagna, in strettissimo dialetto napoletano: «Sei una vajassa! Tié!».
Fila invece senza intoppi la storia sentimentale tra Nunzia De Girolamo (Pdl) e Francesco Boccia (Pd): avranno un figlio, si mandano baci, tenerezze però interrotte tre volte da tre risse violente esplose tra i colleghi (il 26 ottobre e il 14 dicembre del 2010, e il 30 marzo del 2011).
Il 15 settembre un po' di panico si scatena invece per un terrificante tanfo di escrementi che invade Montecitorio (aerazione in tilt, esalazione dalle fogne). Niente a che vedere, comunque, con il terrore (puro) dei giorni in cui si votano le richieste di arresto.
Marco Milanese, ex braccio destro di Tremonti, coinvolto nell'inchiesta sulla P4, la scampa per un soffio (312 sì, 305 no). Commento, rinfrancato, del suo capogruppo, Fabrizio Cicchitto: «È fallito il tentativo di eliminare un altro deputato dal Parlamento...»).
Ma va peggio ad Alfonso Papa, che finisce a Poggioreale.
E al senatore Luigi Lusi, che entra a Rebibbia, accusato di aver sottratto decine di milioni d'euro alle casse della Margherita, di aver usato champagne anche per lavarsi il viso e di aver mangiato enormi quantitativi di caviale Beluga.
Assai meno sofisticata la tavolata allestita davanti al portone di Montecitorio per sancire la pace tra il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il ministro Umberto Bossi (che, non essendo ancora al corrente delle imprese di suo figlio Renzo, detto «il trota», baldanzoso accusava i romani d'essere ladroni). Polenta e coda alla vaccinara. Bossi, sporco di sugo, che rutta.
Rosi Mauro che, tenera, gli accende il sigaro.
Umberto Pizzi, il fotografo di Dagospia, si volta disgustato: «Hanno toccato il fondo. Io me ne vado».
 Fabrizio Roncone - Corriere della Sera - 23 dicembre 2012